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Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.
Stasera La chimera di Alice Rohrwacher arriva per la prima volta in tv, su Rai 3 Un film d'autore per festeggiare l'apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2025.
Emma Stone, che in Bugonia interpreta una donna accusata di essere un alieno, crede nell’esistenza degli alieni E ha spiegato anche perché: lo ha capito guardando la serie Cosmos di Carl Sagan.

Come Pappa e Ciccia è diventato un caso politico in America

Sembrava quasi si fosse trovato il modo di rappresentare la working class trumpiana. E invece.

31 Maggio 2018

Pappa e Ciccia è il nome italiano di una sit-com americana pensata per il grande pubblico, andata in onda sulla Abc tra gli anni Ottanta e Novanta e, da noi, su Canale 5 negli anni Novanta. Se avete più di trent’anni, ve la ricorderete: una coppia di ciccioni working class, lei è Roseanne Barr, la protagonista del film cult She-Devil, quello in cui una gnocchissima e ochissima Meryl Streep le ruba il marito, lui è John Goodman, il militarista sbroccato del Grande Lebowski. Lui ha il senso pratico, lei il sarcasmo. Il titolo originale, quello che gli americani conoscono, era proprio Roseanne, che poi è sia il nome dell’attrice protagonista che della protagonista stessa (il personaggio di John Goodman invece si chiama Dan). Poi è arrivato il reboot. Che ha iniziato ad andare in onda, sempre su Abc, lo scorso marzo. Fin dall’inizio, negli Usa, se n’è parlato molto. E adesso lo show è stato cancellato, per via di un tweet pesantemente razzista della protagonista. Che è, a volere usare un eufemismo, politicamente scorretta, per non dire un troll trumpiano. Eppure tutto il buzz che ha accompagnato la nuova, breve stagione di Roseanne non riguarda soltanto la sua controversa attrice principale. Nella sua nuova veste, Pappa e Ciccia è stato un caso mediatico e politico a tutto tondo: c’entrano Trump, la percezione della white working class, e tutto il dibattito di cui avrete sentito sulla lontananza delle élite e il Paese reale.

Il contesto, in questo caso, è tutto. A differenza di molte altre sit-com di successo (Seinfeld, I Robinson, Friends, Modern Family, Curb your enthusiasm, eccetera), che il più delle volte sono ambientate in contesti della classe medio-alta, Roseanne raccontava la vita della classe lavoratrice. Non solo: la rappresentava in modo economicamente realistico. Insomma, I Simspson faranno parte della classe lavoratrice anche loro, però nessuno si fa domande su come possano avere una casa così grande, o vivere in cinque con il solo stipendio da operaio sotto-qualificato che ha Homer. I Conner, la famiglia di Roseanne, invece sono sempre presi dalle piccole fatiche di chi non arriva a fine mese. La mamma, che nella prima stagione è operaia sotto-qualificata pure lei, non sa come andare al colloquio insegnanti-genitori della scuola della figlia, perché poi il caporeparto le scala un’ora di paga ed è un casino.

Il reboot è arrivato in un momento in cui non si faceva altro che parlare della working class, anzi di una certa working class, bianca, impoverita, che vive nelle aree rurali o nelle città lontano dalle coste Est e Ovest. Un settore della popolazione che, o così almeno s’è detto, si è sentito ignorato dai politici, dai centri di potere. Un gruppo demografico risentito nei confronti delle élite (e, aggiungerebbero i cattivi, anche nei confronti delle minoranze etniche, delle donne, dei gay, rei di prendersi sempre più spazio). Un settore che, a quanto pare, ha votato in massa per Trump. E che, non ultimo, ha poche rappresentazioni nell’industria dell’intrattenimento. Nel 2018 si sentiva bisogno di qualcosa come Roseanne, e infatti Roseanne è tornata.

All’inizio, i media liberal, quelli che col mondo raccontato dalla sit-com, sono affascinati, quasi innamorati. Finalmente si dà voce a qualcuno che noi non abbiamo saputo capire e raccontare. Leggete quello che scrivevano Vanity Fair e il New York Times, del resto siamo in piena fase di mea culpa da parte delle élite, che, superata l’incazzatura del 2016-2017, cominciano a farsi domande su dove abbiano sbagliato, se non siano state troppo snob, forse i poveracci qualche ragione di odiarci ce l’hanno. Inizialmente Roseanne dà ai liberal esattamente quello che vogliono: la protagonista, si scopre, è felicemente trumpiana, però sua sorella ha votato Hillary; tutte e due, che ormai sono diventate signore in tarda mezza età, hanno problemi a pagarsi i medicinali da quando è stato revocato l’Obamacare. Roseanne è incazzata nera col mondo che cambia, però vuole bene al nipotino dodicenne che vuole vestirsi da ragazza: non lo capisce, all’inizio non lo rispetta, però lo ama, lo protegge e alla lunga impara quasi a rispettarlo. Verrebbe quasi da pensare che sia una nonna migliore lei, che dice al nipote che i maschi non si mettono lo smalto poi però lo abbraccia, rispetto a una sciura qualunque di Brooklyn che si riempie la bocca di diritti Lgbt ma i nipotini non se li fila. È una rappresentazione light del trumpismo, che mette pulci nell’orecchio, e la cosa da chiedersi è se non sia piuttosto una proiezione dei liberal, che hanno bisogno di raccontarsela così: c’è un lato umano dietro la rabbia, basta solo capirlo, trovarlo, e questo Paese guarirà. Del resto gli sceneggiatori, a cominciare dalla bravissima Wanda Sykes, sono per la maggior parte liberal.

Lei, invece, non lo è per niente. Roseanne Barr è trumpiana. Avrebbe anche un passato nel Green Party, ma si è convertita. Non è l’unica, peraltro, e in fondo che c’è di male? Non è forse un bene che l’industria dell’intrattenimento abbia un altro esponente della maggioranza, qualcuno che non sia Kanye West? Il problema non è che Roseanne, l’attrice, è trumpiana, proprio come Roseanne, il personaggio. Il problema è che si trasforma nella peggiore categoria trumpiana: il troll à la Milo Yannopolous. In quel mondo, che non è un mondo piccolo, diventa un punto di riferimento, con più di un milione di follower su Twitter. Martedì, la scivolata irreparabile: in un tweet, peraltro completamente gratuito, dà della scimmia a un’assistente di Obama che è di origine afro-americana, proprio come Calderoli diede dell’orango a Cécile Kyenge. Già che c’è, tira in ballo i Fratelli Musulmani e accusa Chelsea Clinton di essere imparentata con Soros (che, come nota l’interessata, non è mica un insulto, ma voleva esserlo, e comunque non è vero). Dopo un po’ si scusa, ma è troppo anche nell’era Trump, e così l’Abc cancella lo show. Dando prova di non essere in pieno possesso delle sue facoltà, Roseanne prova a dare colpa a uno psicofarmaco che prende. Risponde a stretto giro la casa che lo produce: tutti i medicinali danno effetti collaterali, il razzismo non è uno di questi.

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