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Mrs. Maisel nella storia della comicità femminile

Torna con la quarta stagione la serie di Amy Sherman-Palladino, le cui radici vanno cercate in due leggende della comedy americana: Joan Rivers e Phyllis Diller.

di Jacopo Cirillo

The Marvelous Mrs. Maisel, la serie tv creata da Amy Sherman-Palladino che tornerà con una quarta stagione oggi 18 febbraio su Prime Video, sembra piacere a tutti. Ha l’89 per cento su Rotten Tomatoes, 8,7 su Imdb e il 91 per cento di approvazioni tra gli utenti Google. Dopo ore di navigazione sul web (espressione che ricorda sinistramente i curriculum che si mandavano a inizio Duemila, sempre corroborati da un’ottima padronanza di Microsoft Word, ma mai di Excel) non sono riuscito a trovare una singola stroncatura legittima, una critica arguta o azzeccata contro lo show. Nulla, nessuno ha niente di male da dire sulla serie. E ci mancherebbe altro. La nuova stagione si appresta a confermare il suo successo, con noi tutti pronti a scoprire il futuro di Midge dopo lo scivolone nell’apertura a Shy Baldwin, di cui ha svelato tra le righe l’omosessualità davanti al pubblico dell’Apollo.

The Marvelous Mrs. Maisel piace a tutti intanto perché fa ridere, e il riso è il primo obbiettivo di un comico: la scrittura è brillante, le battute e gli episodi ilari sono perfettamente miscelate tra palco e vita personale e l’ascesa inaspettata e inedita di una casalinga ebrea in quella New York, in quei locali, con quei colleghi uomini, è allo stesso tempo ispirazionale e aspirazionale. Il percorso di Midge è credibile, così come i suoi successi e le sue cadute, inserite perfettamente nel momento storico di riferimento.

E dunque, se il perché funziona sembra facile da capire, si potrebbe approfondire un po’ di più il come, partendo dai suoi possibili modelli di riferimento. Ma togliamoci subito qualsiasi dubbio: Amy Sherman-Palladino ha spesso dichiarato che la sua Midge non è basata su nessuna comedienne degli anni Cinquanta e Sessanta ma che, tuttavia, si ispira a un personaggio realmente esistito: suo padre. Don Sherman le raccontava degli anni d’oro della comedy a New York, dei club e delle sue difficoltà su e giù dal palco. Per carità, esperienze sicuramente illuminanti ma che, a pensarci, coincidono con quelle di qualsiasi comico, anche contemporaneo, soprattutto maschio. Per questo molti appassionati hanno rivisto in Midge Maisel l’alternanza di alcuni tratti tipici di grandi comedienne del passato, su tutte Phyllis Diller e Joan Rivers. Ma le cose sono un po’ più complicate di così.

È necessario un breve riferimento a un concetto fondamentale nella storia dell’umorismo: quello della comic persona, la rappresentazione che il comico decide di dare di sé sul palco, perché non è detto che debba, o possa, essere sempre davvero se stesso. Una specie di personaggio con cui l’artista si identifica, di cui costruisce un background (vita, attitudini, credenze, difetti, tic, apparenze e costumi) che gli permette di delineare una cornice comica attorno a ciò che dice al suo pubblico. L’idea di comic persona funge da spartiacque nella storia dei monologhi umoristici: prima la comicità consisteva in una serie di one-liner una di fila all’altra, le classiche battute a raffica, mentre dalla fine degli anni Cinquanta in poi è il punto di vista dell’artista che costituisce la comicità; ciò di cui si ride è direttamente legato a come il comico decide di rappresentare la società attorno a lui, a partire dal personaggio che si è creato e che può più o meno coincidergli.

Seguendo la storia di Midge Maisel lungo le tre stagioni disponibili online, vediamo invece come una delle grandi forze della serie sia di fatto l’identificazione totale tra la vera personalità della protagonista e quella del personaggio che porta sul palco. È proprio lei ad andare in scena, proprio lei racconta la sua vita, prende in giro il suo vero marito e i suoi genitori, facendo collassare i due livelli in uno, quello reale. In questo senso Mrs. Maisel è una bellissima favola che, come accade nelle favole, mette in scena la trasparenza della sua eroina, e la storia si fa edificante proprio perché, senza troppi livelli di significato, sono i suoi valori a emergere ed eccellere, in contrasto e in disaccordo con un mondo e un mercato, allora addirittura più di oggi, non solo dominato ma completamente costruito, gestito e saturato dagli uomini.

Phyllis Diller e Joan Rivers, tuttavia, si sono create (o sono state forzate a crearsi) una comic persona altra da loro, e la profondità del solco che hanno lasciato nella storia culturale e sociale degli Stati Uniti sta proprio nell’essere riuscite a sfondare un muro che sembrava impenetrabile per una donna, quello della comedy professionale, facendo un’abilissima meta-comicità sui loro personaggi, usandoli come se fossero dei prop, degli attrezzi di scena.

Iniziamo da Diller: nata nel 1917, è stata una delle prime stand up comedienne a farsi un nome negli Stati Uniti. Una volta raccontò in un’intervista che quando iniziò a esibirsi nei comedy club non aveva assolutamente idea di quello che doveva fare, perché non aveva mai visto nessuna altra donna nel circuito dei club e, dunque, le mancavano modelli di riferimento a cui ispirarsi. Per questo creò per se stessa una comic persona surreale, una specie di caricatura con vestiti ampi e di taglie di molto superiori alla sua, parrucche gigantesche simili a quelle dei clown, un bocchino di legno sempre in mano (con anche la sigaretta di legno, visto che non fumava) e una postura inelegante, scomposta, esagerata, in una sua personalissima e surreale versione della femminilità, una femminilità in qualche modo neutralizzata. Diller fu la prima a portare le sue esperienze personali sul palco, quelle di una casalinga dell’Ohio che, com’ebbe a dire Bette Midler, era troppo intelligente e brillante per continuare a esserlo. Similmente a Midge Maisel usava spesso suo marito come protagonista dei monologhi ma, per non esagerare, decise di inventarne uno fittizio, tale Fang, una sorta di comic persona del suo vero marito. Battute come: «È vero che io e Fang litighiamo, ma non siamo mai andati a dormire arrabbiati. Certo, c’è stato un anno in cui siamo rimasti svegli tre mesi», sono molto divertenti ma di matrice totalmente diversa rispetto al famoso set di Maisel sul vero marito Joel, tra l’altro presente in sala, quando racconta: «Tre mesi fa mio marito mi ha lasciata per la sua segretaria adolescente. In ogni caso, l’altra sera è tornato a casa per la biancheria pulita e per una scopata. In realtà è tornato solo per la biancheria, la scopata gliel’ho concessa gratis»

Anche Joan Rivers, nata nel 1933, ha seguito la strada tracciata dalla sua collega, con battute che rasentano spesso la cattiveria verso se stessa e la relativa esagerazione delle peculiarità del suo essere donna. Tuttavia, esattamente come Midge, la sua comic persona si incarna nello stereotipo della “Jewish American Princess”, che abbina vestiti ricercati a collane di perle e capelli perfetti e sempre curati. Quando dice: «Non ho tette. Sono andata ad allattare mia figlia. Mi ha succhiato la spalla. L’ho avvicinata al seno e ha perso due chili». E ancora: «Le mie tette sono così cadenti che adesso posso fare la mammografia e la pedicure nello stesso momento». Rivers sta mettendo in scena una rappresentazione caricaturale di se stessa e del suo invecchiamento, ma idealmente è proprio Midge a risponderle qualche decennio dopo: «Perché le donne devono far finta di essere ciò che non sono? Perché dobbiamo fingere di essere stupide quando non lo siamo? Perché dobbiamo far finta di essere deboli quando non lo siamo? Perché dobbiamo far finta di essere dispiaciute quando non abbiamo nulla di cui dispiacerci? Perché dobbiamo far finta di non essere affamate quando abbiamo fame?».

Con il passare del tempo, dopo una vita burrascosa di alti e bassi − il successo a trent’anni grazie alla partecipazione al Tonight Show di Johnny Carson, l’incontro (anche lei!) con Lenny Bruce, il suicidio del marito, il suo tentato suicidio sventato dal cagnolino di casa e il grande ritorno sulle scene nell’ultima parte della sua vita − la comic persona di Rivers si è ancora più indurita, diventando molto critica con le sue colleghe, da Bo Derek, talmente idiota da mettersi a studiare per superare il Pap test, fino a Madonna, che ha perso tredici chili semplicemente radendosi le gambe. Rivers diventa cattiva, indugia sul body shaming sia contro se stessa che contro le altre donne e la sua vita − magnificamente raccontata in questa biografia − è stata certamente troppo complessa e variegata per essere ridotta, seppur con le dovute proporzioni, a un personaggio di fantasia con un arco temporale relativamente breve.

Dunque sì, Midge Maisel “is her own gal”, come sostiene Sherman-Palladino: non è la somma di Diller e Rivers e nemmeno il loro negativo, non è il calco del padre della sua creatrice ma un personaggio di fantasia nato nel 2017 che instaura un dialogo continuo, euristico e a-temporale con chi l’ha preceduta sessant’anni prima, ed è proprio dentro a questa dialettica che bisogna cercare, e trovare, la sua grandezza.