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11:02 martedì 14 ottobre 2025
Il quotidiano del Comitato centrale del Partito comunista cinese ha fatto firmare un articolo a LeBron James, che però non lo ha mai scritto È vero che viviamo in un mondo strano, ma ancora non così strano da avere LeBron James tra gli editorialisti del Quotidiano del popolo.
Luca Guadagnino ha rivelato i suoi quattro film preferiti di tutti i tempi nel nuovo episodio di Criterion Closet Una classifica che comprende due film di culto abbastanza sconosciuti, un classico di Wong Kar-Wai e l'opera più controversa di Scorsese.
Il trailer di Hamnet di Chloe Zhao spoilera il finale del film e i fan che lo hanno visto si sono arrabbiati molto Guardandolo si scopre quasi tutto del film, compreso il finale che tanti critici hanno descritto tra i migliori degli ultimi anni.
Al Pacino ha detto che è solo grazie a un cazziatone di Diane Keaton che non ha perso tutti i suoi soldi L'attrice sgridò sia lui che il suo avvocato e lo costrinse a riprendere il controllo delle sue finanze, dandogli dell'idiota.
Secondo l’Onu, il 92 per cento delle abitazioni nella Striscia di Gaza è stato distrutto e chi sta tornando a casa trova solo macerie I pochi edifici ancora in piedi sono comunque inagibili, gravemente danneggiati o inabitabili.
Woody Allen ha raccontato il suo primo incontro con Diane Keaton in un lungo e bellissimo omaggio all’attrice  Su The Free Press, Allen ha ricordato la prima volta che la vide, nel 1969, durante le prove di Provaci ancora, Sam.
Una streamer ha partorito in diretta su Twitch e il Ceo di Twitch le ha scritto in chat durante la diretta per congratularsi con lei Durante il parto, Fandy ha continuato a interagire con gli spettatori nella chat, parlando tra una contrazione e l'altra e facendo pure delle battute.
Bret Easton Ellis ha stroncato Una battaglia dopo l’altra dicendo che è un film brutto e che piace solo perché è di sinistra Lo scrittore e sceneggiatore ha utilizzato il suo podcast per criticare quella che considera una reazione eccessiva dell'industria al film di Anderson

International New York Times: il gioco è a stringere, non ad allargare

La diatriba non é carta contro digitale ma qualità e fidelizzazione contro annacquamento e livellamento verso il basso.

16 Ottobre 2013

Da ieri, come i più attenti e appassionati sanno, l’International Herald Tribune è diventato International New York Times.
Il cambio era stato annunciato nei mesi scorsi e rientra in una strategia di concentrazione sul brand principale del gruppo, il Times appunto. Qualche tempo fa sul Foglio avevo scritto qualche riga a proposito. Ve ne ripropongo le più significative qui di seguito, per continuare la riflessione:

Dei risultati resi pubblici dal New York Times (il primo di agosto), quasi tutti i media del mondo hanno sottolineato, con rinfrancati toni di speranza, quelli che riguardano la sostanziale tenuta dei ricavi generali e un notevole incremento, del 35 per cento, degli abbonati digitali, cosa che a molti ha fatto intravedere, in fondo al tunnel, un futuro prossimo di ecosistema dei media esclusivamente online finalmente sostenibile, al netto della zavorra della carta, in perdita costante di lettori e introiti. Vero in parte, perché se a questo si affianca un altro dato diffuso ma poco sbandierato, e cioè che dei ricavi totali pubblicitari complessivi solo il 25 per cento è dato dal digitale (e che la pubblicità rappresenta ancora più del 40 per cento del fatturato totale), ci si rende conto che la difficile transizione sarà ancora molto lunga e complessa.

I numeri dicono quindi che se il futuro è in qualche modo segnato, sarà sempre più digitale ovviamente, il lungo presente – per il New York Times, il giornale per eccellenza, figuriamoci per tutti gli altri – lo è molto meno. E passa, più che da una sterile diatriba sul “dove” – la carta, i tablet, gli smartphone, i siti – da una strategia sul “cosa”; dalla definizione di un brand editoriale che sappia concentrarsi sui lettori forti e più affezionati, offrendo loro una serie di prodotti che soddisfino le aspettative e per i quali siano disposti a pagare. Il che è l’esatto contrario della strategia digitale di molti media contemporanei, i quali hanno puntato tutto sull’allargamento spasmodico della propria platea, forzando contenuti e identità alla ricerca forsennata di quell’aumento di click su cui si basa il sistema di ricavi pubblicitari online. Il gioco del New York Times è quindi a stringere sull’identità e sulla qualità. In quest’ottica vanno lette le tre mosse di questo periodo: la vendita del Boston Globe per non disperdere soldi ed energie su brand secondari; le voci che vogliono la redazione al lavoro su un nuovo magazine digitale, con approfondimenti e immagini, che innalzi la qualità dell’offerta; la trasformazione prevista per l’autunno dell’Herald Tribune in International New York Times, per aumentare la forza del brand nell’unico mercato sostenibile per un’ammiraglia di queste dimensioni, quello globale.

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