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La deputata Rossi e la storia dello “stupro d’Italia”

Su un episodio dimenticato della Seconda guerra mondiale, che ispirò La ciociara e la cui eco arriva fino a oggi.

di Antonio Pascale

Negli anni ’80, al sud, a Caserta, alcune regole che governavano il rapporto uomo donna stavano già crollando. Meno male: erano dispendiose. I più grandi, con spiegazioni spicciole, fornivano dei protocolli a noi maschi in nuce: per sedurre le donne, bisognava comportarsi da uomini. Un uomo, per essere uomo, doveva seguire la regola dei devo: devi fare a botte, non devi piangere, devi dimostrare forza e desiderio impetuoso. Il protocollo avrebbe dovuto fornire la benzina utile al corteggiamento e all’assenso femminile. Ma appunto, queste regole, sarà per la spinta femminista anni ’70, non erano tanto seguite: c’era, poi, quell’ironia di contorno. Prendi Massimo Troisi con Ricomincio da tre (1981), ecco, portava un maschio diverso, timido, comunque sdrammatizzava il suddetto protocollo. Difatti, c’era una questione che stava venendo fuori, tra noi ragazzi: l’importate era capire se c’era desiderio comune: il consenso, insomma, quello era richiesto. Niente forzature. Una volta volevo dimostrare a una ragazza che corrispondevo alla figura di uomo richiesto dal protocollo, l’abbracciai con impeto, la trascinai contro un muro. Mi disse scandendo bene le parole: non-sen-to pro-prio nien-te! Non solo mi ritirai immediatamente ma nemmeno ebbi il coraggio di raccontare l’accaduto agli amici. Era quella differenza col passato. Dobbiamo sentire qualcosa in comune e di bello insieme. Non facile, ovvio. Che poi ‘sto passato era rappresentato da maschi che facevano riferimento ad altri maschi ormai invecchiati che però ancora raccontavano le loro esperienze nei bordelli: millantavano grandi conoscenze del mondo femminile. Fatto sta che cantavamo the times they are a-changin’, ed ero convinto che sì, qualcosa stava per cambiare. Mi sono sbagliato? Non è che su questioni sensibili, stupro, maltrattamenti, la narrazione è ancora appannaggio maschile? Ci portiamo dietro il bagaglio suddetto, quello sui devo, con le giustificazioni? E i bordelli poi.

Valeria Palumbo ha scritto un libro: Non per me sola (Laterza). Storie delle italiane attraverso i romanzi. Nella sostanza, riscopre decine e decine di scrittrici che nell’ultimo secolo hanno offerto il loro punto di vista. Sapete che c’è? Delle decine di scrittrici io (che faccio lo scrittore) ne conoscevo due o tre. Mi sono vergognato come quando quella ragazza mi disse: non sento proprio niente. Perché, parliamoci chiaro, occultando la narrazione femminile, cosa rimane? Se va bene Flaubert o Tolstoj, se va male, uno di quelli che dicono: sentite a me, quella se l’è cercata. Ma sono casi estremi, la linea mediana è caratterizza dal peggio di Flaubert (le donne che leggono non lottano per l’indipendenza ma fanno guai) e dal peggio di Tolstoj (attenzione che poi non resta che il treno) e dai suddetti tromboni da bordello.

Il fatto è che alcune narrazioni su temi sensibili, gravitano e si declinano attorno a una massa enorme: il masso stupro. Roba antichissima, da universo in formazione. Miti greci: dei che violentano fanciulle nel bosco. O altri miti fondativi: il ratto della Sabine, dove si evince che: a) la violenza di una donna da parte di un clan è un atto politico che richiede vendetta (i Romani cacciano gli Etruschi e fondano una repubblica pura) e b) la donna è contaminata. O si uccide o se ne va raminga. E come se l’enorme massa di questo pianeta generasse la base delle future e maschili definizioni della donna: una costellazione di detriti.

Lo Stupro d’Italia. Si sarebbe dovuto chiamare così il libro La ciociara di Alberto Moravia che ricostruiva gli stupri del 1944. Scrittore bravissimo, intelligente, eppure (in questo caso) subiva l’influsso del pianeta primordiale. Rosetta la donna violentata rappresentava l’Italia stuprata, quindi Rosetta trasfigurava, quasi non c’entrava, era stata fatta un’offesa al clan: del resto lo stupro è stato reato contro la moralità pubblica fino al 1996.

Quando Valeria Palumbo durante un incontro all’Università di Sora, in riferimento agli stupri del 1944, chiese come si poteva sintetizzare l’accaduto, le fu risposto: “le donne non hanno parlato gli uomini non hanno chiesto”. Mi sembra una sintesi eccellente per capire il potere della massa primordiale e i detriti che genera. Le donne avevano taciuto sugli stupri. E gli uomini non avevano chiesto, altrimenti avrebbero dovuto cacciarle di casa, in quanto disonorate (2 mila donne e bambine stuprate e 600 uomini sodomizzati).

Al tempo, la Deputata Maria Maddalena Rossi (chimica, antifascista e madre costituente) si occupò del caso in Parlamento. Si era nel 1952. Due anni dopo la beatificazione di Maria Goretti (la morte piuttosto che la violenza) e un anno dopo la manifestazione di 500 donne stuprate che chiedevano indennizzi. Basta leggere il resoconto stenografico: fu una seduta imbarazzante. I pochi presenti nemmeno la ascoltarono, tanto che la Deputata alla fine urlò: come si vede che lei non è una donna. Ce l’aveva col democristiano Tessitori che le spiegava: le leggi non leggi, non possono essere cambiate.

In alcuni momenti questo grido sembra ancora attuale, risultato della massa primordiale di cui sopra, da cui tutto sgorga (compresi i protocolli) e che solo una narrazione a due voci potrebbe rifondare: i conflitti vanno discussi, affrontati, non nascosti, l’arte in questo aiuta, perché abitua non solo a parlare ma ad ascoltare. Poi è chiaro, dagli anni ’80, molte cose sono cambiate, e sì, ci sono casi estremi come certi titoli di quotidiani o certi video, ma anche risposte forti e serie. E tuttavia… e che ho l’impressione che la mediana sia dominata ancora da una certa narrazione: viva le donne indipendenti che fanno un sacco di cose, lavorano, si vestono come gli pare, parlano, fanno soldi, insomma, viva le donne, basta che non rompono er cazzo. Ma sono figlio degli anni ’80, magari mi sbaglio.