Cultura | Libri
I libri del 2021
Le 10 migliori letture dell'anno per la redazione di Rivista Studio.
John M. Harrison – Riaffiorano le terre inabissate (Atlantide Edizioni)
Trad. di Luca Fusari
In un momento di scarsità di nuove forme letterarie (e di esaurimento dell’ondata non fiction) è arrivato questo gioiello quasi di nascosto che è stato per noi la scoperta più esaltante del 2021 letterario. Un romanzo scritto da un vecchio decano della fantascienza inglese ambientato in una Londra acquatica e bladerunneriana ma realistica, possibile, che mischia le carte unendo gli ingredienti del fantasy, della psicogeografia e del romanzo vittoriano, un mix che in teoria sembra impossibile ma che invece qui è amalgamato in modo perfettamente coerente. Su queste pagine abbiamo scritto che «oltre ad avere il pregio di aprire un varco letterario, Riaffiorano le terre inabissate sembra anche essere un romanzo capace di afferrare lo spirito ancora sfocato di questo tempo. Non solo perché emergono al suo interno le ansie climatiche di un Occidente finito in mezzo a una guerra tra natura e sviluppo, tra fantasmi del passato e panico del futuro, ma anche, soprattutto, per la capacità di mettere insieme due ingredienti – il realismo e il fantastico – che hanno l’aria di non essere mai stati così vicini e amalgamabili».
Damon Galgut – La promessa (Edizioni E/O)
Trad. di Tiziana Lo Porto
L’editore indipendente e un po’ ribelle e/o si conferma soprattutto lungimirante e attentissimo alle dinamiche internazionali con la pubblicazione di La promessa di Damon Galgut, nell’autunno 2021, freschissimo di vittoria di Booker Prize. Ci sono molti motivi per leggerlo, scrivevamo l’indomani su queste pagine: la promessa è innanzitutto un libro complesso come solo i grandi libri sanno essere, in cui i personaggi attraversano la storia del Sudafrica attraverso tre decenni (e quattro funerali) per seguire lo sfiorire di una famiglia di bianchi che lentamente si sfalda mentre la nazione passa dall’Apartheid a questa sghemba e ancora problematica democrazia. Poi la lingua di Galgut, distaccata e ironica, quasi allucinata, a contrastare con leggerezza e un pizzico di assurdità il clima pesante, politicamente e privatamente, che pesa sulle pagine. Insomma, La promessa ha tutto per essere un Grande Romanzo, di qualsiasi posto.
Benjamín Labatut – Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi)
Trad. di Lisa Topi
Il titolo italiano dell’esordio adelphiano di Labatut (quello originale castigliano è Un verdor terrible) è perfetto per questo 2021, e andrebbe bene anche e soprattutto per il 2020, eppure questo gioiellino di estremo successo del cileno Labatut non tratta di pandemie né di storia così contemporanea. Su Studio scrivevamo che il libro, «componendosi di una struttura strana, ovvero quattro storie divise ma unite da un filo fatto di effettivi legami o coincidenze», si presta a essere letto e apprezzato in modi molto diversi. Perché può essere molti libri compressi in uno: una storia della fisica quantistica tra Ottocento e Novecento in quattro atti, ma anche una raccolta di racconti condotti con eccellente capacità narrativa, e poi pure un libro sul Novecento e l’Europa, o ancora un libro sulla spiritualità, un gioco sui limiti della realtà e dell’invenzione, e infine un trattato sull’orrore e sul male. Quando abbiamo chiesto a Labatut stesso di cosa parla il suo libro, ci ha risposto: «Dei limiti del pensiero, dei sogni folli della ragione e degli strani mostri che la logica può generare».
Jonathan Franzen – Crossroads (Einaudi)
Trad. di Silvia Pareschi
Per quanto il personaggio con le sue uscite pubbliche si sia attirato negli ultimi anni sempre meno simpatie, un libro di Franzen è di per sé un evento letterario. Figuriamoci questo, annunciato come il primo capitolo di una trilogia familiare e subito accolto dagli americani come un capolavoro o per lo meno il suo migliore dai tempi delle Correzioni. Crossroads è anche in questa lista una testimonianza di resistenza del romanzo classico. Come ha scritto Francesco Longo su queste pagine: «Amiamo le scritture ibride, ma ogni tanto scalpita la nostalgia di vecchi piaceri. In un mondo editoriale di strabilianti auto ibride, i romanzi tradizionali si aggirano col fascino di auto d’epoca. Franzen, come Piperno, è tornato con un romanzo tragico e inquieto, con personaggi che lambiscono gli abissi dell’esistenza. Nelle pagine i cieli promettono neve, le nevicate sui campi di granturco dell’Illinois coprono i silos, i personaggi affermano: «Mi stai spezzando il cuore», si tradiscono, si ritrovano. Esiste un’anima immortale nella forma romanzo, un soffio vitale che lo attraversa».
Raven Leilani – Chiaroscuro (Feltrinelli)
Trad. di Ilaria Piperno e Stella Sacchini
Raven Leilani ha scritto il romanzo più fresco, sexy e contemporaneo che ci sia capitato di leggere negli ultimi tempi. Coinvolgente, febbrile, racconta di una relazione intergenerazionale e interrazziale ai tempi del MeToo e della Cancel Culture, ma (come ha scritto Corinne Corci nei nostri “Libri del mese”) è di fatto «Uno straordinario racconto soggettivo sull’autodistruzione, tanto onesto da diventare una storia in cui è fin troppo facile riconoscersi». Un romanzo, che nelle parole dell’autrice (intervistata da Francesca Pellas per il nostro speciale scrittori): «Ruota attorno al sesso, ma in buona parte il sesso non c’è. C’è però lei che lo desidera, lei che vuole disperatamente essere toccata e resa viva».
Don DeLillo – Il Silenzio (Einaudi)
Trad. di Federica Aceto
Annunciato come ennesimo libro profetico dello scrittore newyorkese, quello che prevedeva il lockdown prima del lockdown, la pandemia prima della pandemia, The Silence fa parte, come ha scritto Cristiano de Majo in questo lungo profilo dello scrittore, della categoria del “romanzo breve delilliano” «un genere a sé stante», che include Point Omega e Body Art. The Silence è un racconto scarnificato, cioè ridotto all’osso, cioè praticamente di soli dialoghi, ambientato a New York all’inizio di un qualche tipo di evento apocalittico. La scena di apertura, che descrive un volo in business da Parigi a Newark, vale da sola la lettura e va ricordata come uno delle migliori dello scrittore del Bronx, insieme al matrimonio collettivo di Mao II. Non è facile dire che tipo di libro si tratti – un romanzo? Una parabola religiosa? Un atto teatrale? – ed è sicuramente una lettura che lascia disorientati, ma nella sua essenza sfuggente è un libro potente, che resta nella memoria, anche perché, come ha scritto il New York Times, «Viviamo tutti in un mondo alla DeLillo».
Tabitha Lasley, Lo stato del mare (NR edizioni)
Trad. di Raffaella Menichini
Il memoir-saggio-reportage-inchiesta di Tabitha Lasley scaturisce da una serie di crisi: la fine di una relazione tossica, il furto del libro a cui stava lavorando da tempo, la decisione di abbandonare il ruolo di collaboratrice per una rivista di Londra e, a 34 anni, trasferirsi ad Aberdeen, in Scozia, per una full immersion nel mondo che ruota intorno alle piattaforme petrolifere e agli uomini che ci lavorano, un mondo maschile che a sua volta sta attraversando una crisi profonda e che Lasley desiderava raccontare da anni attraverso le voci dei suoi protagonisti. Lì la giornalista si innamora del primo uomo che intervista (sono 103 in tutto), e così l’indagine sulla vita offshore, la pericolosità delle piattaforme, gli errori delle compagnie petrolifere – ma anche sull’isolamento, la classe, la mascolinità – si fonde con la storia d’amore travagliata che sta vivendo (lui è sposato). Acclamato dal Guardian, il libro è stato recentemente lodato anche dal New York Times, che ha definito Lasley «un’interlocutrice di talento».
Nathalie Léger, L’abito bianco (La Nuova Frontiera)
Trad. di Tiziana Lo Porto
Come Tabitha Lasley, anche Nathalie Léger, scrittrice francese sessantenne, frequenta il terreno della letteratura ibrida, tra literary essay, autobiografia e fiction. In questo libro, che come sottolinea Laura Pezzino nell’intervista all’autrice, può essere considerato come il capitolo finale di un «trittico della memoria» dedicato a tre diverse donne (le altre sono la Contessa di Castiglione e Barbara Loden), Léger racconta la breve vita dell’artista Pippa Bacca, la trentenne milanese violentata e uccisa fuori Istanbul nel 2008, mentre portava per le strade dell’Europa balcanica la sua performance in vestito da sposa, collegandola a quella di una figura femminile che invece fa parte della sua storia personale. «Mettersi a scrivere per dare voce a un’altra donna, spesso la propria madre, è una postura tipicamente femminile assunta da tante, da Marguerite Duras ad Alice Walker, da Dorothy Allison a Elena Ferrante, come in una via matrilineare alla riparazione», scrive Pezzino. Ed è così, «nidificando» una donna dentro l’altra, che attraverso il potere della scrittura Léger si impegna a vendicare i torti subiti dalla madre, la vera figura centrale dei suoi libri, soprattutto di questo.
Daniel Mendelsohn – Tre anelli (Einaudi)
Trad. di Norman Gobetti
Vent’anni fa moriva in un incidente d’auto, ancora giovane, W.G. Sebald, uno degli scrittori che più hanno segnato la letteratura europea degli ultimi decenni. Non che sia rimasto sconosciuto, ma è proprio in questi ultimi pochi anni che l’opera, la lingua e le ossessioni dello scrittore tedesco esule in Inghilterra sembrano essere diventate materia di un’attenzione che prima non era stata così diffusa. Forse perché in un’epoca con sempre meno memoria ci siamo voltati a rileggere lo scrittore che più ha avuto l’ossessione della memoria, forse perché in un secolo sempre più pieno di esuli abbiamo voluto riscoprire uno degli scrittori per eccellenza degli emigranti. Anche Daniel Mendelsohn, che di migrazioni e memorie aveva già scritto molto e straordinariamente bene, si dedica in questo piccolo gioiello a Sebald. A Sebald e a Omero. Sebald, Omero, Auerbach e al vescovo secentesco François Fénelon. Tre anelli è insieme un’autobiografia letteraria, un saggio critico e un’illuminante divagazione sull’arte del perdersi, anzi, proprio del divagare.
Chloe Aridjis, I mostri del mare (Playground)
Trad. di Antonio Bravati
Definito dall’Atlantic «uno strano romanzo simbolista che renderebbe orgoglioso Mallarmé», è il terzo di libro di Chloe Aridjis, 49 anni, figlia di uno dei più famosi poeti messicani, Homero Aridjis, nata a New York e cresciuta in Europa. Amante dell’arte – scrive per Frieze, ha co-curato una mostra di Leonora Carrington alla Tate Liverpool – è anche un membro di Writers Rebel, gruppo di scrittori legato al movimento Extinction Rebellion. I mostri del mare è un romanzo di formazione ma anche un’ode alla natura e ai suoi misteriosi meccanismi. Calzando Doctor Martens, la protagonista di 17 anni scappa improvvisamente da Città del Messico e dalla scuola prestigiosa che frequenta per seguire un misterioso ragazzo di cui si è invaghita: si ritrova a trascorrere un’estate a Zipolite, detta anche “spiaggia della morte”, località di mare popolata da hippie, nudisti e presunte star decadute. A fare da sfondo alla bizzarra missione che i due si ritroveranno a compiere, l’ingombrante presenza del mare, con la sua potente influenza, e i frammenti delle lezioni del padre della protagonista, appassionato di “studio della corrosione”. I mostri del titolo, infatti, non sono creature abnormi e spaventose, ma i minuscoli tarli marini che divorano i relitti sommersi.