Attualità | Polemiche

Sulle statue si può cambiare idea

Storia di come, per una volta, un dibattito sui social ha modificato una posizione precostituita.

di Arnaldo Greco

La statua di Indro Montanelli a Milano mentre viene pulita dopo essere stata macchiata con la vernice rossa per protesta, 14 giugno 2020. Foto di MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images

Qualche sera fa mi sono accorto che mi era successa una cosa incredibile, che sui social network non succede praticamente mai: ho cambiato idea. (O meglio, è pieno di gente che cambia casacca perché si riposiziona politicamente, invece io dico cambiare idea davvero). Ho letto decine di conversazioni sulla faccenda delle statue e, alla fine, mi hanno convinto. Ero partito dall’opinione che fosse ridicolo buttare giù le statue di Cristoforo Colombo e, invece, adesso credo che non abbiano torto. Ho visto uno di quei video coi nativi americani che ne tiravano giù una con le corde e mi sono commosso per loro. Hanno fatto bene, mi sono detto, hanno ragione. Ho letto di quel professore americano che li invitava a usare cavi di acciaio e ho pensato che fosse un buon consiglio. Certo, una parte di me continuava a credere che fosse grottesco da parte sua, che lui fosse un discendente di Colombo più di me, e che queste proteste avvantaggino Trump, e trovavo ancora efficaci certe battute pro-statue, ma i paragoni con il Colosseo o le Piramidi erano talmente fuori fuoco da sembrarmi immensamente più inutili. Nel frattempo, quelli avevano fatto bene e quelli che avevano buttato giù Leopoldo II, i generali confederati e il tizio di Bristol ancora di più. E pure riguardo alla statua di Montanelli, non ero mica contrario a rimuoverla (a essere precisi non ero contrario anche dieci anni fa, quando molti di quanti adesso protestano cercavano ovunque alleati contro Berlusconi). Sì, tutta la storia di aprire un dibattito quando, in realtà, il desiderio era solo quello di sentire la propria voce e dare del pedofilo a chi la pensava diversamente mi spaventava, ma l’idea di togliere di mezzo la statua, mica tanto. Anzi, avrebbero dovuto accettarla anche i suoi più strenui difensori: magari rimuovendola ci si potrà dedicare davvero a un’analisi seria, invece di concentrarsi su un singolo fatto come fosse un personaggio della Divina Commedia. Dopotutto nessuno chiede davvero la damnatio memoriae, mica vogliono far sparire ciò che ha scritto come fosse Cremuzio Cordo? (Se non sapete chi è Cremuzio Cordo è perché Tiberio applicava la censura meglio di Hbo). 

Solo che, man mano che cambiavo idea, non mi sentivo mica meglio perché gli argomenti dei miei nuovi alleati mi sembravano alquanto deficitari. Trovavo sciocca l’idea per cui si possano abbattere solo le statue che riguardano episodi storici i cui effetti sono ancora visibili. Una posizione – come Benigni in Non ci resta che piangere – che tralascia un particolare non piccolo: ogni episodio storico produce ancora effetti, perfino le guerre puniche, e nessuno può stabilire un confine netto tra ciò che determina i rapporti di potere attuali e ciò che non lo fa. Se ci chiedessero di non mangiare più croissant perché la forma a mezzaluna è una presa in giro dei turchi che fallirono nell’assedio di Vienna? Non sono ancora visibili le conseguenze di ogni episodio? Né mi sembrava efficace dire che bisogna valutare i personaggi in base ai loro contemporanei. Che Churchill è razzista perché ai suoi tempi c’era già Einstein, che Colombo fosse un genocida perché ai suoi tempi c’era già Bartolomeo de Las Casas, l’apostolo degli Indios. Perché anche quando c’era Costantino c’era già stato pure Gesù Cristo, eppure, giustamente, a nessuno viene in mente di buttare giù la statua alle Colonne di San Lorenzo (sì, è Costantino) tranne a quelli che fanno le battute penose sugli imperatori romani. (Oppure è vero, e da Socrate in poi facciamo tutti schifo).

Meno che mai mi sembra sensato obiettare che chi parla di vandali (uh, un’antonomasia dispregiativa che possiamo usare senza timore di offendere nessuno) e di statue preferisca parlare di discorsi astratti e non ha a cuore la vita delle persone: perché non è esattamente lo stesso argomento, ipocrita e retorico, che tira fuori la destra populista quando davanti a ogni argomento strumentalizza dei fatti di cronaca? “Pensano allo ius soli invece di piangere per la povera XXX uccisa dagli immigrati”. Per farla breve, mi sembrava ipocrita sfruttare la lettura di due testi di storia, spesso neanche per piacere, ma costretti da un esame universitario, solo per “blastare” i proprio avversari. Non si era detto che è un atteggiamento inefficace e sbagliato? E se neppure i medici o chi ha studiato scienze esatte può usare il proprio sapere in quel modo, se lo può permettere davvero chi ha fatto studi umanistici? Davvero quello che abbiamo capito di Marc Bloch è che possiamo usarlo per blastare qualcuno?

L’influenza americana è così preponderante che protestiamo per ciò che accade a Minneapolis (più che per Foggia) o al punto che perfino simboli come la bandiera confederata ci dicono qualcosa. Abbiamo imparato a disprezzarla per ciò che significa, ma molti come me sanno leggere in essa anche un segno diverso perché l’hanno vista usare spesso nel Sud Italia con tutt’altro senso: come simbolo di irriducibilità alla conquista da parte del Nord. Nelle curve, in qualche pizzeria, perfino nei centri sociali e nelle manifestazioni di sinistra. (Assurdo, ma è così). Quand’ero ragazzino molti coetanei cantavano una canzone che detestavo, Brigante se more, una specie di epopea in cui si esaltano i briganti come eroi della resistenza, quasi partigiani dell’Ottocento contro l’infido conquistatore piemontese. Una canzone da vittime che rivendicano il proprio destino di vittime, mentre il resto del paese vuole negargli anche quello. Capivo che quello seducesse e mi dava fastidio proprio per quello. Se tra qualche mese qualcuno dicesse che dobbiamo solidarizzare con i movimenti neoborbonici cosa diremo? Che si solidarizza sempre con le vittime? Mi auguro di no e voglio sperare che avremmo la capacità di superare l’automatismo e discutere della differenza tra protesta progressista e reazionaria. (Intanto potremmo dirgli qualcosa o non si danno consigli alle vittime che protestano? Ma non è anche questa una frase conformista? Non è davvero iper-paternalista pensare che l’uomo bianco rovini tutto, mentre il buon selvaggio da solo si sappia amministrare? E non è, soprattutto, svilito da decine di esempi pratici di massacri in luoghi da cui l’uomo bianco si è ritratto?).

Allora perché avevo cambiato idea? Un po’ c’entra col fatto che mi sembra, molto semplicemente, più umano e morale prendere le parti di chi ha perso e quasi nessuno ha perso quanto i nativi americani. Soprattutto, perché mi pare che l’inefficacia di certi argomenti, pro o contro, stia nel fatto che la differenza tra episodi così diversi – scoperta dell’America, guerre coloniali, impero romano, che confusione! – che abbiamo affrontato in questi giorni, non è una differenza storica, ma psicologica. Il fatto che ci siano eventi del passato che sembrano riguardarci moltissimo e altri che ci appaiono più distanti non è una questione di cronologia, ma di elaborazione del trauma. Non tutti allo stesso modo, a diverse latitudini, a prescindere dalla lontananza o dall’intensità del fatto storico, riescono a creare distanza con ciò che è accaduto. Non è un merito saperlo fare, né un demerito non riuscirci. Potrebbe essere che abbiamo metabolizzato il nazismo e non ancora l’unità d’Italia, chi la lotta armata e altri non ancora il colonialismo. Magari quella di rimuovere è un’abilità di cui non si dovrebbe andare fieri – a Napoli nel 1944, mentre nel resto d’Europa ancora infuriava la guerra già si cantava “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto. Chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce o passato”. Che può essere una cosa tremenda, ma che vista sotto un altro aspetto può anche essere l’unica possibilità di salvezza. È vero, noi abbiamo imparato – anzi, non noi, i nostri antenati, non prendiamoci meriti – a elaborare il trauma e il lutto. Ma possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri? Forse possiamo augurarcelo. Pretenderlo o, addirittura, imporlo, proprio no.