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11:17 lunedì 17 novembre 2025
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.

Le vignette del New Yorker non fanno più ridere?

30 Settembre 2016

Da marzo del 2013 il sito web del magazine New Yorker pubblica quotidianamente vignette sulla falsariga di quelle che si trovano sulle sue pagine cartacee: da qualche settimana la frequenza ha raggiunto i due post al giorno, un dato che basta a testimoniare il successo dei disegni satirici della testata Condé Nast. Si tratta di cartoon con pochi soggetti (perlopiù uno), con una breve frase scritta in corsivo sotto il tratto a matita: ma c’è bisogno di spiegarlo? La loro viralità gli ha permesso di raggiungere enormi platee di pubblico, ed è facile che nell’ultimo mese abbiate visto una vignetta del New Yorker senza aver letto il New Yorker.

trump

Eppure, nonostante la loro popolarità fatta di Ted panel dedicati e grandi diffusioni, a qualcuno i cartoon del magazine middle-to-highbrow più influente d’America non piacciono (più): su Slate è apparso un pezzo il cui titolo recita, senza mezzi termini, che «lo humor sull’attualità del New Yorker è un obbrobrio». L’autore, Ben Mathis-Lilley, scrive che l’umorismo dei disegni del magazine gli ricorda Jay Leno – non un esempio considerato virtuoso per la ricercatezza delle boutade – e «la fascia bassa dell’ironia di Npr», l’emittente radiofonica americana. Come in questi due casi, «il primo fine delle battute del New Yorker non è farti ridere, ma ricordarti che hai sentito parlare di qualcosa, che sia una storia attinente alla cultura pop o una Notizia Seria».

Ben Mathis-Lilley fa qualche esempio prendendo i post più recenti pubblicati dagli account social della testata, spiegando che «l’impostazione è la Cosa A Cui Si Fa Riferimento; la punchline è un’allusione a Ciò Che Tutti Sanno Di Quella Cosa». Prendete il dibattito Clinton-Trump:

Slate definisce gli articoli di Andy Borowitz, firma di punta della sezione humor del magazine, «così tiepidi che spesso le persone li condividono senza accorgersi che dovrebbero far ridere», e poi giudica «deludente» che il New Yorker investa in «versioni amichevoli di battute della National public radio», perché la cosa ci rammenta che persino il giornale newyorkese a cui tutti guardano può diventare compiacente e «mercificare». Non è la prima volta che l’umorismo delle vignette del New Yorker viene in qualche modo messo in dubbio: dal 2006 il blogger Charles Lavoie ha sostenuto che, paradossalmente, a tutte le vignette del magazine avrebbero potuto “funzionare” con la stessa didascalia: «Christ, what an asshole!». L’anno scorso il designer Frank Chimero aveva fatto una cosa simile, usando però la caption «Hi, I’d like to add you to my professional network on LinkedIn».

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