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Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

RRR, dall’India con furore

Storia del successo mondiale, tra streaming e sale, dell'action movie di S. S. Rajamouli, che sta portando il pubblico occidentale alla scoperta del cinema indiano e che potrebbe addirittura essere candidato agli Oscar.

09 Dicembre 2022

Che cos’hanno in comune Jennifer Beals (Alex di Flashdance), i fratelli Russo (registi di Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame ed Everything Everywhere All At Once) e James Gunn (regista dei Guardiani della Galassia, di Suicide Squad e capo dell’universo cinematografico DC)? Sono tutti ossessionati da un film intitolato RRR, tripla r che sta per “Rise Roar Revolt”, dodicesimo film di S. S. Rajamouli, uno dei registi più famosi e amati del cinema indiano. Jennifer Beals è una tale fan che, quando ha saputo che Rajamouli era a Los Angeles per promuovere il film, ha organizzato una proiezione a sue spese sperando lui si presentasse «così da poterlo ringraziare di persona». È possibile lo abbiate visto passare nella vostra home di Netflix, RRR. All’inizio di giugno il film è arrivato sulla piattaforma streaming ed è finito dritto dritto nella top 10 globale. Negli Stati Uniti addirittura in top 5, alle spalle di un paio di produzioni Netflix, un film horror di cui ci siamo già dimenticati tutti e del primo Top Gun. Quando gli hanno riferito la cosa, Rajamouli è andato subito a controllare che fosse vera. Ha aperto Netflix, si è assicurato che questa storia della classifica globale e di quella Usa non fosse uno scherzo, e subito dopo si è incazzato moltissimo. Alla prima pubblica occasione – un’intervista concesso proprio a Netflix, intervistatori i fratelli Russo, «onorati» di incontrare il regista di uno dei loro film dell’anno – Rajamouli ha fatto sapere alla piattaforma che così proprio non va: «Innanzitutto – ha detto, rispondendo alla prima domanda – sono molto arrabbiato con Netflix perché hanno reso disponibile solo la versione in lingua hindi del film e non anche le altre quattro. Quindi, ho di che lamentarmi con loro. Poi sì, certo, sono rimasto sorpreso dal successo che il film ha avuto in Occidente».

Scoprire RRR significa anche scoprire la complessità del mercato cinematografico indiano, un mercato che produce e vende oltre duemila film ogni anno. O meglio: significa anche scoprire che non esiste un solo mercato cinematografico indiano. L’equivalenza tra cinema indiano e Bollywood è sbagliata, come dimostra l’incazzatura di Rajamouli. RRR non è una produzione bollywoodiana ed è per questo che il regista se l’è presa tanto per il fatto che Netflix abbia deciso di presentare il film ai suoi abbonati solo in una versione “adattata” e non in quella originale. Rajamouli e RRR, infatti, sono prodotti di Tollywood, l’industria cinematografica dell’India meridionale. Se Bollywood è Bombay, Tollywood è Hyderabad. Se a Bollywood si parla la lingua hindi, a Tollywood si parla quella telugu, la lingua degli Stati dell’Andhra Pradesh e del Telangana. Il mercato cinematografico indiano è così complicato che non è detto che ciò che piace a Bombay piaccia a Hyderabad. Non è detto neanche che quello che esce a Bombay esca anche a Hyderabad. Da qui viene una delle peculiarità di RRR: il film in India è piaciuto a tutti. È stato tradotto in quattro lingue con quattro titoli diversi (scelti tra quelli suggeriti dal pubblico): in tamil con il titolo Rattam Raṇam Rauttiram, in kannada con Raudra Raṇa Rudhira, in malayalam con Rudhiram Raṇam Raudhram e in hindi con Rise Roar Revolt (il titolo originale in telugu è Raudraṁ Raṇaṁ Rudhiraṁ). È diventato il secondo maggior successo della storia del cinema indiano, il secondo maggior successo in lingua Telugu e il film che ha incassato di più nell’Andhra Pradesh e nel Telangana (primato che Rajamouli ha strappato a se stesso: finora in cima a questa classifica c’era il suo Baahubali 2). Per qualche ragione che nemmeno Rajamouli è fin qui riuscito a spiegarsi, RRR è stato anche il film straniero che ha incassato di più al box office giapponese nel 2022. Un fatto che il regista ha detto più volte di trovare estremamente divertente.

Di cosa parla RRR? La storia è ambientata a Delhi negli anni Venti, gli anni del British Raj, dell’impero anglo-indiano. I protagonisti sono due versioni romanzate di Alluri Sitarama Raju (già protagonista di un classico indiano degli anni Settanta, Alluri Seetarama Raju) and Komaram Bheem, rivoluzionari che hanno davvero combattuto gli inglesi in quegli anni ma che nella vita vera non si sono mai incontrati. RRR può essere considerato un’ucronia, una versione alternativa della storia indiana in cui queste due figure si sono conosciute, sono diventate amiche, si sono tenute nascoste i rispettivi segreti, si sono tradite, hanno combattuto prima una contro l’altra e poi una accanto all’altra, un po’ The Departed e un po’ buddy film. Ma RRR è soprattutto le cose che con la sinossi non c’entrano nulla: è carrozze in fiamme trainate da cavalli bianchi, è tigri prese a cazzotti nel muso con un braciere acceso, è lunghissime e bellissime sequenze di danza piazzate nel mezzo delle scene, è una voce fuori campo che spiega – cantando, ovviamente – quello che sta succedendo sullo schermo, è un uomo nudo che fa indietreggiare una tigre ruggendole in faccia. È un action movie come ormai non se ne vedono più tanti, un blockbuster nella stessa categoria di peso di Fast & Furious, dei supereroi Marvel e di quelli DC. Spiegando la storia del film, Rajamouli ha raccontato che tutto è cominciato con i consumi ossessivi di un giovanissimo cinefilo: da ragazzino passava giornate intere chiuso dentro un cinema, guardando un film d’azione hollywoodiano dopo l’altro. «Ne vedevo talmente tanti che per un periodo della mia vita sono stato convinto che tutti i film in inglese fossero action movies». Poi i suoi gusti si sono ampliati e adesso, quando si tratta di riassumere RRR in due ispirazioni, dà una risposta che spiazza quasi sempre l’interlocutore: «È una specie di incrocio tra I diari della motocicletta e Bastardi senza gloria».

In questi giorni di RRR si è ricominciato a parlare molto perché il film potrebbe addirittura essere candidato all’Oscar (in quali e quante categorie al momento non è dato saperlo). La prima volta che Dylan Marchetti, manager del distributore Variance Film che si sta occupando dell’”award push” di RRR – l’anno scorso si è occupato di quella di Drive My Car, finita con la vittoria del film di Ryūsuke Hamaguchi – ha accennato a Rajamouli di sottoporre il film all’attenzione dell’Academy, Rajamouli si è messo a ridere. Poi è partito per gli Stati Uniti per seguire la nuova distribuzione nelle sale cinematografiche di RRR (il film è arrivato in sala due volte, una in primavera e una in corrispondenza dell’uscita su Netflix con la rinnovata tagline EncoRRRe) e si è reso conto di quanto il film stesse piacendo al pubblico americano. Quello che lo ha colpito di più è stato il successo riscosso dai due protagonisti, Ram Charam (che interpreta Raju) e Tarak Rao (Bheem). «Tutti mi dicono quanto è bello Ram e che occhi espressivi ha Tarak». Per Rajamouli si tratta di un successo personale: Charam e Rao, per Tollywood, sono quello che per Hollywood erano Stallone e Schwarzenegger negli anni Ottanta. I due attori appartengono a due dinastie del cinema in lingua telengu, ultimi eredi di famiglie concorrenti e rivali. Nessun Charam, infatti, ha mai accettato di condividere lo schermo con un Rao. Fino a quando Rajamouli non ha convocato Ram Charam e Tarak Rao a casa sua per un’intensa sessione di convincimento al termine della quale i due attori, frastornati, non hanno potuto fare altro che accettare la proposta. Succedeva, questo, nel 2018. Per completare il film ci sono voluti quattro lunghissimi, estenuanti anni. In parte a causa delle continue interruzioni delle riprese dovute alla pandemia. In parte a causa delle difficoltà nei viaggi internazionali, sempre dovuti alla pandemia: il finale del film – che contiene l’ormai virale “Naatu Naatu dance”, oggetto di gif e meme tra le migliori prodotte nella storia dell’internet – è stata girata al Palazzo Mariinsky di Kiev, nel 2021. In parte – soprattutto, in realtà – per colpa del cinema esagerato di Rajamouli: la prima scena del film, quella in cui Raju respinge da solo una folla inferocita composta da centinaia e centinaia di persone, ha richiesto dieci giorni di preparazione e poi altri venti di riprese. Un mese per girare una scena, l’apertura di un film lungo poco più di tre ore. Un film che ha già vinto nella categoria “Miglior film straniero” ai Saturn Award e che ora prepara la campagna per gli Oscar. Rajamouli si dice ottimista perché in questi mesi di proiezioni e promozioni in mezzo mondo gli è successa una cosa nuova: «Parlandomi del film, nessuno me lo ha mai definito “un film indiano”. Credo sia il segno che i pubblici occidentali sono pronti anche per tutto il resto, non solo per RRR».

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