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Il nuovo libro dell’autrice di Mangia, prema, ama è una storia d’amore, droga e malattia terminale Si intitola All the Way to the River, uscirà in inglese il 9 settembre e ha già fatto arrabbiare un po' di persone.
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Se ci fosse un Leone d’oro per la miglior locandina, l’avrebbe già vinto Bugonia di Yorgos Lanthimos Il regista aveva dimostrato già un impeccabile gusto in fatto di locandine con quelle di Kinds of Kindness. Con quella del film che presenterà a Venezia è riuscito addirittura a superarsi.
I (pochi) turisti stranieri in vacanza in Corea del Nord sono rimasti molto impressionati dalla falsa Ikea e dal falso Starbucks di Pyongyang In tutto e per tutto simili ai loro corrispettivi occidentali e capitalisti, e anche un tantino più cari.

International New York Times: il gioco è a stringere, non ad allargare

La diatriba non é carta contro digitale ma qualità e fidelizzazione contro annacquamento e livellamento verso il basso.

16 Ottobre 2013

Da ieri, come i più attenti e appassionati sanno, l’International Herald Tribune è diventato International New York Times.
Il cambio era stato annunciato nei mesi scorsi e rientra in una strategia di concentrazione sul brand principale del gruppo, il Times appunto. Qualche tempo fa sul Foglio avevo scritto qualche riga a proposito. Ve ne ripropongo le più significative qui di seguito, per continuare la riflessione:

Dei risultati resi pubblici dal New York Times (il primo di agosto), quasi tutti i media del mondo hanno sottolineato, con rinfrancati toni di speranza, quelli che riguardano la sostanziale tenuta dei ricavi generali e un notevole incremento, del 35 per cento, degli abbonati digitali, cosa che a molti ha fatto intravedere, in fondo al tunnel, un futuro prossimo di ecosistema dei media esclusivamente online finalmente sostenibile, al netto della zavorra della carta, in perdita costante di lettori e introiti. Vero in parte, perché se a questo si affianca un altro dato diffuso ma poco sbandierato, e cioè che dei ricavi totali pubblicitari complessivi solo il 25 per cento è dato dal digitale (e che la pubblicità rappresenta ancora più del 40 per cento del fatturato totale), ci si rende conto che la difficile transizione sarà ancora molto lunga e complessa.

I numeri dicono quindi che se il futuro è in qualche modo segnato, sarà sempre più digitale ovviamente, il lungo presente – per il New York Times, il giornale per eccellenza, figuriamoci per tutti gli altri – lo è molto meno. E passa, più che da una sterile diatriba sul “dove” – la carta, i tablet, gli smartphone, i siti – da una strategia sul “cosa”; dalla definizione di un brand editoriale che sappia concentrarsi sui lettori forti e più affezionati, offrendo loro una serie di prodotti che soddisfino le aspettative e per i quali siano disposti a pagare. Il che è l’esatto contrario della strategia digitale di molti media contemporanei, i quali hanno puntato tutto sull’allargamento spasmodico della propria platea, forzando contenuti e identità alla ricerca forsennata di quell’aumento di click su cui si basa il sistema di ricavi pubblicitari online. Il gioco del New York Times è quindi a stringere sull’identità e sulla qualità. In quest’ottica vanno lette le tre mosse di questo periodo: la vendita del Boston Globe per non disperdere soldi ed energie su brand secondari; le voci che vogliono la redazione al lavoro su un nuovo magazine digitale, con approfondimenti e immagini, che innalzi la qualità dell’offerta; la trasformazione prevista per l’autunno dell’Herald Tribune in International New York Times, per aumentare la forza del brand nell’unico mercato sostenibile per un’ammiraglia di queste dimensioni, quello globale.

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