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Renzi, Berlusconi e la partita sul dopo Napolitano

Le fumate nere di questi giorni sulla Consulta possono essere lette come un avvertimento da parte di opposizioni interne e correnti varie: cari Silvio e Matteo, con questo parlamento irrequieto, il prossimo Presidente delle Repubblica non lo eleggerete da soli.

di Claudio Cerasa

Roma – Nella settimana in cui il governo cercherà di far approvare in aula al Senato il discusso provvedimento sul lavoro con il quale Matteo Renzi vorrebbe provare a superare il vecchio statuto dei lavoratori, il segnale più insidioso che arriva sul taccuino del rottamatore non riguarda solo il movimento minaccioso dei parlamentari ultra sindacalizzati del Partito democratico, che continueranno ad agitarsi molto fino alla prossima direzione del Pd, quella del 29, quando Renzi metterà ai voti il progetto di legge già approvato in commissione lavoro a Palazzo Madama. Riguarda un tema più delicato e potenzialmente ancora più insidioso da cui non dipende questa legislatura ma da cui dipendono, in un certo senso, i prossimi sette anni del paese.

La partita che si aprirà il prossimo anno, salvo elezioni anticipate, è quella del Quirinale, quella del dopo Napolitano, in vista della quale tutti, a destra e al centro e ovviamente a sinistra, cominciano a muovere le proprie truppe pensando al giorno in cui Re George deciderà di fare un passo indietro. Nel Palazzo girano voci incontrollate che neanche il secondo tragico Fantozzi (“Nel buio della sala correvano voci incontrollate e pazzesche. Si diceva che l’Italia stava vincendo per 20 a 0 e che aveva segnato anche Zoff di testa, su calcio”). E così è facile trovare chi ti dica, con grande convinzione e altrettanta autorevolezza, che Roberta Pinotti è la donna perfetta, che Walter Veltroni è lì che si muove, che Dario Franceschini è lì che ci spera, che Pier Ferdinando Casini è lì che sposta pedoni, che Mario Draghi è lì che aleggia, che Giuliano Amato è lì che ci prova, che Romano Prodi è lì che si dispera.

Tutto vero e tutto plausibile. Se non fosse che nello schema immaginato finora da Renzi c’è un tassello che rischia di non andare nel verso giusto: il patto con Berlusconi. Non è un mistero: una delle ragioni per cui il Cavaliere è così morbido con il segretario del Pd è legata anche al fatto che oltre la profonda sintonia sulle riforme istituzionali (e forse anche sulla riforma del lavoro) la sintonia tra Berlusconi e Renzi dovrà essere buona anche per quanto riguarda la selezione del successore di Napolitano. E’ una questione di logica: con questo Parlamento irrequieto (do you remember our 101 friends?) non esiste un candidato che possa essere votato a scrutinio segreto senza che ci sia un grande accordo con l’opposizione, e considerando che l’unica opposizione con cui si può realisticamente dialogare è quella di Forza Italia (gli altri, i ragazzi a 5 stelle, sono impegnati con i califfi). E dunque, evidentemente, il patto del Nazareno non può che estendersi anche per il prossimo dossier sul Quirinale. Fino a oggi, con il voto palese, vedi il caso della riforma costituzionale, vedi il caso della riforma elettorale, vedi il caso del titolo V e vedi ora, forse, il caso della riforma del lavoro, il giochino per Renzi è stato semplice: utilizzare i voti di Forza Italia per sterilizzare la propria opposizione interna. Con il voto palese, per Renzi non esistono grossi problemi. Ma quando il voto si fa segreto, i duri cominciano a giocare.

E se domani il voto segreto più importante per la coppia Renzi e Berlusconi riguarderà il futuro del Quirinale, in questi giorni una prima prova per la coppia del gol è stata la nomina dei giudici della Consulta. Una prova che, come è noto, non è andata bene. Fino a oggi, mercoledì 24 settembre, sono quattordici le votazioni andate in fumo per scegliere i membri della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura. E se dopo un lungo susseguirsi di votazioni alla fine il Csm è riuscito ad avere un suo ordine (vicepresidente, salvo sorprese, dovrebbe essere, con il benestare di Forza Italia, Giovanni Legnini, ex sottosegretario all’Economia del governo Renzi), per la Consulta, per la quale occorre una maggioranza dei 3/5 dell’Assemblea, ancora nulla di fatto: i franchi tiratori, di centrodestra e di centrosinistra, hanno fatto mancare sistematicamente il numero di voti necessario per eleggere i membri laici della Corte costituzionale.

Perché? Trovare un filo e una trama nei gruppi parlamentari di Pd e Forza Italia non è semplice ma, a guardar bene, il messaggio esplicito consegnato a Berlusconi e Renzi dall’epopea della nomina dei membri della Consulta è chiaro: il patto del Nazareno da solo non è sufficiente per far marciare il Parlamento; per prendere le decisioni importanti vanno sollecitati anche i capi corrente; per prendere le decisioni ancora più delicate occorre rivolgersi anche a Sel (difficile) e soprattutto alla Lega (14 senatori); e dunque per scegliere il prossimo presidente della Repubblica non sarà sufficiente che Renzi e Berlusconi decidano da soli il nome giusto da proporre per il dopo Napolitano. Il messaggio è arrivato forte e chiaro al Pd e a Forza Italia. E i franchi tiratori che oggi hanno fatto mancare i loro voti a Violante e Bruno lo hanno fatto anche per ricordare che Renzi e Berlusconi, da soli, sulle partite come quella del Quirinale, con questo parlamento rischiano di offrire uno spettacolo stile corazzata Potemkin: una cagata pazzesca.