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Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

I russi sono tornati nemici anche sullo schermo

The Americans prima e McMafia poi riflettono il ritorno di un tipo di cattivo che era stato soppiantato dal terrorista mediorientale.

30 Maggio 2018

Per molte decadi, la presenza del pericolo russo ha pervaso in modo insistente la produzione cinematografica e televisiva di massa. Già prima dell’11 settembre, tuttavia, le serie americane e film hanno cominciato a raffigurare il Grande Nemico non più con i tratti di un russo ma con quelli di un mediorientale. Da Sleeper Cell, che mostrava la presenza di americani tra gli estremisti islamici, fino al recente Homeland, i russi sono stati relegati a villain di contorno.

Nel 2013, in controtendenza, esce The Americans, finito definitivamente con la sesta stagione questa primavera: la serie si concentra su una serie di sleeper cell russe che vivono negli Stati Uniti durante la Guerra fredda e mostra quanto la loro infiltrazione sia stata ben più capillare ed efficace rispetto a quelle arabe. The Americans, scritto da un ex agente della Cia come Joe Weisberg, è il tentativo di rappresentare in modo estremamente realistico una finta famiglia americana costruita a tavolino dall’Urss. Due diciottenni moscoviti estranei l’uno all’altra sono costretti a sposarsi, ad avere figli e a vivere nei sobborghi di Washington come perfetti americani, con tanto di microonde e station wagon, consigli di classe e colloqui con i professori. La loro vera attività tuttavia è sventare attacchi chimici, giustiziare collaborazionisti e condurre la doppia o forse tripla vita di agenti che carpiscono informazioni dovunque possono, intrecciando fittizie relazioni sentimentali.

Elizabeth e Philip (ossia Nadezhda e Misha) non somigliano alle tipiche spie da Guerra fredda dei film anni Sessanta. Sono pieni di dubbi, hanno crisi di coscienza, devono affrontare momenti drammatici quando i figli non sanno se seguire la strada dei genitori o restare fedeli cittadini di un’America la cui ideologia, ritratta a tinte fosche, è forte almeno quanto quella sovietica. La sincerità, l’ossessione di dover dire sempre la verità, hanno perso in America il mordente che avevano un tempo e le serie tv sono ormai ideologicamente molto lontane dal James Stewart di Mr. Smith Goes to Washington: siamo stati traumatizzati e rieducati non solo dalla rappresentazione cinica del potere di House of Cards, ma anche da una teoria di serie che, da destra e da sinistra, hanno intaccato la storica fiducia americana nel sistema legislativo, esecutivo e giudiziario. La politica, ovviamente, ha sempre influenzato la produzione televisiva, e l’elezione di un presidente con imbarazzanti collusioni con il governo Putin ha riproposto i russi come nemico pubblico numero uno. E il caso forse più eclatante di restaurazione dell’immagine della Russia come avversario per eccellenza è la produzione britannica McMafia.

Lo scandalo Skripal e l’uscita della serie McMafia, uno straordinario caso di serendipity mediatico, si somigliano perché hanno entrambi sensazionalizzato un sentimento comune tra gli occidentali, e cioè che i russi sia solo in apparenza europei, mentre in realtà sono indecifrabili e potenzialmente inquietanti quanto popoli ben più lontani ed esotici. È soprattutto anglo-americano l’antagonismo nei confronti di questo paese che ha le dimensioni di una galassia e una sconcertante commistione di culture, costumi e religioni. Le nuove serie su questi Stati Disuniti Russi, in cui ci ostiniamo a riconoscere ancora persone cariche di sospetto, una burocrazia kafkiana e un rapporto spregiudicato con la moralità, sembrano offrire al pubblico un’immagine più chiara, coerente e, a prima vista, imparziale di quel paese.

McMafia, tratta dal saggio omonimo di Misha Glenny, una sorta di incrocio tra il David Simon di The Wire e il Roberto Saviano di Gomorra. si prefigge di mostrare i legami indissolubili tra politica, economia e malavita. Al di là di un’ottica radicalmente diversa sull’affaire russe offerta dalle McMafia e The Americans, entrambe cercano di indagare l’anima russa attraverso intrecci e scandagli psicologici particolarmente sofisticati. Quella britannica è molto britannica, e ritrae il mondo nemmeno così sommerso del traffico di droga, di armi e di sesso come fosse una realtà parallela a quella a cui crediamo noi comuni mortali. I pericoli maggiori per questi malavitosi non sono le forze dell’ordine, ma le bande rivali; i loro traffici non hanno semplicemente un fine economico, ma cercano anche di ridefinire continuamente l’equilibrio di potere tra persone che rappresentano gli interessi di nazioni e gruppi politici.

La serie americana, invece, è costruita “alla russa”, alla Dostoevskij. Qui i due mondi rappresentati non viaggiano su binari paralleli, ma esistono proprio perché agiscono l’uno nell’operato dell’altro. Paradossalmente, se a guardare McMafia si ha l’impressione di leggere John le Carré, le puntate di The Americans sembrano ispirate a un’idea di rapporto tra il criminale e l’investigatore molto simile a quello tratteggiato da Dostoevskij in Delitto e Castigo. I personaggi russi creati dalla televisione americana diventano una specie di eroi che conducono un angosciante gioco psicologico con l’FBI, mentre quelli creati dalla televisione britannica sono cinici antieroi, i tipici russi senza scrupoli a cui i media ci hanno abituato.

E’ davvero notevole che, sebbene la Russia sia stata responsabile di tanta parte della coscienza e della vita europea come la conosciamo oggi, l’immaginario collettivo occidentale continui a percepirla una nazione estranea, ancillare, più vicina alla misteriosa Asia, a quel particolare modo che abbiamo di guardare agli orientali come se non fossimo mai veramente in grado di capire quello che pensano, quello che vogliono – quello che sono.

I russi hanno la pelle del nostro stesso colore, credono in un Dio cristiano, vestono e gesticolano come noi. Ci somigliano. Sono caucasici come noi, anzi, sono la definizione stessa di caucasico, amano bere troppo e fare follie, sembrano ossessionati dal sesso e, proprio come gli americani, credono che le informazioni cruciali vadano tenute nascoste alla popolazione e hanno grandi mire espansionistiche. E hanno eletto una sorta di zar in tutto e per tutto simile all’ultimo presidente americano. Ma non è forse questa inquietante somiglianza, come se un russo fosse intercambiabile come un americano, e al tempo stesso questa atavica diversità, a renderli così minacciosi?

Foto: nel testo (prima immagine) The Americans, in evidenza e nel testo (seconda immagine) McMafia
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