Cultura | Dal numero

Le icone di Susanna Nicchiarelli

Nico, 1988, Miss Marx e adesso un film su Chiara d'Assisi, una trilogia di personaggi femminili che però parla soprattutto agli uomini.

di Corinne Corci

Ritratto di Alessandro Furchino Capria

Come si devono sentire gli uomini guardando i film di Susanna Nicchiarelli, che con tutte le sue ragazze e le sue donne, ha raccontato le debolezze di chi le ha amate, odiate e circoscritte? Dalla giovanissima Luciana che nel 2009 in Cosmonauta sognava lo Spazio, alla quotidianità di un’icona come Nico (Nico 1988, 2017), fino alla storia di Eleanor Marx, figlia minore dell’autore del Capitale che tra il 1883 e il 1898 portò avanti la lotta contro l’oppressione maschile, e con cui in Miss Marx, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2020, Nicchiarelli ha sottolineato quella dualità senza tempo della ragione e del sentimento. «È una metafora visiva dei nostri anni. Eleanor è una donna emancipata, combatte contro il conservatorismo eppure accetta un uomo crudele e una condizione di subordinazione sentimentale». Speriamo che a ogni donna creativa non serva per forza una relazione disfunzionale. «È che la natura delle persone è complicata, la vita lo è».

La sua, a livello professionale, ha avuto inizi diversi. Vent’anni prima di imporsi in modo definitivo sulla scena cinematografica italiana, guardò insieme a Nanni Moretti quasi 400 cortometraggi. Con un dottorato di ricerca su Cartesio e Spinoza, un periodo in America, l’ammissione al Centro sperimentale di Roma, e la direzione di uno dei Diari della Sacher (Ca cri do bò, 2001) per volere di Moretti, Nicchiarelli ha continuato a raccontare le sue storie fino a oggi, che è al lavoro su un’opera dedicata a Chiara d’Assisi, ultimo capitolo della trilogia delle sue biografie femminili. «Il film non esiste ancora, ma l’obiettivo è lo stesso di Nico e Eleanor: mostrare e scoprire l’individuo che esiste dietro a un libro di storia. A modo mio».

ⓢ Uno dei motivi per cui si decide di fare un film su una persona è perché la si capisce o la si vuole capire. Hai qualcosa in comune con i tuoi personaggi?
Sono donne diverse e distanti da me. In realtà con Miss Marx, ma non solo, mi affascinava l’idea di far vedere anche Karl Marx, nonostante il film inizi quando è già morto. Quindi far vedere il padre, il marito, l’uomo dagli occhi e dai ricordi di una figlia.

ⓢ A proposito, attraverso le tue donne parli sempre degli uomini fragili da cui sono circondate, che è un tipo di racconto che al cinema abbiamo visto raramente.
Per quanto sembrino incentrati sulle donne, i
miei film sono per gli uomini. Nico, 1988 è un
f ilm per i figli maschi, Miss Marx è un film per
i padri di figlie femmine. Se c’è una cosa che
amo fare è raccontare gli uomini nel modo in
cui nemmeno loro stessi si raccontano, quindi con lo sguardo nostro, femminile, che è
ancora un modo di vederli poco condiviso. E
infatti quando finisco un film non vedo l’ora di mostrarlo a mio padre, a mio marito, a mio fratello, li farò vedere a mio figlio, perché ci sono sempre delle cose per loro, delle cose che non sanno.

ⓢ Un tema che si ritrova già nel tuo primo cortometraggio, Il mio piccolo uomo.
Sì, e ancora penso che sia una delle cose migliori che ho fatto. Tecnicamente faceva schifo però la storia era bellissima. C’era questa ragazza, cioè io, ossessionata da un incubo in cui il suo fidanzato era un nanerottolo con vestititi a fiori e i cocomeri. È a una festa, arriva il suo ragazzo e lei si vergogna in modo tremendo. Ma impara ad amarlo lo stesso, nonostante a causa dei suoi sogni il rapporto vada in crisi. Il punto è un po’ questo, amare la fragilità degli uomini a cui è sempre stato chiesto di essere forti.

ⓢ E poi, è andata così anche nella vita reale?
No. Quel ragazzo vide il corto, si offese da morire e mi lasciò.

ⓢ Anche Cosmonauta, il tuo primo lungometraggio, raccontava una storia simile, con una sorella innamorata del fratello più grande che a un certo punto vede per quello che è, fallibile.
In quel caso tutto nacque da una visita al museo della Cosmonautica a San Pietroburgo, dove avevo visto i titoli dei giornali italiani come l’Unità sui primi viaggi. Mi piaceva l’idea di raccontare questa storia tra fratelli che avevo dentro, legata a esperienze mie, al fatto di aver visto la debolezza dei miei uomini di riferimento, ma traslandola in un’epoca che poteva essere lontanissima e vicinissima al tempo stesso.

ⓢ Allora è vero che in queste storie c’è anche la tua.
Ci sono sempre i miei uomini, quello sì, e molto più di quanto ci sia io. Prendi Nico ed Eleanor, la prima è un’eroinomane, la seconda è una suicida. Anche la bambina di Cosmonauta è cattivissima tanto che in una scena butta via tutte le cose sullo spazio collezionate e amate dal fratello. Mi ricordo che quando abbiamo girato la scena l’organizzatore con cui lavoro sempre è venuto da me e mi ha detto «Certo che eri proprio cattiva da bambina»… ma io non ero così! Io non sono le mie donne, non ho questa tendenza all’autodistruzione, almeno non esplicitamente. C’è piuttosto un autosabotaggio potenziale, come in tutti.

«Per quanto sembrino incentrati sulle donne, i miei film sono per gli uomini. Nico, 1988 è un film per i figli maschi, Miss Marx è un film per i padri di figlie femmine. Se c’è una cosa che amo fare è raccontare gli uomini nel modo in cui nemmeno loro stessi si raccontano»

ⓢ E come in Eleanor, di cui un aspetto che colpisce è che, nonostante la sua forza, si faccia trattare malissimo dal compagno, Edward, dimenticando, nel privato, tutto ciò in cui crede. Scomodo per noi ammettere ci sia questa falla anche in una donna così prodiga all’emancipazione. Una contraddizione del femminismo?
Penso sia una contraddizione sì, ma nostra. Perché il femminismo ha ragione sotto ogni punto di vista, ma la vita è complicata. A me stessa è capitato di essere come Eleanor e credo che a tutte sia successo di ritrovarsi insieme a un uomo sbagliato come Edward. Però la maggioranza si salva e io mi sono salvata.

ⓢ Salvata grazie a chi?
Probabilmente è importante proprio il rapporto con gli uomini della tua vita, quello che hai avuto con tuo padre perché in qualche modo influenza anche la scelta dell’uomo che amerai. Io ho avuto forse un papà migliore di Eleanor e che non c’entra niente con Marx. È un ingegnere, le sue idee politiche sono molto distanti da quelle di Marx, e anche dalle mie.

ⓢ Interessata alle contraddizioni della vita, alle vulnerabilità degli uomini e anche alle icone sovietiche. Quando arriva il cinema in tutto questo?
Il mio piccolo uomo l’ho fatto mentre finivo il dottorato in filosofia. Avevo da sempre questo sogno silente ma non venendo da una famiglia di artisti ho potuto realizzarlo solo appena ho avuto un po’ di indipendenza economica. Così sono par tita, sono andata a fare uno stage in una casa di produzione in America in cui sono stata alcuni mesi. Ne nacque il corto che venne scelto per una rassegna a Modena. Andai alla proiezione e all’ingresso di quel fidanzato gnomo la gente scoppiò a ridere. La ricordo come una delle sensazioni più belle della mia vita. A me piace raccontare le barzellette, questa cosa di condividere le storie l’ho sempre sentita mia.

ⓢ Poi a un certo punto Nanni Moretti ti ha chiamata a lavorare con lui dopo il diploma.
Stava facendo una rassegna al suo cinema, il Sacher, e io ci sono andata, avevo preparato un pacco con i miei due corti in Vhs, un foglio con il mio curriculum e una lettera con scritto cose come io l’ammiro molto, mi piacerebbe incontrarla per parlare, che ne so. Non ho avuto il coraggio di avvicinarmi a lui ma mi sono avvicinata ad Annamaria, la sua storica segretaria. Era luglio. A ottobre mi squilla il telefono, per caso si era portato quei corti a casa e mi ha detto «Perché non vieni? Ci incontriamo». Sono andata da lui e stava montando La stanza del figlio. Anche adesso quando finisco un film so che arriva sempre il momento in cui lo vedrà, ed è una cosa che vivo con una certa ansia. Ma è andata spesso bene e la sua amicizia è preziosissima. La cosa più bella che gli ho sentito dire è stata «è importante che capiate cosa non volete fare o mostrare». È una questione di rispetto profondo, per il pubblico e per i propri personaggi.

ⓢ Nei tuoi film la musica ha un ruolo centrale. Nico, 1988 è strutturato come un album, in Miss Marx (con cui la band Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo ha vinto ai David di Donatello) la scena più forte è dove Eleanor balla sulle note dei Downtown boys. È una passione?
Sì, da tutta la vita. Cinema e musica vanno di pari passo per me, ma ne ho tantissime altre. Come i fumetti, ho letto tutti gli Asterix e adesso che li sto rileggendo con mia figlia mi rendo conto che molte mie scelte di montaggio vengono da quel mondo. A volte penso che dovrei andare a Lascia o raddoppia a rispondere sui Peanuts. Amo quel tono semiserio che cerco persino nei miei film, buffo, scanzonato. Ma amo tantissime cose, rivedrei infinite volte Io e Annie di Woody Allen.

ⓢ Alla fine di Miss Marx alla domanda qual è la tua idea di felicità, Eleanor risponde «Champagne». La tua?
È quella con cui ribatte Marx. La lotta. La lotta sempre, come donna, come persona e come regista