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20:32 mercoledì 31 dicembre 2026
Martin Scorsese ha scritto un editoriale sul New York Times in cui spiega perché Misery è il miglior film di Rob Reiner In un commosso editoriale, Scorsese ha individuato nel thriller del 1990 l’apice della filmografia del collega, ricordando la loro amicizia.
Dopo il documentario su Diddy arriverà un documentario sui figli di Diddy che parlando di Diddy Justin e Christian Combs racconteranno il rapporto col padre in una docuserie che uscirà nel 2026 e di cui è già disponibile il trailer.
La crisi climatica sta portando alla velocissima formazione del primo deserto del Brasile La regione del Sertão sta passando da arida a desertica nell'arco di una generazione: un cambiamento potenzialmente irreversibile.
L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.

Milano è viva, viva Milano

Il nuovo numero di Studio è tutto dedicato a Milano e al suo 2015, al suo presente dinamico e alle sue potenzialità future.

16 Aprile 2015

studio231

Ecco l’introduzione al nostro nuovo numero, il 23, da oggi nelle edicole e presto sulla nostra applicazione per iPad. Il modo più comodo e conveniente per leggerci è sempre quello: abbonarsi.

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Il milanese collettivo (che mai come in questo caso è campione che ben rappresenta l’italiano collettivo) guarda i lavori in corso nei tanti cantieri in città, dove si corre per consegnare Milano pulita e impacchettata per l’inizio di Expo, e scuote la testa: non ce la faremo mai. Intende che non ce la faremo mai a finire in tempo (nelle ultime settimane il suo cavallo di battaglia è stato l’appalto milionario assegnato per i lavori di mimetizzazione dei padiglioni che non saranno finiti in tempo per il primo maggio, introdotto generalmente dal più classico dei “solo qui”, con aria da grande esperto di grandi eventi, con altrettanto grande enfasi sulla parola appalto, che fa molto Mani Pulite, visto che è pure tornato di moda il 1992) ma in fondo sottintende che non ce la faremo mai ad agganciare la modernità del mondo, a cavalcare quella contemporaneità che “dai, diciamocelo, non ci appartiene più”. Chissà poi perché.

E così è tutto un “sei passato col treno vicino a Expo? Siamo in alto mare!”, “hai visto che orrore il ponte sulla nuova Darsena? Verde!” (avrebbe potuto essere di qualsiasi colore, ovviamente, orrore orrore il ponte che c’è e non c’era, non se ne sentiva il bisogno, i problemi dei Navigli sono altri, quali poi non è dato sapere), fino al culmine dell’indignazione a sfondo politico del “vogliono far fare il sindaco al capo di Expo, siamo a posto”. (Vogliono chi? Ma poi, anche se fosse, perché no? È vietato?). E fino a qui, tutto bene. Normale avere opinioni in merito, anche molto critiche, del resto è il fatto dell’anno. Meno normale l’effetto che sortisce in genere chiunque, come nel caso di chi scrive, cerchi di raccontare che in fondo non stiamo andando così male, che in città stanno succedendo tante cose e che questo 2015 rischia di essere una bella vetrina. Ingenuo. O con degli interessi personali ed egoistici.

Milano è una città con un presente molto interessante e un futuro potenzialmente ancora più dinamico.

Il milanese collettivo non è sfiorato dall’idea che il tuo punto di vista sia effettivamente quello che racconti: siamo in un bel momento e quest’anno possiamo iniziare a dimostrarlo. Questo numero di Studio gira un po’ attorno al tentativo di sfatare questo equivoco: non aspettiamo Expo come l’atto risolutivo di tutti i nostri problemi, e quando diciamo che in fondo le cose non stanno andando così male, non stiamo cancellando di colpo i tanti problemi che le nostre città e i loro abitanti, chi più chi meno, si trovano ad affrontare quotidianamente. E non siamo neanche fra quelli che credono che siano i grandi eventi a spostare i destini e l’economia di una città, figuriamoci di un Paese. Semplicemente prendiamo atto di un fatto: Milano è una città con un presente molto interessante e un futuro potenzialmente ancora più dinamico, e ha la possibilità di rimettersi in scia col meglio della propria tradizione culturale e imprenditoriale (le due cose, la migliore tradizione e il futuro potenzialmente dinamico, non sono affatto in contrasto, anzi: leggete a proposito il nuovo saggio di Giuliano da Empoli, di cui nel numero anticipiamo un passo).

Milano può farcela quindi. A patto, però, di mettersi a lavorare seriamente su due aspetti: fare delle scelte nette e non avere paura di aprirsi al mondo. Nell’intervista che ci ha gentilmente concesso, Andrea Guerra spiega come la scommessa su Milano giri tutta intorno alla sua capacità di abbattere i muri dentro cui si trovano le sue grandi aziende e le sue università. A pag. 38, durante la sua chiacchierata con Beatrice Trussardi, Massimiliano Gioni dice che «Milano, grazie soprattutto alla moda e un po’ al design, resta di gran lunga la città più contemporanea d’Italia. Io credo che le potenzialità siano tante ma che manchi una cosa fondamentale: la scelta di diventare una capitale culturale contemporanea», e cita il caso di Berlino, il cui status di città della creatività continentale è frutto di scelte fatte a tavolino in anni passati. In questo numero, assolutamente parziale e incompleto, trovate alcune storie che, secondo noi, viste tutte insieme, danno un po’ il senso di quello che abbiamo scritto fino a qui: Milano è viva, e non aspetta altro che qualcuno decida che tipo di città debba essere per aprirsi definitivamente al mondo nuovo.

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