Cultura | Videogiochi

Come Tetris ha conquistato il mondo mentre l’Urss crollava

Storia del primo videogioco a essere diventato ossessione, malattia, cura, arte e mito, raccontato anche in un film appena uscito su Apple TV+.

di Francesco Gerardi

Nel 1984 Alexey Pajitnov era un giovane uomo annoiato che non poteva immaginare che un giorno sarebbe stato raccontato in un film (anche se in realtà il film non parla tanto di lui quanto della sua invenzione, ma ci arriviamo). Aveva 29 anni, lavorava a Mosca, faceva il programmatore all’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, era parte di un gruppo di ricercatori impegnati nella realizzazione di un’intelligenza artificiale. Nel 1984 Pajitnov era anche un uomo fortunato: l’Accademia era una delle pochissime istituzioni sovietiche ad avere contatti e scambi con l’Occidente, fu così che lui riuscì a ottenere il suo primo personal computer. Si chiamava Elektronika 60, era un’imitazione dell’americano Pdp-11 e non ci si poteva fare granché a parte lavorare: quel Pc era talmente rudimentale che lo schermo non era capace nemmeno di restituire semplicissime forme geometriche ma soltanto lettere e numeri. Di lavorare, però, Pajitnov non aveva nessuna voglia, e d’altronde ci sarà pure un motivo se l’Unione sovietica avrebbe smesso di esistere pochi anni dopo quel 1984 in cui lui si annoiava tanto ma pensava anche di essere molto fortunato. Invece di lavorare, Pajitnov passava quasi tutto il suo tempo a pensare al suo gioco d’infanzia preferito, un puzzle che si poteva comprare per un rublo in quasi tutte le mercerie di Mosca. Il gioco consisteva nell’assemblare sette tetramini – figure piane composte da quattro quadrati identici uniti tra di loro lungo i lati – in modo da formare una linea retta.

Pajitnov, che nel 1984 era annoiato, fortunato ma pure un programmatore di talento (dopo il crollo dell’Unione sovietica andrà a lavorare per Microsoft), decise che invece di lavorare sull’intelligenza artificiale avrebbe realizzato una versione elettronica di quel suo amatissimo gioco. Come detto, l’Elektronika 60 non era capace di riprodurre figure di alcun tipo ma solo testo e numeri, quindi lui decise che avrebbe “costruito” i tetramini elettronici con le lettere e i numeri. Ci mise poco a fare tutto, ma il gioco aveva un difetto: finiva subito, perché il limite alla sovrapposizione dei tetramini era il bordo superiore dello schermo del Pc. Una volta raggiunto, il gioco finiva perché non c’era più spazio per sistemare altri pezzi. Per Pajitnov la fine del gioco significava tornare a lavorare, cosa che però non aveva nessuna intenzione di fare. Ebbe quindi l’intuizione di inserire una nuova riga di codice nel suo neonato gioco: al completamento della linea retta, questa sparisce dallo schermo. Finito di programmare, decise che avrebbe chiamato quel gioco Tetris. Nelle tre settimane successive, non lavorò praticamente mai: si presentava in ufficio solo per giocare al suo gioco. Incuriositi, i suoi colleghi iniziarono a chiedergli di installarlo anche sui loro Pc. Poco dopo, smisero di lavorare pure loro. Nel 1989 l’Unione sovietica finì: certamente tra i due eventi non c’è correlazione né tanto meno causazione. Ma forse.

Certo Tetris non sarebbe quello che è oggi – il videogioco più venduto, imitato, conosciuto, raccontato di sempre – se non fosse stato per un americano di origine olandese che, pure lui, nel gennaio del 1988 si annoiava parecchio. Henk Rogers in quei giorni era a Las Vegas, al Consumer Electronics Show. Era lì per lavoro e il suo lavoro consisteva nel provare tutti i videogiochi esistenti e acquistare i diritti per la distribuzione in Giappone di quelli che secondo lui potevano avere successo commerciale. Di solito, Rogers impiegava tre minuti per capire se un gioco valeva la pena o no, dopodiché cominciava ad annoiarsi. Ma in quel gennaio 1988, a Las Vegas, gli capitò una cosa che non gli era mai capitata. Continuò per quasi un’ora a giocare a uno dei giochi in mostra, smise soltanto quando gli fecero notare che dietro di lui c’era la coda e la gente cominciava a spazientirsi per l’attesa. Il gioco si chiamava Tetris e Rogers sapeva già cosa sarebbe diventato – nessun gioco gli aveva mai fatto perdere più di tre minuti – e cosa era necessario fare. Quando conobbe il creatore del gioco, però, Rogers pensò che fosse un deficiente: Pajitnov, infatti, gli aveva detto che aveva ceduto tutti i diritti della sua creazione allo Stato per dieci anni, e che lui non aveva nessun potere decisionale in fatto di distribuzione né dentro né fuori l’Urss. Per queste cose, spiegò Pajitnov, Rogers si sarebbe dovuto rivolgere all’Elorg, l’ente che si occupava della distribuzione di software sovietico all’estero. L’unica cosa che Rogers sapeva dell’Elorg era che i suoi dipendenti si vantavano di non aver mai concesso una licenza, di non aver mai autorizzato un accordo.

Nonostante questo, Rogers era sicurissimo che con Tetris sarebbe diventato ricco. Del gioco esistevano già numerose versioni per Pc, molto diffuse nei Paesi del Patto di Varsavia e conosciute anche ai proto-nerd occidentali dell’epoca. Una delle più famose era del 1987 e girava su Ibm 286: dietro i tetramini apparivano immagini di tundra e taiga, nevi e ghiacci, matrioska e chiese ortodosse, la colonna sonora era “Korobeiniki”, una canzone popolare russa del XIX secolo. «Un tantino pacchiana. Di certo non un vanto per la cultura russa», la definisce ancora oggi Pajitnov. L’intuizione di Rogers fu “ripulire” il gioco da quel pacchiano e, soprattutto, convincere l’allora presidente di Nintendo America, Minoru Arakawa, che Tetris e l’ultima console portatile prodotta dall’azienda, il Game Boy, fossero fatti l’uno per l’altra. Rogers convinse Arakawa a fare una cosa che in passato si era già dimostrata efficacissima con lo Snes e Super Mario: vendere console e gioco assieme. Ogni Game Boy sarebbe stato venduto con inclusa una cartuccia di Tetris. Rogers era così sicuro di quello che sarebbe successo che aveva ipotecato tutte le proprietà dei suoi suoceri per produrre lui, personalmente, 200 mila di quelle cartucce. Probabilmente è con questa storia di spregiudicatezza che convinse l’Elorg a firmare l’accordo che consentiva la distribuzione di Tetris all’estero: gli agenti del Kgb presenti in tutti gli incontri pensavano sarebbe stato divertente assistere alla morte di quell’uomo, causata dalla malattia neurodegenerativa nota in Russia con il nome di capitalismo.

Il bundle Game Boy-Tetris vendette 35 milioni di copie in tutto il mondo: Nintendo Magazine, anni dopo, scrisse che «è il gioco che ha reso quella console un gigante dell’industria videoludica». Il successo fu tale che in Occidente nacque un movimento d’opinione anti-Tetris: è una trama sovietica per deviare i nostri giovani e distruggere il mondo libero dall’interno, dicevano i suoi esponenti. Tetris è ancora oggi il videogioco più venduto di sempre: a dicembre del 2022 le copie acquistate erano 520 milioni, più del doppio del titolo secondo in classifica, Minecraft (che però è in commercio solo dal 2009). Su di esso sono stati scritti libri – il bellissimo The Tetris Effect di Dan Ackerman – e girati film (come quello uscito questa settimana su Apple TV+). Nel 1992 una cover europop di “Korobeiniki” realizzata da Andrew Lloyd Webber raggiunse la sesta posizione nelle classifiche inglesi. Nel 2012, il MoMa ha inserito Tetris nella sua collezione permanente dedicata all’architettura e al design.

A causa di questo gioco sono state inventate nuove parole e diciture: per spiegare la dipendenza da tetramini che aveva sviluppato, nel 1994 Jeffrey Goldsmith scrisse su Wired uno stupendo pezzo in cui dimostrava che Pajitnov non aveva inventato solo un altro videogioco ma il primo pharmatronic – gioco-droga, appunto – della storia. Era l’unica maniera, quella, di spiegare fenomeni semi-patologici che gli erano stati raccontati da altri tetraminomani: persone che giocavano così tanto a Tetris che anche quando staccavano vedevano blocchi colorati cadere dal cielo e interi edifici muoversi da soli a formare linee rette (questi e altri sintoni saranno poi raggruppati sotto la dicitura di Tetris Effect). Malattia ma pure cura: negli anni sono state fatte ricerche che hanno dimostrato che dosi contenute di Tetris migliorano le capacità mnemoniche e motorie, e che nei casi di pazienti affetti da disturbo da stress post-traumatico aiutano a prevenire il verificarsi dei flashback. Malattia, cura e anche devianza: nel libro del Guinness World Records c’è una pagina intitolata “Longest Prison Sentence for Playing a Video Game”, la storia di un uomo che è finito in galera perché non riusciva a smettere di giocare a Tetris sul suo smartphone nonostante il personale di bordo dell’aereo sul quale si trovava continuasse a ripetergli che tutti i dispositivi elettronici dovevano essere tenuti spenti. Senza Tetris non esisterebbe il cosiddetto casual gaming che oggi tutti pratichiamo né nessuno dei giochi basati sulle secrezioni dopaminiche del cervello come Candy Crush e simili.

Pajitnov e Rogers oggi sono i “guardiani” del gioco: il loro lavoro consiste nell’assicurarsi che ogni nuova versione e distribuzione dello stesso rispetti l’originale. Rogers ha ammesso che lui in realtà credeva che il successo di Tetris sarebbe durato tre anni al massimo: in quell’epoca dell’industria videoludica tutti copiavano tutti e tutto, e lui era convinto che la concorrenza non ci avrebbe messo molto a realizzare una versione del gioco migliore di quella realizzata da un ragazzo russo usando un Pc di seconda mano. «E invece, non ci è mai riuscito nessuno», ha detto. Pajitnov è forse l’unica persona al mondo e nella storia che si è stufato di Tetris. Non ci gioca più da tempo, ormai. Ma gioca ancora con quei puzzle basati sui tetramini che comprava da bambino, per un rublo, nelle mercerie di Mosca.