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Santa Evita

L'imbalsamazione (in stile Lenin e Chavez), le tre "copie", il riconoscimento, i viaggi clandestini e la sepoltura anonima a Milano. Il romanzo di una salma.

14 Marzo 2013

“Nella tradizione culturale dell’America Latina niente è quello che sembra. Niente potrebbe essere mai quello che sembra perchè la realtà si muove a ritmo vertiginoso: i valori, i discorsi, le fortune, i miti, quello che ieri era qui oggi sta altrove oppure non c’è più”. Lo disse una volta lo scrittore Thomas Eloy Martinez. Neanche la morte fa eccezione in Sudamerica. Secondo la testata venezuelana La Tercera l’imbalsamazione del caudillo pop Hugo Chavez è stata affidata alla storica ditta italiana Signoracci, attiva a Roma dal 1870. Sul tavolo del restauro dei six feet under romani è passato il sacro e il profano: le spoglie degli ultimi 4 papi, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, così come Wilma Montesi, Pier Paolo Pasolini, Alfredino Rampi, Giorgiana Masi, Aldo Moro.

Anche a Evita Perón era successo di tornare a girare il mondo, da morta. Il suo corpo imbalsamato e trafugato era finito dal 1957 al 1971 al Cimitero Maggiore di Milano.

Massimo Lugli in un vecchio articolo su Repubblica ricordava l’esistenza dello “stanzone” con i morti dimenticati, che nessuno reclama e che la burocrazia tiene ancora a galla. Stavolta però il morto è illustre e Chavez nella sua pretesa di immortalità chiede una mano all’impassibile dinasty dei Signoracci bussando all’altro lato del mondo. Anche a Evita Perón era successo di tornare a girare il mondo, da morta. Il suo corpo imbalsamato e trafugato (e addirittura clonato in tre copie di cera, vinile e fibra di vetro per confondere ladri e golpisti antiperonisti) era finito dal 1957 al 1971 al Cimitero Maggiore di Milano, esattamente al giardino 41, pietra tombale numero 86, al posto della signora Maria Maggi De Magistris (inesistente). A fare da contraltare all’estetica barocca dei funerali della figlia illegittima d’Argentina (il vero riferimento delle coloratissime e commosse esequie di Chavez) c’era una storia di cristallina perfezione intaccata da rapimenti e inscatolamenti. L’incredibile storia l’aveva raccontata proprio Martinez in Santa Evita (1995), un bestseller già edito in Italia da Guanda e ora ripubblicato con merito da Sur (433 p. traduzione di Silvia Meucci, a breve nelle librerie). Martinez, columnist de la Nación e del NYT è morto nel 2010 a Buenos Aires a 75 enne, dopo essere stato costretto in esilio in Venezuela per le denunce della dittatura militare argentina.

Santa Evita non è solo il romanzo di una salma (il testo più tradotto del Sudamerica) ma anche il capolavoro del dottor Pedro Ara, l’anatomista galiziano “superbo e  insolente” che passò una notte intera con il corpo di Evita morta di cancro il 26 luglio del 1952 a soli 33 anni. L’imbalsamazione fu una decisione di Peron, Evita lo aveva pregato di “non  essere toccata da nessuno”. Cattolico militante, Ara venne pagato 100mila dollari per imbalsamare senza toccare gli organi. Sul taccuino dove calcolava le proporzioni delle soluzioni chimiche e le peregrinazioni del bisturi, il dottore scrisse all’alba: “Finis coronat opus. Il cadavere di Eva Peron è ormai definitivamente e assolutamente incorruttibile”. Formaldeide, paraffina, cloruro di zinco, iniezioni di soluzioni di timolo nell’arteri afemorale, fiumi di gas, mercurio, ghiaccio secco: Ara continuò a dedicarci due anni della sua vita.

Dove c’è perfezione esiste anche la copia, tre per la precisione. Vennero realizzate da uno scultore italiano per prevenire furti e vandalismi antiperonisti: si distinguevano dal corpo autentico perche erano scure di carnagione, una precauzione che anticipava l’inevitabile cambiamento di colore dei tessuti imbalsamati, e perché  avevano tutte lo sguardo rivolto verso il basso. Quattro versioni di Evita eppure la bellezza non era stato il suo punto di forza, anzi. Martinez la ricorda in vita come una donna “dal naso grosso, aquilino e denti sporgenti, non aveva seno, simpatica ma nessuno passava notti in bianco per lei. Una donna ordinaria, non c’era maniera di insegnarle a stare seduta a tavola…”. La malattia la rimpicciolisce giorno dopo giorno, tenuta all’oscuro dell’entità del male da medici e infermieri, anche con la frode. Con il trucco degli ultimi mesi si era però avvicinata a una bellezza inaspettatamente da diva, già postuma. Quella che Ara avrebbe cristallizzato per sempre e che avrebbe stregato Martinez e i personaggi del destino che ruotava intorno alla salma.

Evita era confusione, intolleranza, fanatismo e autoritarismo. Era destra, sinistra e fascismo allo stesso tempo. Ma era anche onestà e sincerità. Evita era tutto.

In una intervista a La Stampa lo scrittore confessava: “Sono consapevole di essere persino un necrofìlo, che non è un aggettivo blasfemo o amorale, ma un termine preciso per evocare la capacità di un grande atto d’amore per chi continua ad essere anche quando non c’è più”. E spiegava il perchè il fascino di Evita fosse intatto come il suo corpo imbalsamato: “Evita era confusione, intolleranza, fanatismo e autoritarismo. Era destra, sinistra e fascismo allo stesso tempo. Ma era anche onestà e sincerità. La sua figura racchiude tutti i miti della nostra gioventù: è Cenerentola, ovvero la diseredata che sposa il principe azzurro. È la Bella Addormentata nel bosco che il bacio del popolo risveglia mentre il cielo si riempie di una luce che porta nuova giustizia. È Barbablù nel suo narcisismo, nel suo desiderio assoluto di dominio. È il Pollicino che viene disperso nelle foreste della politica e che trova sempre la strada giusta per tornare indietro. Evita era tutto”.

Era anche odio. Durante la malattia non furono poche le scritte sui muri come “Viva il cancro” o “Evita muori!”. Per le sue origini povere e illegittime, il passato nello spettacolo e l’aver sedotto Peròn era chiamata “puttana”. Evita era anche perversione. Il primo a esserne vittima fu il colonnello dei servizi segreti Moori Koenig, il  trasfugatore della salma. Perón, caudillo filonazista della ricca Argentina del dopoguerra, le aveva costruito un mausoleo con i marmi di Carrara dove poter ospitare il corpo imbalsamato. Ma poi si fece scomunicare dalla Chiesa perchè frequentava ragazze a cui per premio regalava cimeli del mito di Evita. La 14enne Nelli Rivas divenne per poco tempo la nuova compagna da esibire in pubblico. Deposto dal golpe e in fuga dall’Argentina Perón si dimenticò completamente di Evita. Koenig invece la sottrasse alla camera ardente per annullarne il mito ma ci finì dentro lui, diventando di fatto il custode del corpo. In vita la considerava “una domestica con la corona da regina. Aggressiva, niente affatto femminile. Ingioiellata dalla testa ai piedi, per esorcizzare tutte le umiliazioni che aveva conosciuto. Una donna colma di risentimento. Senza scrupoli. Una vergogna”.

Da morta la nascose in casse e armadi, facendola girare di continuo per Buenos Aires, compreso nel retro di un cinema, fino a portarsela a casa nel suo studio, celandola alla moglie, ammirandone la bellezza in privato. Poi preparò il viaggio in Europa: Rotterdam, Bruxelles, Bonn, Genova, Roma, infine Milano dove la salma arriva nel 1957. Tutto tacque fino al 1971 quando i guerriglieri peronisti, i Montoneros, decisero che il corpo di Evita doveva essere ritrovato. Il loro slogan era: “Se Evita fosse viva, sarebbe Montonera”. Per questo sequestrarono e uccisero il generale Pedro Eugenio Aramburu che aveva fatto parte della giunta che aveva destituito Perón 15 anni prima, non prima però di farsi rivelare il luogo dove era sepolta Evita. Il corpo venne riconsegnato al settantaseienne Perón, allora in esilio a Madrid, da fedeli peronisti.

Enrico Deaglio su Diario raccontò che “vennero compiuti riti esoterici affinché dalla morta arrivasse al generale il fluido della famosa energia che aveva reso carismatica Evita.

Al corpo vennero amputati la punta del lobo dell’orecchio sinistro e la terza falange del dito medio, nella mano destra, tagliate dai medici legali del governo per l’identificazione. Ma già prima Koenig per essere sicuro di non scambiare Evita con una delle tre copie aveva fatto incidere una cicatrice dietro l’orecchio. Per avere la certezza della verità bisognava intaccare l’impresa di Pedro Ara.

Enrico Deaglio su Diario raccontò che “vennero compiuti riti esoterici affinché dalla morta arrivasse al generale il fluido della famosa energia che aveva reso carismatica Evita” e che nel viaggio che lo riportò in patria venne accompagnato “dal fior fiore del fascismo argentino e italiano e dal capo della P2 Licio Gelli”. Rieletto nel 1973, Peròn morì l’anno successivo di infarto. La salma di Evita lo raggiunse a Buenos Aires pochi mesi dopo. La terza moglie di Perón, Maria Estela Martinez non replicò la fama di Evita, neanche ritrovandosi a ereditare il governo, e questo non fece che aumentare il mito. Nel 1976 Maria venne deposta dal golpe del generale Videla. Nel 24 marzo dello stesso anno il corpo restaurato di Evita venne sepolto nel Mausoleo di Famiglia nel cimitero de la Recoleta di Buenos Aires, dentro una tomba foderata di acciaio.

Come in tutte le vicende picaresche c’è un epilogo beffardo. L’acciaio del mausoleo di Buenos Aires dedicato al caudillo argentino non ha protetto il cadavere imbalsamato di Perón che nel 1987 ha subito l’amputazione di entrambe le mani da parte di ladri professionisti. Impronte digitali indispensabili – secondo una intervista rilasciata da un ex funzionario di banca al Wall Street Journal nel 1995- per essere riconosciute dai sensori di una cassaforte particolare, quella di Perón, mai ritrovata. Fantascienza?  Intanto il giudice del caso venne ritrovato morto, perì anche un poliziotto e una testimone involontaria. Resta però il contrappasso dantesco per l’uomo che non volle portare con sé in esilio la sua amata Evita, proteggendola da un destino da pacco postale.

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