La musica di Oscar Powell è stata definita in ogni modo: post-punk, no wave, quasi-industrial, techno, noise, addirittura dance. Anzi, è stato proprio lui a definirla dance. Se per “dance” infatti si intende far ballare il pubblico che ti ascolta in cameretta, o quello che viene a sentir girare i tuoi dischi, la definizione di Powell non fa una piega. A leggerli così, tutte quei nomi, sembrerebbero casuali e confusionari, ma servono invece a rendere conto a Powell dello stile musicale che ha creato da sé, prendendo in prestito elementi un po’ da una un po’ dall’altro, modellando un suono che aveva come unico obiettivo quello di far divertire gli altri. Una creatività che non può che nascere da un intrinseco bisogno di espressione, e infatti in un illuminante pezzo su di lui, Ryan Keeling di Resident Advisor ha scritto «la club music che Oscar Powell voleva sentire non esisteva, così l’ha fatta da solo».
“Club music” è una delle espressioni più importanti e ricorrenti nella vita artistica di Oscar Powell, pubblicitario inglese che ha poi trovato il modo di incanalare il suo talento nella musica, prima nelle produzioni e poi nel djing. Prima ancora di essere il titolo del suo ultimo Ep, club music è stato il principale motore della ricerca musicale di Powell e, citandolo: «Un invito a misurare i limiti che è possibile raggiungere, entro i quali far ancora muovere le persone». Una ricerca che parte da “The Ongoing Significance Of Steel And Flesh”, uno dei suoi lavori forse più spogli, di un suono prettamente lineare, che è andato distorcendosi nel tempo, per diventare sempre più provocatorio, a tratti beffardo. Powell trovava tutto troppo confortevole e appiattito ai gusti dell’ascoltatore, per non cercare di “disturbare” la bolla in cui il pubblico s’era adagiato.
Il club rappresenta l’ultima esternazione musicale, l’habitat in cui lo scopo ultimo delle sue produzioni trova terreno fertile
La provocazione è d’altronde una delle armi migliori che Powell può giocarsi. Qualche anno fa, in occasione del CTM festival, allo storico Berghain di Berlino – un sorta di tempio mondiale della club music – Powell suonò una traccia del gruppo new beat belga Bassline Boys – moderatamente celebri in Belgio e Francia solo per quel pezzo – che campionava le voci di alcuni dei più influenti protagonisti della Seconda guerra mondiale, tra cui Churchill, ma soprattutto Hitler e il saluto nazista “Sieg Heil”. La traccia si chiamava eloquentemente “Warbeat”. Un’altra volta ha campionato George W. Bush, o meglio, un discorso di Bush tagliuzzato ad hoc da Lenka Clyton in modo da essere ridicolo. Ma promette che non c’è nulla di politico in quello che fa, lui vive il punk «come puro fattore estetico. È per questo che ho sempre cercato di orientare la mia label verso l’estetica. Non c’è un gran significato o intento sia per la mia musica che per la mia label al di fuori dell’estetica. Potresti quasi definirla superficiale», ha detto una volta a Electronic Beats.
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