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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Come Pappa e Ciccia è diventato un caso politico in America

Sembrava quasi si fosse trovato il modo di rappresentare la working class trumpiana. E invece.

31 Maggio 2018

Pappa e Ciccia è il nome italiano di una sit-com americana pensata per il grande pubblico, andata in onda sulla Abc tra gli anni Ottanta e Novanta e, da noi, su Canale 5 negli anni Novanta. Se avete più di trent’anni, ve la ricorderete: una coppia di ciccioni working class, lei è Roseanne Barr, la protagonista del film cult She-Devil, quello in cui una gnocchissima e ochissima Meryl Streep le ruba il marito, lui è John Goodman, il militarista sbroccato del Grande Lebowski. Lui ha il senso pratico, lei il sarcasmo. Il titolo originale, quello che gli americani conoscono, era proprio Roseanne, che poi è sia il nome dell’attrice protagonista che della protagonista stessa (il personaggio di John Goodman invece si chiama Dan). Poi è arrivato il reboot. Che ha iniziato ad andare in onda, sempre su Abc, lo scorso marzo. Fin dall’inizio, negli Usa, se n’è parlato molto. E adesso lo show è stato cancellato, per via di un tweet pesantemente razzista della protagonista. Che è, a volere usare un eufemismo, politicamente scorretta, per non dire un troll trumpiano. Eppure tutto il buzz che ha accompagnato la nuova, breve stagione di Roseanne non riguarda soltanto la sua controversa attrice principale. Nella sua nuova veste, Pappa e Ciccia è stato un caso mediatico e politico a tutto tondo: c’entrano Trump, la percezione della white working class, e tutto il dibattito di cui avrete sentito sulla lontananza delle élite e il Paese reale.

Il contesto, in questo caso, è tutto. A differenza di molte altre sit-com di successo (Seinfeld, I Robinson, Friends, Modern Family, Curb your enthusiasm, eccetera), che il più delle volte sono ambientate in contesti della classe medio-alta, Roseanne raccontava la vita della classe lavoratrice. Non solo: la rappresentava in modo economicamente realistico. Insomma, I Simspson faranno parte della classe lavoratrice anche loro, però nessuno si fa domande su come possano avere una casa così grande, o vivere in cinque con il solo stipendio da operaio sotto-qualificato che ha Homer. I Conner, la famiglia di Roseanne, invece sono sempre presi dalle piccole fatiche di chi non arriva a fine mese. La mamma, che nella prima stagione è operaia sotto-qualificata pure lei, non sa come andare al colloquio insegnanti-genitori della scuola della figlia, perché poi il caporeparto le scala un’ora di paga ed è un casino.

Il reboot è arrivato in un momento in cui non si faceva altro che parlare della working class, anzi di una certa working class, bianca, impoverita, che vive nelle aree rurali o nelle città lontano dalle coste Est e Ovest. Un settore della popolazione che, o così almeno s’è detto, si è sentito ignorato dai politici, dai centri di potere. Un gruppo demografico risentito nei confronti delle élite (e, aggiungerebbero i cattivi, anche nei confronti delle minoranze etniche, delle donne, dei gay, rei di prendersi sempre più spazio). Un settore che, a quanto pare, ha votato in massa per Trump. E che, non ultimo, ha poche rappresentazioni nell’industria dell’intrattenimento. Nel 2018 si sentiva bisogno di qualcosa come Roseanne, e infatti Roseanne è tornata.

All’inizio, i media liberal, quelli che col mondo raccontato dalla sit-com, sono affascinati, quasi innamorati. Finalmente si dà voce a qualcuno che noi non abbiamo saputo capire e raccontare. Leggete quello che scrivevano Vanity Fair e il New York Times, del resto siamo in piena fase di mea culpa da parte delle élite, che, superata l’incazzatura del 2016-2017, cominciano a farsi domande su dove abbiano sbagliato, se non siano state troppo snob, forse i poveracci qualche ragione di odiarci ce l’hanno. Inizialmente Roseanne dà ai liberal esattamente quello che vogliono: la protagonista, si scopre, è felicemente trumpiana, però sua sorella ha votato Hillary; tutte e due, che ormai sono diventate signore in tarda mezza età, hanno problemi a pagarsi i medicinali da quando è stato revocato l’Obamacare. Roseanne è incazzata nera col mondo che cambia, però vuole bene al nipotino dodicenne che vuole vestirsi da ragazza: non lo capisce, all’inizio non lo rispetta, però lo ama, lo protegge e alla lunga impara quasi a rispettarlo. Verrebbe quasi da pensare che sia una nonna migliore lei, che dice al nipote che i maschi non si mettono lo smalto poi però lo abbraccia, rispetto a una sciura qualunque di Brooklyn che si riempie la bocca di diritti Lgbt ma i nipotini non se li fila. È una rappresentazione light del trumpismo, che mette pulci nell’orecchio, e la cosa da chiedersi è se non sia piuttosto una proiezione dei liberal, che hanno bisogno di raccontarsela così: c’è un lato umano dietro la rabbia, basta solo capirlo, trovarlo, e questo Paese guarirà. Del resto gli sceneggiatori, a cominciare dalla bravissima Wanda Sykes, sono per la maggior parte liberal.

Lei, invece, non lo è per niente. Roseanne Barr è trumpiana. Avrebbe anche un passato nel Green Party, ma si è convertita. Non è l’unica, peraltro, e in fondo che c’è di male? Non è forse un bene che l’industria dell’intrattenimento abbia un altro esponente della maggioranza, qualcuno che non sia Kanye West? Il problema non è che Roseanne, l’attrice, è trumpiana, proprio come Roseanne, il personaggio. Il problema è che si trasforma nella peggiore categoria trumpiana: il troll à la Milo Yannopolous. In quel mondo, che non è un mondo piccolo, diventa un punto di riferimento, con più di un milione di follower su Twitter. Martedì, la scivolata irreparabile: in un tweet, peraltro completamente gratuito, dà della scimmia a un’assistente di Obama che è di origine afro-americana, proprio come Calderoli diede dell’orango a Cécile Kyenge. Già che c’è, tira in ballo i Fratelli Musulmani e accusa Chelsea Clinton di essere imparentata con Soros (che, come nota l’interessata, non è mica un insulto, ma voleva esserlo, e comunque non è vero). Dopo un po’ si scusa, ma è troppo anche nell’era Trump, e così l’Abc cancella lo show. Dando prova di non essere in pieno possesso delle sue facoltà, Roseanne prova a dare colpa a uno psicofarmaco che prende. Risponde a stretto giro la casa che lo produce: tutti i medicinali danno effetti collaterali, il razzismo non è uno di questi.

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