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Tutta la verità sulle merendine

La proposta di tassare bevande e cibi molto zuccherati ha generato un dibattito potenzialmente infinito.

di Arnaldo Greco

Due ragazzi competono per una merendina in un cortile di una scuola a Cambridge, il 23 giugno 1923 (foto di Fox Photos/Hulton Archive/Getty Images)

È vero che gli effetti della tasse sulle merendine ricadono soprattutto sulle famiglie povere perché non tutti hanno il tempo o le conoscenze necessarie per comprendere e insegnare quali sono gli stili di vita corretti. È vero che, allora, dovremmo tassare anche i dolci di pasticceria e le brioche al bar. Ma è anche vero che esistono paesi sia più, sia meno ricchi dell’Italia che hanno adottato tasse su bevande e cibi molto zuccherati e la vita è continuata, forse leggermente, appena appena, quasi impercettibilmente meglio e senza tumulti di piazza. È pure vero che cominciare a tassare le abitudini scorrette per la salute può dare il la a centinaia di operazioni bizzarre e moraliste tipo non pagare le cure a chi è responsabile dei propri malanni. Lo Stato non entri in camera da letto, ci dicevano, ma va bene se entra in cucina a controllarti lo stipetto. Però è vero pure che se la tassa funziona i soldi si incassano davvero: lo dicono i dati, guardate in Norvegia! Ma poi, l’altro obietta, che se i consumatori smettono di consumare merendine allora il denaro che lo Stato spera di incassare per finanziare nuove attività svanisce con l’invenduto. E pure questo, bisogna ammetterlo, sembra proprio vero. Sicuramente è vero che ci sono cose che fanno più male delle merendine, è vero che ci sono merendine e merendine, è vero che fatta la legge sarà trovato l’inganno, è vero che il gusto di trovare la merendina nella cartella all’intervallo, aprirla facendo scoppiare la bustina e gustarla senza sapere che stiamo facendo qualcosa proibita dalla dieta della longevità non la proveremo più. È vera la nostalgia, ma anche il junk food, ma anche la moderazione. È vero tutto e il contrario di tutto. Hanno tutti ragione, come scriveva Sorrentino.

Una volta si usava quell’orrenda espressione “arma di distrazione di massa” che lasciava intendere la presenza di oscuri massoni in grado di orientare l’opinione pubblica telecomandando i temi su cui scannarsi. (Un indimenticabile Corrado Guzzanti incappucciato definiva palinsesti, risultati del campionato e perfino le condizioni meteorologiche delle città italiane). Ma, per quanto ridicola, resisteva un’illusione fiduciosa, che qualcuno fosse comunque capace di dare un ordine alle cose. Invece non serve alcuno sforzo, il pubblico riesce benissimo a distrarsi senza che nessuno lo instradi. Il disordine è tale che non si può sbrogliare. Non ci resta, per l’appunto, che manovrare almeno una cosa minuscola, come una merendina, e riacquistare il controllo almeno su quella. Non pianificheremo alcun piano quinquennale, nessuna riforma agraria, terra ai contadini o redistribuzione delle ricchezze, non possiamo fare nulla, almeno prendiamocela col Buondì. Quello è inerme.

Invece no. Dice il Ministro dell’Istruzione che “non è un caso che l’uomo più ricco d’Italia produca merendine”. Chissà quando il più ricco era il patron di Luxottica che complotto per renderci tutti cecati e attenti agli ultravioletti c’era in ballo, e chissà in Spagna il nesso tra il patron di Zara e gli spagnoli, o via dicendo. Gli illuminati già vedevano i distributori nelle scuole sostituire le carote ai Mars. E i bambini finalmente contenti di mangiare le verdure (d’altra parte non si era detto che “mangia le verdure” è ormai l’unico comandamento che l’élite può permettersi di dare ai cittadini?), e i genitori felici di non doverglielo insegnare, qualcuno avrebbe fatto anche quello al loro posto. Ma la lobby dello zucchero bianco (quello cattivo, mica quello di canna) si è messa di traverso. Di Maio ha ribadito che no “a nuovi balzelli”, un termine che richiama immediatamente il fiorino di Troisi e Benigni.  E, “non a caso” direbbe il Ministro, la Campania, il suo feudo, è la regione d’Italia con la più alta percentuale di minorenni obesi  (23%). I gilet gialli qui da noi sembrano pronti ad armarsi per difendere la girella. I friulani, i comaschi, i liguri, sono pronti a varcare la frontiera non più per la benzina, ma per riempirsi i bagagliai di saccottini, sui profili degli intellettuali più prestigiosi la battuta sul Mulino Bianco trasformatosi nell’ennesimo simbolo del capitale corrotto da abbattere si affiancava all’indignazione contro l’equiparazione tra comunismo e fascismo del Parlamento Europeo. Per una volta, però, con meno fervore.

Le merendine sono il comfort food per eccellenza, ma quella sulle merendine è, specularmente, una “comfort conversation”. Perfino in quest’epoca in cui ci indigniamo per tutto, in cui scomodiamo Nietzsche anche per parlare dei pannolini (sento che il tema “pannolini lavabili sì o no” diventerà presto una questione nazionale in maniera affine alle merendine), i toni sono stati leggermente più lievi. Certo, i maestri del posizionamento hanno subito pescato l’opinione corretta dal mazzo, i maestri della fantomatica “ironia social” hanno sfoderato il solito ciarpame e, dopo due ore, ogni battuta possibile era stata fatta, ma la discussione non ha raggiunto le solite vette di follia, tipo Volo-Grande. Forse esiste un limite e sono le merendine, forse esiste qualcosa su cui possiamo anche non scannarci, forse semplicemente dovremmo trattare più cose come le merendine, e le merendine ancora meno di come le abbiamo trattate, sigle di cartoni animati dell’infanzia, junk food consumato in mancanza di tempo e alternative, un semplice reparto del supermercato, cinque centesimi in più.