Attualità | Rassegna

Tutta la verità sullo smart working

La prospettiva di lavorare da casa per un lungo periodo è diventata realtà: alcuni articoli che ne analizzano pro e contro, con uno sguardo alla trasformazione di aziende e lavoratori.

di Studio

(Photo by Miguel Pereira/Getty Images)

Come ha spiegato a Rivista Studio Gianpiero Petriglieri, professore di Organizational Behaviour, all’Institut européen d’administration des affaires (Insead), psichiatra e psicoterapeuta, in questi mesi in cui molti italiani (e milioni di persone nel mondo) stanno lavorando da casa, «stiamo sperimentando gli effetti della fatica digitale». Una fatica digitale che è diversa da quella provata solo fino a qualche mese fa: alla necessità del “detox” da social e schermi, si aggiungono infatti le complicazioni, psicologiche e logistiche, che lo smart working sta significando per lavoratori e aziende. A cominciare dall’organizzazione degli spazi in casa fino alla relazione con superiori e colleghi: gli esperti sono concordi che, a fronte dei tanti benefici di un lavoro più flessibile, l’interazione umana non può essere interamente sostituita da quella digitale. Ci sono poi gli effetti psicologici, quell’effetto “grotta” di cui ha parlato anche il sindaco di Milano Beppe Sala non senza attirarsi critiche, e quelli del divario tra professionisti provenienti da background differenti, che entrano nella discussione sulla trasformazione del lavoro. Abbiamo raccolto alcuni articoli che analizzano i pro e i contro dello smart working e provano a immaginare come sarà il lavoro del futuro (probabilmente un misto tra le due cose, ufficio e casa).

Never Go Back to the OfficeThe Atlantic
«Almeno metà della forza lavoro americana lavora da casa, e la domanda che ora stanno affrontando i capi non è quando i loro dipendenti potranno tornare in ufficio, ma se dovranno mai farlo», scriveva Juliette Kayyem sull’Atlantic a metà maggio. «Non a caso, i datori di lavoro continuano a rinviare le date di ritorno previste. Quando gli uffici torneranno attivi, potranno limitarsi, a causa di ordini statali o delle proprie preoccupazioni in merito alla prevenzione della malattia dei dipendenti, al 25-30 per cento del personale. Ma c’è una questione che va detta ad alta voce ora: quando dovremmo tornare in ufficio? In realtà, non dovremmo». Secondo Kayyem la pandemia ha dimostrato che certe aziende possono funzionare adeguatamente, anche con successo, senza collocare tutti i loro dipendenti nello stesso ufficio.

Sorry, but Working From Home Is OverratedThe New York Times
«Sto scrivendo questo pezzo dal bunker di quarantena improvvisato nella mia sala da pranzo». Inizia così Kevin Roose sul New York Times, spiegando quanto lo smart working sia sopravvalutato. Perché è vero, addio pendolarismo, addio scaramucce tra colleghi, addio schiscette, «ma la maggior parte delle persone dovrebbe lavorare in un ufficio, o vicino ad altre persone ed evitare di lavorare da remoto, per quanto possibile». Ciò che i dipendenti guadagnano in produttività – da una ricerca è emerso che i lavoratori da casa sarebbero più efficienti del 13 per cento – lo perderebbero in creatività. «Inoltre, a casa si tende a fare pause più brevi, senza caffè, senza un collega con cui parlare. Questa impossibilità di separare la vita domestica da quella lavorativa pesa inevitabilmente sulla loro capacità di avere nuove idee».

Nuovo benefit? I vincenti e i perdenti dello smart-workingLinkiesta
In questo articolo, Matteo Paradisi spiega perché il divario tra chi è più qualificato e chi meno potrebbe aumentare a causa dello smart working. Nonostante grazie a questa modalità le aziende potrebbero risparmiare (questo si tradurrebbe in maggiori margini di profitto, e a loro volta in salari più alti), è anche vero che la rivoluzione tecnologica non sarà mai neutra: a fronte dei tanti beneficiari, qualcuno rischia di pagare un conto più alto. Si tratta dei lavoratori meno indispensabili, magari gli ultimi arrivati, quelli a cui ancora non è stato fatto un contratto. Non solo. «Anche quelli nei settori dell’istruzione di alto livello e della formazione: una migrazione della didattica su piattaforme virtuali favorisce l’accesso a lezioni prima inaccessibili a molti», richiedendo inoltre un minor numero di docenti.

Paranoia creeps into homeworking  Financial Times
In “tempi normali” (cioè nell’era pre lockdown) se ci sentivamo a disagio per qualcosa al lavoro, avremmo molto probabilmente parlato con un collega o fatto un check con un compagno di scrivania. Adesso, invece, andiamo in paranoia. Ne ha parlato Emma Jacobs sul Financial Times: se non riceviamo risposta da qualcuno, ci preoccupiamo, e iniziamo a perderci in un loop di congetture e paure. «Generalmente la paranoia riguarda cose che non esistono o che non sono ancora accadute», afferma André Spicer, professore di comportamento organizzativo presso la Cass Business School. Costringendoci a fare a meno dei feedback informali sui quali siamo abituati a contare per dare un senso a ciò che sta succedendo, il lavoro virtuale può generare questo tipo di ansie ingiustificate ma dannose.

Working from Home While BlackHarvard Business Review
Lavorare da casa ha fatto emergere nuove opportunità e altrettanti ostacoli. In questo articolo Laura Morgan Roberts e Courtney L. McCluney spiegano cosa significa lavorare da casa per il segmento relativamente piccolo di dipendenti neri che sono già abituati a lottare per contrastare i pregiudizi negativi che, in condizioni normali, già minano il loro ruolo all’interno di un ufficio. Spesso, per essere percepiti come più professionali, si ricorre alla minimizzazione della propria identità razziale, che consiste nell’adeguare linguaggio, aspetto e comportamenti a quelli della maggior parte dei colleghi. Lo smart working, con le videoriunioni su Zoom e l’assottigliamento del confine tra vita personale e professionale, pone una serie di questioni ancora più delicate per quanto riguarda gli stereotipi razziali.

Why Remote Work Is So Hard – and How It Can Be FixedThe New Yorker
Ce ne siamo accorti in questi tre mesi: lavorare da remoto è molto difficile. Come spiega Cal Newport in questo articolo che ripercorre la storia del lavoro in remoto – o telelavoro – a partire dagli albori, le sfide che il lockdown improvviso ci ha posto non sono soltanto tecnologiche, ma anche gestionali. «Jack Nilles sognava il lavoro a distanza in sostituzione del lavoro d’ufficio, ma il piano fallì: usando tecnologie di telecomunicazione avanzate, ora lavoriamo ovunque, a casa, sui mezzi per raggiungere l’ufficio, in ufficio». Con lo smart working la sensazione di lavorare in ogni momento della giornata è aumentata, ma sono aumentati anche i problemi organizzativi. Dopo averli analizzati, Newport prova a immaginare delle possibili soluzioni.