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Sapremo mai chi è Don Draper?

Domenica inizia l'ultima stagione di Mad Men. L'autore ha già fatto sapere che «nessuno sarà felice per il modo in cui finirà la serie». Riflessioni su un addio e sul grande punto interrogativo dietro al protagonista.

di Simona Siri

Domenica, il 13 aprile sulla rete americana AMC va in onda la prima puntata della settima stagione di Mad Men. L’ultima. Divisa in due – e quindi con sette episodi ora e i rimanenti 14 nella primavera del 2015, giusto per prolungare l’agonia – ma comunque l’ultima. Addio. Il creatore Matthew Weiner (che era tra gli sceneggiatori de I Soprano ed è l’autore del penultimo episodio) sta ancora scrivendo, ma ha già messo giustamente le mani avanti: «Ne sono consapevole: nessuno sarà felice per il modo in cui finirà la serie». Abbastanza prevedibile: la fine di una serie ha mai fatto felice qualcuno? No, appunto. In questo caso però la domanda è se una serie costruita attorno a un protagonista può davvero finire senza aver chiarito chi sia quel protagonista. Detto brutalmente: ma chi è davvero Don Draper?

Si possono dire tante cose su Mad Men: che è una serie ambientata negli anni ’60 e che quindi quel mondo racconta, che è maschilista e misogina, che parla della vita di un gruppo di pubblicitari, che è accurata nella ricostruzione storica e nei dettagli, che è sfiancante nella sua lentezza e per questo straordinaria. Succedono cose anche quando apparentemente non succede niente ed è in fondo il suo bello. Si può dire molto, dicevamo, ma la più difficile rimane inquadrare il suo eroe, un uomo costantemente impegnato nel reinventare se stesso. Un uomo che si è fatto da solo nel senso più letterale della parola: si è creato dal nulla, rubando l’identità a un altro uomo, scalando a forza di segreti e bugie la catena alimentare del successo. Freddo, spietato, lucidissimo anche quando ubriaco, sicuro di sé. Pur non esistendo realmente, quel Don Draper era un prodotto persino credibile, nel suo essere monolitico. Spinto dal terrore di venire scoperto, quell’uomo sembrava invincibile come sembrano invincibili tutti quelli che hanno tutto o nulla da perdere.

Che cosa diavolo è successo a Don Draper ce lo siamo chiesti per la prima volta alla fine della prima puntata della quinta stagione.

Che cosa diavolo è successo a Don Draper ce lo siamo chiesti per la prima volta alla fine della prima puntata della quinta stagione. Quello che avevamo conosciuto come un essere umano gelido e perfettamente in controllo di se stesso, ha cominciato a mostrare i primi segni di cedimento. Spogliato del suo segreto – ormai tutti sanno chi è: la ex moglie Betty, la nuova moglie Megan, Pete Campbell, insomma un bel po’ di gente – privato della protezione che fingersi qualcun altro gli dava, Don Draper può essere (meglio: potrebbe) finalmente se stesso, solo che quel se stesso è una versione pigra, svogliata e ben poco affascinante dell’uomo di prima. Che sia questo il vero Don Draper? Quello che a va prostitute, che ruba le idee agli altri, che arriva tardi al lavoro, che tratta male persino Peggy Olson, l’unica donna di cui abbia mai avuto stima perché gli ricorda se stesso da giovane? Nel dubbio, fa l’unica cosa di cui è capace: si reinventa. Di nuovo.

La seconda volta che ci siamo chiesti che cosa diavolo stesse succedendo a Don Draper è stata alla fine della prima puntata della sesta stagione. Quando da sotto la pelle del nuovo Don – quello che sembrava aver trovato pace e soddisfazione con una moglie giovane che gli teneva testa e con cui aveva istituito un rapporto non più solo di dipendenza, ma di complicità, anche lavorativa  – rispuntano i vecchi vizi. Vero è che un po’ è colpa di Megan: diventa troppo indipendente, non ha più bisogno di lui e lui – abituato com’è a essere l’uomo su cui tutti fanno affidamento – si perde. E quindi rieccoci: la storia con la vicina di casa, l’irrequietezza, l’impossibilità di trovare una anche minima forma di gratificazione, figurarsi di pace. Riuscirà mai ad essere un uomo soddisfatto di se stesso, Don Draper? Probabilmente no. L’unica cosa che dovrebbe fare è l’unica cosa che non fa: guardarsi dentro. Persino Roger va in terapia, ma lui no, preferisce reinventarsi con quello che ha, aggiungere strati su strati, coazione a ripetere su coazione a ripetere. Mai personaggio televisivo è stato tanto diverso quanto uguale a se stesso allo stesso tempo. È vero, sul finale della sesta serie c’è un barlume di autoconsapevolezza, racchiuso nella frase «I don’t want to do this anymore». Basterà a scardinare il meccanismo circolare di cui è vittima? Per non parlare dell’istinto di morte, l’altra costante della sua vita. La madre che muore quando lui nasce, il padre che gli muore sotto gli occhi, il fratello che si impicca e della cui morte è responsabile almeno quanto quella di Pryce.

Qualcuno ha scritto che l’unica fine possibile è quella autodistruttiva: Don che si butta dalla finestra del suo ufficio di Madison Avenue, come la sigla con l’uomo che cade farebbe presagire. Altri hanno scritto che una nuova paternità potrebbe essere l’evento che scardina una volta per tutte quel meccanismo malato restituendogli un nuovo ruolo e una dimensione questa volta vera. Stabilito che molto di quello che è Don Draper è dato dal suo rapporto con le donne, basterebbe forse vederlo – con un balzo narrativo di dieci anni – alle prese con la figlia adolescente per vederlo cambiato. Un uomo che ha passato la vita a tradirle (e da cui è stato violentato, non dimentichiamolo) costretto a fare i conti con il genere femminile dalla sua unica figlia femmina. Al cui proposito: ma un bello spin off con Sally diciottenne nella New York degli anni ’70, it girl di Andy Warhol, magari eroinomane, groupie di Lou Reed , voi non lo vedreste volentieri?