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The Undoing è irresistibile

La serie con Nicole Kidman, Hugh Grant e Matilda De Angelis è semplice e perfetta.

di Clara Mazzoleni

Scrivere di The Undoing è come passeggiare in un campo minato. Il rischio di spoiler è altissimo. Per quanto mi riguarda, sono contenta di aver guardato le prime 5 puntate senza aver letto niente e sapendo soltanto che si trattava di una serie con Nicole Kidman, Hugh Grant e Matilda De Angelis (che avevamo intervistato e fotografato qui). Mi sono resa conto stamattina che la maggior parte degli articoli, se letti prima di guardare, avrebbero potuto guastare i colpi di scena più consistenti. Non voglio compiere gli stessi errori, rovinando tutti gli improvvisi, gustosissimi, campi di prospettiva, per questo motivo scelgo di tralasciare la trama. Un solo consiglio: se iniziate a guardare, assicuratevi di avere circa 6 ore libere davanti a voi, perché difficilmente riuscirete a interrompere la visione.

Prodotta da Hbo, arrivata in Italia su Sky Atlantic dal 7 gennaio, e tratta dal libro Una famiglia felice di Jean Hanff Korelitz, la serie diretta da Susanne Bier è la seconda collaborazione tra lo sceneggiatore ex avvocato (nonché marito di Michelle Pfeiffer) David E. Kelley e Nicole Kidman. La prima è stata Big Little Lies, anch’essa tratta da un libro, questa volta firmato da Liane Moriarty. Il buon gusto che caratterizza le serie è lo stesso: lo si riconosce già a partire dalla sigla. Quella di Big Little Lies era così bella che ogni tanto viene voglia di rivederla (eccola): non solo per assaporare il paesaggio e l’atmosfera, ma perché è praticamente diventata il video della stupenda canzone di Michael Kiwanuka, “Cold Little Heart”, tratta dal suo altrettanto stupendo album Love & Hate. Anche la sigla di The Undoing è irresistibile, soprattutto quando scopriamo che a cantarla è Nicole Kidman in persona. Si tratta di una famosa canzone del 1931, “Dream a little dream of me, le cui tonalità landadelreyane ricordano il delizioso duetto del 2001 con Robbie Williams, “Somethin’ Stupid” (l’unica altra canzone interpretata dall’attrice). Un altro punto in comune con Big Little Lies è la cura con cui vengono dipinte le case, i look, e le routine dei ricchi, in contrasto con quelle della povera (in tutti i sensi) intrusa con relativo figlio che si ritrova improvvisamente a frequentare, povero cristo anche lui, una scuola privata costosissima. In questo caso la povera, giovane intrusa che sconvolge l’equilibrio delle mamme fillerate e botoxate con uno spiccato humor nero (caratteristica dei ricchi a quanto pare, ormai l’abbiamo capito) è la nostra Matilda De Angelis.

Con la faccia di cera che si ritrova, Kidman si pone in perfetto contrasto con l’infinità di rughe di Hugh Grant, che stanno lì a ricordarci come il divario tra la disparità dei sessi sia direttamente proporzionale agli anni che passano. Tanto lei è sexy e piallata, tanto lui è sexy e rugoso. Sarebbe difficile immaginare il contrario. Hugh Grant è perfetto per questo ruolo, proprio lui, il dio delle commedie romantiche, forse uno dei pochissimi uomini al mondo con l’incredibile capacità di essere tenero e arrapante allo stesso tempo (e gentile, buffo, divertente, imbranato, adorabile). Perfetto Donald Sutherland nei panni del padre della Kidman (per la seconda volta: la prima in Cold Mountain). a incantare col suo modo di esprimersi che si mantiene per tutto il tempo (o quasi) elegantissimo e forbito. Perfetto il ragazzino Noah Jupe (lo vedremo anche in Honey Boy, in cui interpreta un personaggio basato sull’infanzia di Shia LaBeouf, che ha scritto la sceneggiatura). E perfetta De Angelis, orgoglio italiano, che irrompe con la sua faccia di occhi allungati e lentiggini, il morbido corpo bianco e la voce roca, mettendo a disagio nientemeno che Nicole Kidman. Un incontro indimenticabile, quello tra queste due teste di ricci (ok: ma forse i veri protagonisti qui sono i capelli di Kidman, sempre impeccabili in un modo che non può che trafiggere l’anima di ogni donna, liscia o riccia che sia). Una combinazione a cui non avremmo mai pensato: Nicole Kidman e Matilda De Angelis. Perché avremmo dovuto? Eppure eccola qui, perfetta, come se fosse logica, scontata. Ma certo. Nicole Kidman e Matilda De Angelis. Perfette. Chi, se non loro due?

A dire la verità i capelli di Kidman non sono gli unici protagonisti: ci sono anche i suoi cappotti, già celebrati da Vanessa Friedman, e creati appositamente per lei dalla costumista Signe Sejlund. Lunghi e sontuosi capispalla dai colori bizzarri (uno verde pisello e uno rosso cupo) creati per sottolineare la personalità del suo personaggio, la psicanalista Grace Fraser. Altri dettagli a cui fare caso: i dialoghi tra Grace e il padre si svolgono davanti agli splendidi dipinti della Frick Collection, forse il museo più bello di New York (non sono l’unica a pensarlo, preziosissimo museo nell’Upper East Side. La scuola è la stessa di Gossip girl, mentre se vi sembra di aver già visto l’attrice Noma Dumezweni, che interpreta l’avvocatessa Hayley Fitzgerald, è perché faceva la psicologa di Connell in Normal People.

Le incongruenze e i misteri di The Undoing non stanno soltanto nella trama – che è a sua volta un mistero, perché piena di buchi: si tratta di omissioni volontarie per permettere alla storia di penetrare più profondamente nel cervello dello spettatore, che si ritrova coinvolto nell’indagine, o semplici errori di sceneggiatura? – (leggendo i commenti su Instagram ho scoperto che c’è gente che l’ha guardata due volte di seguito nel tentativo disperato di risolvere alcune questioni rimaste in sospeso) – ma anche nella comunicazione della serie. Il profilo Instagram di The Undoing è così assurdo che in un certo senso assomiglia a un personaggio della serie (chi l’ha vista capisce di chi parlo). Guardatelo soltanto dopo, perché è pieno di spoiler (e già questo è abbastanza assurdo). Come si evince dai post e dalle didascalie, il tono dell’account è simpaticone, bonario, amichevole, goffamente spiritoso, un po’ impacciato, gravemente disallineato con il tono della serie, che invece è un thriller cinico, oscuro, affilato e perverso. E anche qui viene da chiedersi: è un errore? Chi è che ha creato l’account di The Undoing? Un pazzo o un genio? E poi: com’è possibile che nonostante Elena Alves (Matilda De Angelis) venga definita “pittrice” e disponga addirittura di uno studio dove praticare la sua “arte”, produca un ritratto che sembra rubato a uno di quei pittori di strada (senza offesa per loro) che in effetti, di solito, tra i ritratti in bella mostra di Johnny Deep e Leo Di Caprio hanno sempre anche quello di Nicole Kidman?

Soltanto recentemente, dopo aver visto quel capolavoro di Mank, ho recuperato un vecchio film di David Fincher, Gone Girl, ispirato all’omonimo libro del 2012 di Gillian Flynn. Il paragone con questo film potrebbe essere uno spoiler, ma non lo è (e anche se lo fosse direi che non lo è per depistare il lettore, ma non lo è). Ci sono tantissimi punti in comune tra Gone Girl e The Undoing: una certa rappresentazione di una determinata classe sociale, il rapporto dei sospettati di omicidio con i media (giornali e tv), marito e moglie che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto in una situazione assurda, l’esplorazione delle dinamiche malate e morbose che li legano, l’enigma di una personalità imperscrutabile. Il lancio di una giovane bellezza che potrebbe cambiare i canoni estetici del presente e del futuro: nel film di Fincher era Emily Ratajkowski, qui è Matilda De Angelis.