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21:27 martedì 30 dicembre 2026
L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

La Spagna è a un punto di non ritorno?

Perché il referendum catalano del 1 ottobre è stato una sconfitta per tutti.

02 Ottobre 2017

Prima di domandarci come andrà a finire questa storia – la situazione è talmente confusa che tutte le opzioni sono in gioco, compresa quella fino a ieri assurda di poter assistere in un futuro prossimo a una sfilata di carri armati che percorrono la via Layetana in difesa della costituzione – dovremmo fermarci a riflettere su cosa ha rappresentato, per la storia spagnola, la giornata di ieri. Le foto dei volti insanguinati di cittadini catalani che davanti ai seggi chiedevano solo di votare (forse non pienamente consapevoli che si trattava di un referendum fantoccio) e addirittura gli scontri tra diversi corpi dello Stato hanno definitivamente sancito una frattura e messo la parola fine ad una pax mai del tutto perpetua che teneva faticosamente insieme il Paese dal 1978, quando il popolo spagnolo scelse di voltare pagina, di lasciarsi alle spalle oltre trent’anni di dittatura e di votare a favore di una nuova costituzione. Quella costituzione che oggi i leader indipendentisti considerano “ostile” ma che allora gli garantiva larga autonomia, al punto che scelsero il Sì il 91,09 per cento dei votanti. Non a caso la Catalogna, ultimo bastione di resistenza antifranchista durante la Guerra Civile e per questo mai perdonata da un regime che aveva nel centralismo una delle componenti primarie della sua ideologia, insieme all’Andalucía fu la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza più ampia quella costituzione.

Chi ha avuto il privilegio di leggere Soldati di Salamina, uno dei libri migliori dello scrittore spagnolo Javier Cercas, forse ricorderà che la meravigliosa storia tra realtà e finzione che si sviluppa intorno all’incontro tra il gerarca Rafael Sanchez Mataz, ideologo e fondatore della Falange, e l’eroe miliziano comunista Miralles, può anche essere letta come il tentativo di raccontare la fine delle due Spagne, di immaginare un’uscita dalle trincee e di provare a intraprendere un percorso nuovo, faticoso, fatto certo di compromessi e di memorie concordate ma anche di riscatto repubblicano. In sintesi un tentativo letterario di riconciliazione, che in Spagna era iniziato parecchi anni prima, nel 1977, quando il Governo di Adolfo Suarez, il primo eletto grazie a una maggioranza parlamentare, emanò una amnistia contro i delitti politici commessi da e contro il passato regime, in seguito conosciuto come Patto dell’oblio. Allora il quotidiano El Pais, interpretando il senso della legge, scrisse in un anonimo editoriale che «la Spagna democratica deve d’ora in avanti guardare al futuro, prendendo le distanze da quarant’anni di dittatura». Ecco, la sensazione è che qualsiasi cosa accada nei prossimi giorni quella fase storica di coesistenza democratica, tenuta insieme da compromessi e reciproci favori politici, quando non erano ricatti, sia arrivata ad un punto di non ritorno.

SPAIN-CATALONIA-POLITICS-REFERENDUM-DEMO

La giornata di ieri, è innegabile, è stata una sconfitta per tutti. Ci sarà tempo per analizzare il ruolo e la posizione dell’Europa, fino ad ora colpevolmente silente in attesa di non si capisce bene quale soluzione, ma è evidente come in campo spagnolo le responsabilità non si possano attribuire ad una parte sola, a meno che non si voglia far leva sulla peggior propaganda. La furia indipendentista e l’accelerazione forsennata impressa nell’ultimo periodo dai leader catalanisti, dovuta in gran parte alla consapevolezza della debolezza del Governo nazionale, è andata molto al di là dello spirito indipendentista che da tempo anima una larga fetta dell’elettorato catalano. La soluzione più razionale, da parte del presidente della Generalidad, e delle differenti forze che lo appoggiano, sarebbe stata ovviamente quella di un passo indietro, almeno momentaneo, così da sedersi intorno al tavolo da una posizione di forza e capire le reali intenzioni del Governo. Si è invece deciso di giocare la partita fino in fondo, capitalizzando un vantaggio politico enorme ma portando al tempo stesso il Paese sull’orlo di un collasso e di una crisi democratica mai accaduta negli ultimi quarant’anni.

Ma la partita dell’indipendenza Catalana ha mostrato, ancora una volta, la debolezza politica del del premier Mariano Rajoy, a cui va indiscutibilmente la colpa di aver trasformato un referendum illegale, sostenuto da meno della metà della popolazione, in uno straordinario spot indipendentista e nell’immagine di un popolo che si batte contro lo Stato oppressore. Un leader stanco e immobile, che non ha trovato altra soluzione che provare a salvare la Spagna “con i mattoni dell’antico”, come avrebbe scritto lo storico Paul Preston. Ha perfettamente ragione El Pais quando scrive oggi nel suo editoriale che oltre a ripetere quanto sia importante garantire lo Stato di diritto, Rajoy deve chiarire in fretta, se ne è capace, quello che è realmente disposto a fare per salvare la Spagna e le sue 17 autonomie. Mai come in questo momento serve un progetto serio e credibile per il futuro del Paese. In caso contrario, la via sembra già segnata.

Foto Getty
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