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23:18 mercoledì 19 novembre 2025
Il guasto di Cloudflare è stato così grave che ha causato anche il guasto di Downdetector, il sito che si occupa di monitorare i guasti su internet Oltre a X, ChatGPT, Spotify e tanti altri, nel down di Cloudflare è andato di mezzo anche il sito a cui si accede quando tutti gli altri sono inaccessibili.
Il nuovo film di Sydney Sweeney sta andando così male che il distributore si rifiuta di rivelarne gli incassi Christy sembra destinato a diventare il peggior flop dell'anno, il quarto consecutivo nel 2025 dell'attrice.
Diversi grandi hotel sono stati accusati di fare offerte ingannevoli e fuorvianti su Booking L’authority inglese che si occupa di pubblicità ha scoperto che quelle convenientissime offerte non sono mai davvero così convenienti.
Gli scienziati hanno scoperto che il primo bacio sulla bocca è stato dato 21 milioni di anni fa E quindi non se l'è inventato l'homo sapiens ma un ominide, un antenato comune di uomini, scimpanzé, gorilla e orango, animali che infatti si baciano.
Non si capisce bene perché ma Nicki Minaj è andata alle Nazioni Unite a parlare dei cristiani perseguitati in Nigeria Sembra che a volerla lì sia stato Trump in persona, dopo che in più occasioni Minaj gli ha espresso pubblico supporto sui social.
La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.

Ogni maledetto Sanremo

Resoconto della prima serata del festival musicale più immobile che ci sia.

06 Febbraio 2019

Ci caschiamo tutti gli anni. Ci dicono che sarà il Sanremo anti-Salvini, ed eccoci la prima sera a urlare davanti al televisore: «È tutto vero! C’è in gara il figlio di immigrati cubani! E il mezzo egiziano!». Ci assicurano che sarà il Sanremo più indie di tutti i tempi, e noi a fingerci fan di gruppi che non distingueremmo in una riproduzione casuale su Spotify. Ci paventano la recessione, e noi che subito comprendiamo il taglio di tutto, dei fiori, dei tecnici di palco, dei cambi d’abito, o meglio i vestiti ce li si cambia, ci mancherebbe, ma senza esibirli scendendo sontuose scalinate: non siamo mica gli Emirati Arabi che accolgono il Papa. Ogni anno il Festival tira fuori i nostri istinti più retrogradi e conservatori. Non sono gli eterni blocchi alla Tav o il rifiuto dei vaccini a dare il segno del mancato progressismo del Paese, è questa processione di canzonette che vogliamo sempre uguale. Adesso poi “cambiamento” è diventata una brutta parola, e allora che non cambi niente, non è tutto più facile così? Claudio Baglioni, timoniere di questa cerimonia «popolar-nazionale» (la definizione è sua), se ne fa un vanto. Sulla riviera il vento non è mai cambiato.

La modernità, sempre presunta, sta al massimo dentro questa «generazione rap» svogliatamente accolta all’Ariston. Così definivano ieri sera il mucchio per nulla selvaggio di debuttanti, col tono che hanno gli omini panciuti della Settimana Enigmistica quando si trovano un computer davanti. L’idea di modernità non è cambiata manco lei, resta racchiusa dentro simboli precisi e immutabili. Il giubbotto di pelle, per esempio. Ieri lo indossavano tutti quelli (tanti) che volevano essere un poco rock, un modello di rock non così dissimile da quello che aveva in mente Little Tony cinquant’anni fa. Andrea Bocelli passava il finto chiodo in eredità al figlio – io ormai vegliardo, tu giovane promessa – come Matteo Renzi l’ha indirettamente passato in consegna al governo di young signorini in carica. La modernità è un concetto astratto, largo, adattabile. Persino quelli bravi della nuova leva cantano cose da vecchi: Achille Lauro, con testo che pare scritto da una Lana Del Rey del Testaccio, racconta di Elvis e di Marilyn, e sogna Rolls Royce su via del Corso.

Matteo Bocelli e Andrea Bocelli (Daniele Venturelli/Getty Images)

Gli italiani sono un popolo di tecnici della Nazionale, ma soprattutto di autori televisivi. Tutti sapremmo fare meglio quel lavoro che consiste nello scrivere i copioni ai conduttori, qualunque essi siano, e poi non capiamo che nulla di quello che vediamo accadere è mai davvero improvvisato. È solo lo stesso, scrittissimo linguaggio di chi guarda Rai1, e che si presta agevolmente ai siparietti sulla Vecchia fattoria e sui baffoni di Pierfrancesco Mercury. Tanto si sa che la prima serata è sempre legnosa (lagnosa), e poi ne arriveranno altre quattro legnosissime (lagnosissime), ma saremo tutti ormai così avvinti come l’edera che finiremo per dire che ritmo, che bravi, è il più bel Festival di sempre.

Dell’immobilismo sanremese ci piace tutto, ma un dettaglio sotterraneo vince sempre. Negli ultimi anni ci hanno insegnato che la musica in televisione doveva essere una roba pirotecnica, con le macchine volanti di Luca Tommassini, e i murales di Banksy, e il Cirque du Soleil. Il Festival di Sanremo è la perenne dimostrazione che un cantante fermo dietro a un microfono va bene per tutte le stagioni. Di più: è l’inquadratura perfetta. È questo il vero conservatorismo. Non le annunciatissime tirate pro o contro governo di turno, non le polemiche local sui tulipani depennati dalla nota spese, non l’anacronistico golem del Pezzo Sanremese, entità che non muore mai, se mai si nasconde dentro l’indie, dentro la trap. No, il vero specchio del cambiamento impossibile è questo: l’attimo tra l’annuncio della canzone e l’artista, immobile come immobile è il Paese, che comincia a cantare. Alla fine noi italiani siamo gente semplice. Ci basta pane salame e dirige il maestro.

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