Attualità

A scuola di soccer

La storia molto recente di Andrea Previati, dal liceo italiano al college negli Usa, l'opportunità di studiare bene e giocare altrettanto bene (in Ncaa) puntando il professionismo della Mls. Un esempio di come coniugare sport e cultura.

di Fulvio Paglialunga

Andrea ha trovato l’America per caso. In un giorno qualsiasi, con la testa sui libri e un po’ di confusione perché il liceo stava finendo e scegliere il proprio futuro non è cosa semplice. E poi c’era il pallone: lo studente che spremeva se stesso per scegliere l’università era anche centrocampista pure abbastanza promettente della juniores del Verbano. Al punto in cui procrastinare non è più possibile era chiaro anche cosa avrebbe avuto la precedenza: «Stavo per abbandonare l’idea di continuare a giocare: fare il calciatore e studiare, in Italia, è complesso. Quasi impossibile».

Andrea farà ventuno anni ad aprile. E a un certo punto non ha dovuto più scegliere. Grazie alla mamma. «Avevo superato i test alla Bocconi e alla Cattolica, mi chiama lei e mi mostra, su Internet, una possibilità per studiare e giocare. In America». Il finale di questa storia è che Andrea Previati ora è un calciatore della St. John’s University, a New York, e dall’università riceve una borsa di studio annuale di 45mila dollari per poter giocare a pallone e laurearsi in Economy and Business. Sono bastati una connessione, un genitore sveglio, tanta voglia e la creatività dei fratelli Matteo e Gabriele Cioffi, entrambi con un passato da calciatori e inventori del portale yourfootball.it (che offre possibilità on line di trovare squadre e organizza camp), e in questo caso del progetto Yourcollege Usa. C’è una prima selezione on line, sulla base dei video caricati e Andrea sceglie di stupire, per candidarsi e provare a spuntarla tra i quasi quattromila che ci provano: si riprende mentre, in quindici minuti, fa 2.031 palleggi consecutivi.


La video-presentazione di Previati.

«L’avevo messo lì, un po’ ci credevo. Ma a un certo punto me ne ero quasi dimenticato. Invece, la telefonata». Andrea Previati è tra i quaranta che devono andare a Firenze per la selezione sul campo, perché quel video è piaciuto e perché ora c’è da giocare davanti ai coach americani, Jeff Matteo della St John’s University e Carlo Acquista della Adelphi University. «L’allenamento e la partita vanno bene. Ci metto tutto. E vengo chiamato alla fine, con altri tre. Ci parlano, ci spiegano le loro intenzioni». Alla fine il biglietto per gli States è solo di Andrea. Il ragazzo che non sapeva come riuscire a giocare perché voleva studiare improvvisamente ha la possibilità di prendere tutto. Questa parte della sua vita si svolge a giugno 2013 e nelle fasi successive c’è il passaggio da regolarizzare, quindi anche i test di conoscenza dell’inglese da superare con il punteggio minimo richiesto, per poter avere accesso reale alla borsa di studio del college. Le porte della Ncaa (il campionato universitario statunitense) sono strette, ma aperte con gentilezza regalano un’altra vita: «Quando sono arrivato, a gennaio scorso, ho scoperto che il calcio negli Stati Uniti e in particolare nei college è tutt’altra cosa rispetto alle nostre convinzioni. Intanto è uno sport sul quale stanno puntando molto, nella nostra squadra ci sono quattordici giocatori internazionali. E poi la professionalità, l’organizzazione, la serietà: ci alleniamo tutti i giorni dalle 7 alle 9 di mattina, più tre allenamenti in palestra a pomeriggi alterni, più una serie di altre attenzioni. Nel restante tempo, frequentiamo le lezioni e studiamo, perché tutto deve andare comunque di pari passo». Non è l’agiata vita da calciatore. Certo è bella, a meno che non si consideri una prospettiva antipatica vivere nel Queens, a una ventina di minuti in metro da Manhattan. Però ha degli impegni che vanno rispettati: gli studi e il pallone prendono quasi l’intera giornata, perché la costosa iscrizione in un college americano, l’alloggio, l’abbigliamento sportivo, i libri e altre spese importanti rientrano nella borsa di studio ma richiedono lo sforzo di meritarsele. Eppure Andrea ha temuto di poter perdere l’occasione inattesa e conquistata, per colpa di un appuntamento con la sfortuna. In attesa di partire, giocando con amici si rompe crociato e menisco. Si opera e teme che tutto possa finire così, due mesi prima di partire: «Ma scrivo a Jeff Matteo e mi dice che non c’è nessun problema: che potevo andare lo stesso da loro e che avrei finito la riabilitazione lì. E parto».


La partita di selezione finale di Previati, che gioca con il 23 e ci sa fare.

Nel college è tutto intenso: «Sembra un altro mondo, lavori con staff incredibili, sei molto seguito. Ma devi dare molto: ti mettono a dura prova, sono rigidi. E anche il calcio ha uno sviluppo diverso: la stagione è tutta in tre mesi, da fine agosto a novembre, giochi anche tre partite a settimana». Da qualche giorno Andrea Previati è in Italia, a Milano dove vivono i suoi genitori e la fidanzata Irene, perché anche al college arriva il momento di riposare, comunque. Quando ricomincerà sarà come essere ancora al suo primo anno, ma forse di questo avrebbe fatto a meno: Andrea è arrivato dopo un infortunio, ha completato la riabilitazione, è sceso in campo tre volte da titolare e poi si è nuovamente rotto il menisco. Quando è guarito era fine settembre e non ha avuto il tempo di tornare in forma prima che finisse il campionato. In Ncaa puoi giocare quattro anni, dopo di che devi laurearti e comunque uscire dai campionati universitari. Come previsto dal regolamento, però, chi gioca meno di quattro partite può usufruire del Redshirt Year, un anno in più per recuperare quello non del tutto utilizzato. Il 25 gennaio ricomincerà, questa volta spera senza intoppi. Di certo con le stesse buone intenzioni. Quella di piazzarsi nel mezzo del centrocampo del St. John’s, uno dei college in cui il calcio conta di più.

In Ncaa puoi giocare quattro anni, dopo di che devi laurearti e comunque uscire dai campionati universitari.

Crescere è cresciuto («Pesavo 63 chili quando sono arrivato, con il lavoro in palestra in un anno sono arrivato a 70»), ora deve arrivare a sentirsi un po’ Kakà («È il mio obiettivo, anche se la domanda è a quale calciatore del campionato italiano somiglio la risposta forse è Montolivo: corro molto, ho una discreta tecnica»). Il resto, che poi è il futuro e ciò che verrà da questa continua scoperta dell’America, chissà: «Intanto mi sono innamorato di questa opportunità perché ho potuto continuare a studiare. È quello che vale, innanzitutto, perché se il calcio non dovesse diventare un’opportunità comunque ho una laurea da inseguire. Però loro credono davvero tanto in noi e, grazie a questo, permettono che si aprano delle opportunità: il nostro capitano dell’anno scorso è entrato nel draft della MLS, altri vanno verso il professionismo in altre nazioni. Io non voglio escludere questa possibilità, ci sto provando e sto crescendo tanto. Ma ogni tanto mi ricordo che per me il calcio era quasi un argomento abbandonato e quindi capisco che tutto quel che viene è molto più che buono. Magari ho aperto solo un fronte: perché per gli italiani opportunità come la mia ce ne sono, però non sono molto conosciute».

Piedi in fuga, e forse anche cervelli, se la combinazione calcio-studio dovesse funzionare. Del calcio italiano, comunque ambizione di Andrea («Dovessi scegliere, certo, vorrei diventare professionista in Italia»), non resta per il momento che riportare l’impressione che hanno gli americani: «Il mio coach ama il calcio italiano degli anni ’90: molta difesa, attenzione rigida alla tattica. Dai ragazzi, invece, è visto un po’ come noioso e forse non hanno torto. Però ancora il fascino rimane: un mio compagno ha scelto il numero 21 in omaggio a Pirlo, che adora». E Previati, che numero ha? «Il 20, perché quando sono arrivato aveva vent’anni». Era gennaio di un anno fa: Andrea trovava l’America.

 

Nell’immagine, Andrea con la maglia del St John’s