Un ritratto di Piero Gandini davanti allo showroom di Flos, in Corso Monforte 9 (fotografia di Federica Sasso)

Industry | Dal numero

Piero Gandini, Flos e la sfida della bellezza

Solidamente al timone di Flos, è da poco diventato presidente di Design Holding, un gruppo che riunisce, oltre alla sua azienda, anche B&B Italia e Louis Poulsen.

di Alessandro Mitola

La storia di Flos è costellata da quelli che siamo abituati a chiamare “maestri del design”. È il 1962, Dino Gavina e Cesare Cassina i fondatori, il settore quello dell’illuminazione. Grossomodo è cominciata così la lunga vita delle lampade a marchio Flos, che ha visto protagonista la famiglia Gandini per due generazioni, con oggi al timone Piero Gandini, figlio di Sergio. Bresciano, classe 1963, da poco ha assunto la carica di presidente di Design Holding, un nuovo polo nel panorama del design di alta gamma partecipato dai fondi di private equity Investindustrial e Carlyle, oltre che da lui stesso e da Giorgio Busnelli, e formato da Flos, B&B Italia e Louis Poulsen.

Lei ha conosciuto il sistema design quando era molto giovane, a 24 anni, un bel vantaggio. Come è cambiato il settore negli ultimi vent’anni?
Se si guarda la struttura nel suo complesso è cambiato molto poco. La matrice di fondo è fatta di aziende dedite all’innovazione che parlano il linguaggio del design, e lo fanno con un atteggiamento totalmente votato al prodotto. Le imprese italiane, è cosa nota, nascono con una visione “prodottocentrica”. Può sembrare un limite, e in parte forse lo è, ma in una certa misura rappresenta una discriminante positiva rispetto alla proposta degli altri Paesi. Da un lato il settore è migliorato: le aziende sono più preparate, più internazionali. Dall’altro, rispetto agli anni Sessanta e Settanta si è perso forse un po’ di coraggio nella proposta progettuale. Potrebbe essere una mancanza pericolosa a medio e lungo termine. Come si suol dire, quando fai avanguardia devi sempre avere un po’ il cuore oltre l’ostacolo. In quegli anni il Paese era povero, i soldi non c’erano, ma tutti tra imprenditori, designer, giornalisti avevano la visione di un cambiamento culturale e la voglia di cavalcare un’avventura. Quell’atteggiamento fu la base dell’eccellenza e della leadership italiana nel settore.

E in questo scenario Flos che posizione ha preso?
Ho una grande passione per questo settore ma trovo ci sia un piccolo problema alla base del sistema: la competizione è poco dura, si può dire che quella del design non è un’arena faticosa. Le aziende sono tutte medio-piccole, generalmente familiari e con una rosa di prodotti che dura tanti anni. La competizione internazionale è relativa. Nessuno pare obbligato a evolvere con continuità, cosa che forse rende tutti noi un po’ comodi, anche se trovo che le aziende italiane siano le più dinamiche. In Flos ho cercato di mettere sul tavolo due cose che di primo acchito possono sembrare in contraddizione. Da una parte la crescita aziendale, perché per l’entità di impresa redditività e autofinanziamento sono fattori fondamentali, e dall’altra la voglia di continuare la tradizione di forte innovazione progettuale che da sempre ci caratterizza. L’atteggiamento del design dovrebbe essere un po’ questo: far sì che le aziende diventino sempre più aziende, senza però perdere il valore dell’impegno culturale.

Nel 2014 Investindustrial ha rilevato la quota di maggioranza di Flos. L’operazione ha creato valore aggiunto? Perché un’azienda deve legarsi a livello geografico e famigliare sempre allo stesso destino? Forse bisogna liberarsi da quest’idea che, per generazioni, i protagonisti debbano essere sempre e soltanto i figli e i nipoti. Mi piace l’idea di spingere tutti, partendo da me, a rivedere gli schemi, salvo quello, ripeto, della mission di innovazione. L’operazione con Investindustrial si è rivelata conforme alle nostre aspettative e agli obiettivi. Un’iniziativa con soci di questo tipo consente di mettersi in uno schema mentale diverso. Si procede certo a fare il proprio lavoro ma tutte quelle idee che, magari per pigrizia o incertezza e un po’ per via della quotidianità si perdevano, nel nuovo schema possono, quasi devono, finalmente prendere forma.

ⓢ Un ulteriore passo in avanti è stato fatto con Design Holding. Quali sono gli obiettivi del Gruppo?
Qualcuno lo ha paragonato a LVMH, che tra l’altro ha messo a segno una crescita del +10% nel corso del 2018. Così però ci rendete subito responsabili, giusto per non creare un po’ di pressione. A parte gli scherzi, l’ho trovata un’evoluzione naturale. È un’operazione che permette di far crescere ed evolvere le cose, un progetto come Design Holding aiuta a ragionare out of the box e a creare delle sinergie tra aziende dello stesso ambiente. Dopo l’acquisizione da parte di Investindustrial di B&B Italia prima e Louis Poulsen poi, ci siamo detti: queste realtà sembrano apparentemente diverse ma hanno un denominatore comune, fanno del design la loro missione aziendale, e per farlo coinvolgono grandi architetti e designer internazionali, con grande impegno e da tanto tempo. Quindi di fatto l’attitudine è ampiamente condivisa, come anche sono condivisi i clienti finali e tanti altri player della filiera. Perché non costruire un progetto comune su questa comunanza di valori e visione? Un gruppo di alta gamma che racchiuda il meglio di quello che il design può offrire oggi. LVMH per molti aspetti è diversissimo, forse la similitudine maggiore è la grande identità e storia dei marchi che compongono Design Holding. Mi piace pensare che questa iniziativa sia uno dei primi mattoni che consentiranno al tanto amato settore del Design di rafforzarsi e proiettarsi nelle sfide future della globalizzazione. Partner come Investindustrial e Carlyle sono di grande stimolo e supporto per questo.

TACCIA, Achille & Pier Giacomo Castiglioni, 1962

ⓢ Come definisce un buon progetto di illuminazione? Che caratteristiche deve avere? E quanto conta il fattore tecnologia?
In primis deve far sentire bene le persone, la luce ha un impatto molto importante su come viviamo. Se a questo aggiungiamo un po’ di creatività e design di alta qualità, allora completiamo l’opera. Le nuove tecnologie saranno sempre più presenti, immagino un futuro non così lontano dove tutta una serie di gesti che oggi si compiono automaticamente, tipo pigiare un interruttore, cambieranno drasticamente. Non toccherà soltanto il settore dell’illuminazione ma anche il suono, tra gli altri. Quello che noi percepiamo oggi è solo la punta dell’iceberg.

ⓢ A proposito di futuro, secondo lei quali sono nel concreto le sfide con cui si dovrà misurare il mondo dell’illuminazione?
Se osserviamo le aziende che oggi compongono questo scenario industriale ci rendiamo conto che sono tutte perlopiù mature e che provengono dalla cultura della lampadina, non da quella dell’integrazione di programmi digitali. Il vero propulsore sarà la presenza di tutti quegli attori che producono software e integrazione. Aziende come Google e Amazon stanno già innovando su questo fronte, saranno loro a generare per prime le nuove tecnologie. Il tema sarà come integrarle con il mondo dell’illuminazione. Più le cose saranno facilmente fruibili ed emotivamente coinvolgenti, e più le aziende del nostro settore potranno adattarsi e beneficiare di questa evoluzione. Prendere parte a questo grande cambiamento sarà solo un grande piacere.

Una domanda sul Salone del Mobile. Quanto conta esserci? La Fiera di Milano rappresenta l’evento in assoluto più importante nel mondo del progetto, in quel periodo dell’anno è concentrata tutta l’avanguardia del design mondiale. Anche al di fuori del settore c’è sempre molto interesse per questa manifestazione. Tra l’altro, per la prima volta, quest’anno le aziende di Design Holding esporranno insieme proprio per raccontare questa nuova esperienza comune, sempre mantenendo la propria identità in modo forte e coerente.

Il nostro è un mestiere di avventura culturale, dove la progettazione libera ha un grosso peso, quindi le nuove proposte vengono sempre sperimentate. Di fronte alla bellezza non diciamo mai “non si può fare”

ⓢ E per quanto riguarda la dimensione del Fuorisalone?
Il ping pong tra la Fiera e il Fuorisalone è una cosa inventata a Milano e molto interessante. Oggi si presenta in modo forse troppo diviso: le iniziative di nicchia e un po’ sperimentali o culturali prendono forma in città, mentre in Fiera le aziende si presentano con tutta la struttura di business. Credo che sia una cosa in parte da proteggere, perché la Fiera è il luogo degli affari, ma che allo stesso modo si può evolvere: anche Rho, visto che ne ha gli spazi e le capacità, può diventare un centro di attività culturali e iniziative sperimentali. Vorrei che questo ping pong diventasse più schizofrenico e in un certo senso più divertente.

C’è un prodotto all’interno del catalogo Flos a cui è particolarmente legato? Sono affezionato in egual misura alle nostre lampade. Ma ce n’è una che ha a che fare con la mia storia personale, Miss Sissi di Philippe Starck. Avevo appena cominciato a muovere i primi passi in azienda e Starck era appena arrivato. L’idea di fare un prodotto di rottura rispetto ad alcune tradizioni e con un designer nuovo, significò tanto. Mi assunsi molto rischio nel realizzarla e il fatto che ebbe grande successo mi rafforzò molto.

ⓢ Invece qualcosa che non ha mai visto la luce?
Qualche tempo fa è successa una cosa divertente. A sorpresa, durante una conferenza, proprio Philippe Starck ha mostrato tutti i prodotti che nel corso degli anni con Flos non sono andati in produzione: è stato sorprendente, interessante, e devo dire anche emozionante. Il nostro è un mestiere di avventura culturale, dove la progettazione libera ha un grosso peso, quindi le nuove proposte vengono sempre sperimentate. Poi in un secondo momento si verifica assieme se renderle prodotti reali oppure no.

In ogni caso rappresentano sempre un’esperienza utile. Ogni tanto mi torna in mente il progetto di una lampada che doveva volare. Niente a che fare con i droni, parlo di parecchi anni fa. Concettualmente ricordava i palloncini per i bambini, un oggetto fantastico di cui ci innamorammo per un po’ e che non realizzammo per le troppe complessità che portava con sé. È un aneddoto credo significativo perché racchiude un po’ tutta la filosofia di Flos e di Design Holding: di fronte alla bellezza non diciamo mai “non si può fare”.