Hype ↓
10:35 venerdì 26 dicembre 2025
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

Bentornata Milano

La settimana della moda si è svolta quasi totalmente in presenza: molti i nuovi nomi da segnalare, mentre i grandi marchi continuano a fare sé stessi e le polemiche succedono solo su Instagram.

27 Settembre 2021

A voler trovare dei segnali che Milano, e la sua settimana della moda, sono ritornati a essere almeno in parte quello che erano prima della pandemia, forse basterebbe segnalare che i taxi negli ultimi giorni non erano più facilmente reperibili e che le macchine e i van neri messi a disposizione della Camera della moda per influencer e addetti ai lavori hanno ripreso a popolare gli angoli più disparati della città. È tornato anche il circo dei curiosamente vestiti che, di questi tempi, diminuiti drasticamente i fotografi di street style, perlopiù si autoimmortalano mentre sono in streaming perenne nelle Stories o impegnati in un vlog di TikTok. È questo, probabilmente, il lascito più grande dell’esperienza dei lockdown: il discorso sulla moda si è spostato nei pallini di Instagram e più che il look del giorno o l’ostentazione dell’invito, oggi tutti cercano di offrire punti di vista e opinioni, cavalcando le polemiche o, nel caso il numero di follower lo permetta, creandole. È uno spettacolo quasi surreale, ma che dimostra quanto rapidamente stiano avvenendo, e in maniera del tutto diversa da come ce li aspettavamo, i cambiamenti in un’industria che per decenni è stata sempre uguale a se stessa.

La nuova generazione che prova a ridisegnare Milano

Rappresentazione, diversità, inclusione, l’emergere di nuovi talenti: Milano negli ultimi anni ha provato a costruire un racconto sulla moda che tenesse insieme la sua storia, quella stagione meravigliosa che l’ha resa punto di riferimento nel mondo ma che spesso si è trasformata in zavorra insuperabile per le nuove generazioni di designer, e allo stesso tempo offrisse visioni alternative, anche inaspettate, almeno rispetto allo “stile” prodotto storicamente dalla città, e dal nostro Paese. Così, riguardando alla fashion week che si è svolta dal 21 al 27 settembre per la quasi totalità in presenza, fa piacere scoprire e ritrovarci un gruppo di nomi che stanno portando energie differenti nel calendario. Da Marco Rambaldi, che è probabilmente l’unico che lavora per davvero sul casting delle sue sfilate allargando di volta in volta il suo concetto di comunità, scegliendo volti e corpi di taglie, età e background differenti che possano vestire i suoi abiti con naturalezza, passando per ATXV, il marchio lanciato da Antonio Tarantini, che invece gioca con un minimalismo fatto di asimmetrie che il corpo lo scoprono in maniera inattesa e che è una delle novità più interessanti di queste sfilate, fino al #TackyHangover di Adriana Hot Couture, dietro alla quale c’è il collettivo Mindstream composto da Elisa Zaccanti, Bianca Luini e Greta Gerardi, un progetto che della Settimana della moda in sé e per sé ha poco bisogno, perché ha saputo trasformare un’estetica social in un marchio. Ci sono Loris Messina e Simone Rizzo di Sunnei, che hanno mandato in passerella probabilmente il loro show più riuscito e continuano a dimostrare cosa significa essere un brand che con il digitale ci sa fare, e c’è Act N°1, il duo formato da Galib Gassanoff e Luca Lin, il cui lavoro sulla femminilità è interessante perché riesce a rendere contemporanei cose come il tulle, i fiocchi e i drappeggi, misurandosi con i corpi in tutte le loro forme (bellissima l’uscita di Giulia Alleonato). C’è anche Vitelli, collettivo guidato da Mauro Simionato, che avendo scelto la maglieria come mezzo principale d’espressione, affare notoriamente difficile, il corpo se lo dimentica e lo ricostruisce secondo forme fluide e volutamente confusionarie. Insomma, niente male per una città senza talenti (mi si perdoni la semi citazione trash).

Un look della collezione Primavera Estate 2022 di Marni. Foto courtesy of Marni

Una globalizzazione del gusto

Che il corpo femminile fosse al centro delle collezioni e del rumore intorno a esse era piuttosto scontato, eppure a fronte di una Selvaggia Lucarelli che denuncia le modelle troppo magre di Blumarine dimenticandosi che ci sono ancora donne che magre vogliono esserlo, e non basterà il marketing dell’inclusività a far cambiare loro idea, è curioso osservare le reazioni al ritorno del “sexy” in passerella. A un certo punto dovremo decidere se questa libertà di essere come si vuole l’abbiamo conquistata o meno, ma anziché alimentare polemiche che si cancellano ogni ventiquattr’ore, è forse più utile concentrarsi sulle sfide che il sistema-moda oggi affronta. La globalizzazione del gusto è qui, ora, tra noi, nella forma di un Pantheon dove tutti gli dei esistono contemporaneamente, e che cerca in tutti i modi di rispecchiare le imprevedibili abitudini dei nuovi consumatori. Lo hanno dimostrato bene Miuccia Prada e Raf Simons, con una sfilata che è avvenuta in contemporanea a Milano e a Shanghai, perché le frontiere per i viaggiatori del lusso saranno ancora chiuse, ma non lo sono per gli accessori made in Italy, come dimostrano i dati, diffusi a luglio dalla Dogana generale cinese, sull’interscambio commerciale tra Cina e Italia, che nel primo semestre del 2021 ha raggiunto la cifra di 34,93 miliardi di dollari (+46,5 per cento su base annua, ne parliamo anche sul numero in edicola di Rivista Studio). Per la prima volta, vale la pena di notare, l’Italia ha superato la Francia come primo esportatore di moda in Cina.

I prodotti più richiesti? Quelli agroalimentari e le borse da donna. Ha molto senso allora, soprattutto per Prada che su quel mercato ha di recente sperimentato collezioni ad hoc che hanno avuto ottimi riscontri, la re-edition della borsa Carolyn del 1995, dedicata a Carolyn Bessette e ora riproposta in rosso, che completava una collezione dove la femminilità veniva decostruita attraverso maglioni-corsetto, chiodi in pelle e pantaloncini incorporati nelle mini cortissime. Pantaloncini perfetti per chi va in bici ma anche, visto che di applicazione del reale stiamo parlando, per Paesi dove indossarli sotto le gonne è già pratica comunissima, per ragioni tutt’altro che piacevoli (mai sentito parlare delle molka?). Mentre su Instagram e TikTok c’è chi si è divertito a ricreare il fiocco e la coda degli abiti – che portano il segno inequivocabile di Raf Simons – con la carta igienica, una cosa è certa: per scavalcare le differenze, il linguaggio dei marchi dev’essere quanto più largo possibile e, sì, semplificato. La femminilità è una materia complessa, ma la distinzione tra chi compra e chi commenta sui social, amplificando o distruggendo l’hype di un marchio, rimane oggi il vero rompicapo di quest’industria.

I grandi marchi

E a proposito di grandi marchi e nuove strategie, pur avendo scelto di sfilare solo due volte l’anno in location che vengono decise di volta in volta, Gucci ha voluto presentare in città il suo progetto Vault, che ridisegna il negozio online. Sugli scaffali virtuali di Vault si trovano infatti pezzi vintage di seconda mano o provenienti da archivi, scelti da Alessandro Michele e dagli esperti archivisti del brand, e «riportati al primitivo splendore» grazie a speciali interventi di restauro. Molti sono pezzi unici, su cui Michele ha aggiunto la sua firma. Ovviamente, saranno quelli più ambiti. Accanto a questa selezione ci sono poi le creazioni di giovani designer, in alcuni casi in esclusiva per Vault, che erano già stati invitati dal direttore creativo a prendere parte al GucciFest dello scorso novembre. Tra di loro c’è Cormio di Jezebelle Cormio [l’avevamo intervistata qui, ndr], ma anche Collina Strada, Ahluwalia, Yueqi Qi, Rave Review e Rui Zhou tra gli altri.

Giorgio Armani ha invece celebrato i quarant’anni di Emporio Armani con una sfilata che si aggiungeva alla mostra The Way We Are in corso all’Armani/Silos e con un numero da collezione dell’Emporio Armani Magazine, che negli anni ha raccontato la comunità di persone che si è raccolta attorno al marchio e lo stile che ha saputo esprimere. Se, infine, il clash tra Versace e Fendi ha lasciato tutti un po’ di stucco – dopo Balengucci dovremo aspettarci molte di queste operazioni – ma farà felici i feticisti del logo, è stato lo show orchestrato di Francesco Risso da Marni a riportare un po’ di quella magia della moda che tanto manca agli addetti ai lavori. Il direttore creativo ha vestito sia ospiti che modelli per una performance, accompagnata dalla musica di Dev Hynes, dove tutti i corpi erano uniti, nascosti o scoperti, tra maglioni extralarge, felpe, pigiami e T-shirt oversize su cui campeggiavano le righe e i fiori, segni semplici ma non banali. Era una sorta di rito, di ritrovo, di celebrazione del ritorno a un’umanità condivisa: chi lo dice che la moda non emoziona più?

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