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Benjamín Labatut e il lato oscuro della scienza
Intervista con lo scrittore cileno, autore di Quando abbiamo smesso di capire il mondo, uscito in Italia per Adelphi.
Benjamín Labatut, foto di Juana Gomez
Quello che colpisce da subito è la copertina, un’opera di Yves Klein del 1960, naturalmente blu come il colore che lui stesso aveva inventato, l’International Klein Blue, nel 1956. Serve, il colore blu, a introdurre il reticolo di storie che compongono questo libro difficile da identificare, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, scritto da Benjamín Labatut, uscito per Adelphi a inizio 2021, tradotto da Lisa Topi. Sono tante storie di scienza e scienziati, che iniziano dal Blu di Prussia, appunto, per approdare alla fisica quantistica. Sono tutte legate, in qualche modo, perché dal Blu di Prussia c’è un filo che porta al cianuro, e dal cianuro si va alle capsule con cui si uccisero decine di gerarchi nazisti, da qui allo Zyklon B, il gas sterminatore di Treblinka e Sobibor e Auschwitz ma che era anche, prima, un formidabile diserbante che salvò la vita a centinaia di migliaia di esseri umani. I fatti sono veri, ma sono romanzati con dialoghi e dettagli di invenzione, talvolta anche personaggi, e Labatut costruisce la sua narrazione proprio nello spazio grigio tra invenzione e non-fiction storica. Altri fili, poi, partono verso le vite di Albert Einstein, Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg e altri fisici che posero le basi della quantistica nel corso del Novecento. È difficile dire chi o cosa sia il protagonista di questo libro: se la scienza, oppure l’Europa, oppure il Novecento, oppure l’orrore, oppure tutte queste storie messe insieme e il loro stesso essere interconnesse come una rete neurale o un reticolo invisibile di radici e funghi.
ⓢ Sfumare i confini tra realtà e finzione in un libro in cui si parla molto di fisica quantistica è anche un gioco, una provocazione, per suggerire che non esista, dopotutto, qualcosa di davvero solido e reale?
I confini tra fatti e finzione sono sempre stati vaghi, ma penso che la maggior parte delle persone abbia un’idea molto naïve di cosa sia il reale. Mi rendo conto che per molti i confini della realtà hanno iniziato a sciogliersi solo negli ultimi due anni: la finzione sembra invadere qualsiasi cosa, non riusciamo più a credere a quello che leggiamo, vediamo o sentiamo, ma per me, perlomeno, è sempre stato così. Abbiamo tutti una presa molto tenue sulla realtà, e possiamo essere spinti fuori dal luogo comune senza un attimo di preavviso. E mentre è vero che alle prime luci del Ventesimo secolo la fisica moderna si è imbattuta in un dominio in cui l’indeterminatezza, la casualità e la probabilità sembrano giocare un ruolo fondamentale, se sei coscientemente consapevole del modo in cui funzionano le tue percezioni, i tuoi sentimenti, pensieri e ricordi, scoprirai che c’è una grande indeterminatezza in ogni aspetto della tua vita.
ⓢ In questa indeterminatezza c’è spazio per la spiritualità? Nel libro sembra di sì.
Per come la vedo io, la scienza è un’impresa spirituale, quindi sì, la spiritualità ha un posto importante nel mio libro, molto importante. Le cose che mi interessano di più sono cose che finiscono fuori dalla competenza della scienza, la meraviglia di certe esperienze personali, visioni notturne e incubi, strani incontri che, anche se non dovremmo prenderli troppo sul serio, sono senza dubbio affascinanti e possono cambiare la direzione della nostra vita. Il problema con questo tipo di esperienze è che non si dovrebbero condividere troppo, non bisognerebbe parlarne troppo. Dovrebbero rimanere piccoli segreti preziosi, testimonianze della stranezza di questo mondo.
ⓢ Come il rapporto tra il buddismo e Schrödinger, o l’esperienza psichedelica fondamentale vissuta da Heisenberg.
Mentre camminiamo come sonnambuli attraverso la vita, senza mettere mai in dubbio la realtà o le cose strane, e sono molte, che succedono intorno a noi, ogni volta che andiamo a letto e sogniamo, ci ricordiamo che c’è una parte enorme della fenomenologia umana che sfida il modo di pensare razionalmente ordinato che usiamo per sopravvivere. In molti casi queste esperienze sono pericolose, soprattutto per uno scrittore: i ciarlatani abbondano, e puoi cadere in ogni tipo di trappole, perché la verità è che non abbiamo modelli adeguati per le esperienze più stupefacenti, non c’è modo di capirle. Non si possono ridurre, resistono alle analisi, sfidano tutto quello che conosciamo. La semplice attivazione dei neuroni non è una descrizione adeguata per l’estasi di un’esperienza mistica. E mentre molte delle meravigliose visioni che si vedono dopo il digiuno o la meditazione potrebbero essere facilmente spiegate dal tentativo disperato del nostro corpo di rimanere in vita quando soggetto a privazioni estreme, mi sembra comunque che questo non abbia alcuna relazione diretta con l’esperienza che una persona può attraversare, perché c’è qualcosa di innegabile legato alle estremità del pensiero, della percezione e dell’emozione.
ⓢ Come è nata però questa struttura di storie, ognuna collegata all’altra come una ragnatela?
Questo libro è una specie di escrescenza del mio libro precedente, Después de la luz. Che fu scritto in uno stato di disperazione. Era un tentativo frenetico di attaccare insieme dei pezzi della mia mente, in un momento in cui ci avevo giocato in troppi modi. È finito per essere un’investigazione del vuoto e del nulla, ma il nulla non è soltanto il buio, è qualcosa di estremamente scivoloso. Difficile riuscire a metterci le mani sopra. Nello scrivere sul vuoto, cerchi di rivestire con le parole l’unica sostanza che è contraria al loro significato, che è completamente resistente alla comunicazione. Quindi la ricerca per Quando abbiamo smesso di capire il mondo è iniziata nel mio libro precedente, ed è nata da idee ed esperienze che sfidano la comprensione, che nessuno, per quanto intelligente, può affrontare. Parla dei limiti del pensiero, dei sogni folli della ragione e degli strani mostri che la logica può generare. Tutto quello che supera la nostra esperienza comune e che punta verso ciò che è veramente umano: ciò che è appena al di là della nostra portata.
ⓢ Le storie dei fisici e scienziati che mostri sono anche piene di sottotrame storiche, momenti in cui sembri voler mostrare i piccoli inneschi che hanno poi azionato enormi eventi nella storia: come è nato lo Zyklon B, per esempio, ma anche la storia del secondo passaggio della Cometa di Halley nel 1222, che convinse Gengis Khan a invadere l’Europa. E sembra che tu voglia mostrare le connessioni tra eventi lontanissimi, e non ho potuto non pensare a Sebald.
È un metodo musicale, in cui, ad esempio, Sebald è un maestro: consiste nel lasciare piccole briciole dietro di te per farle raccogliere al lettore. È una forma di manipolazione, ne sono consapevole, ma innocente: perché cerchi di stabilire un dialogo con il lettore, in cui lui si sente come se queste tracce le scoprisse da sé. È un modo di portarlo dentro il tuo modo di pensare, da scrittore, perché mentre scrivi, e scrivendo trovi queste sottili coincidenze, da autore ti sembra di essere sul sentiero giusto. Ti sembra che stai trovando il glitch dentro Matrix, le linee temporanee che connettono una storia con l’altra. È un sentimento che ogni scrittore conosce, in cui ti sembra che il mondo si stia aprendo, mostrandosi nudo soltanto per te. Ma anche questa tecnica è una menzogna. Le coincidenze che trovi possono essere completamente immotivate, e potrebbe benissimo non esserci nessun ordine nascosto nel mondo. Queste connessioni che traccio potrebbero esistere soltanto perché le sto inserendo in una forma narrativa. La realtà potrebbe essere molto meno luminosa: forse non c’è nessun ordine, nessuna connessione, soltanto capricci. Forse l’intera rete di associazioni che stiamo proiettando sul mondo è qualcosa di completamente inventata dall’uomo.
ⓢ Parlando di storia: tutta l’azione del libro è ambientata in Europa, in un certo senso la stessa Europa novecentesca, con le guerre, i convegni, il fiorire di attività intellettuali, si può considerare una protagonista del libro, ma è un’Europa che sembra scomparsa.
Quando mi capita di camminare in una città europea, in qualche modo provo la stessa sensazione che mi prende quando visito le città dei Maya o degli Aztechi, enormi e vuote: una tristezza che viene dalle rovine del passato. La differenza è che Parigi o Londra sono piene di persone, e la maggior parte degli edifici sono ancora in piedi. L’Europa, per certi punti di vista, ha un che di mausoleo, e la sua cultura, pur piena di fascino, pesa su tutti. Da sudamericano, l’Europa mi sembra un mondo completamente diverso, un misto tra un parco dei divertimenti e un cimitero. L’ultima volta che sono stato a Madrid, stentavo a credere ai miei occhi: vedevo denaro, denaro ovunque. Negli edifici, nelle strade, nei musei. E per me, non riesco a vedere tutto quel denaro senza pensare agli spargimenti di sangue e al dolore.
ⓢ L’Europa ha perso la sua capacità di produrre storia?
Non ne ho idea. Quello che so è che il picco di civilizzazione che l’Europa ha raggiunto è coinciso con lo zenit dell’orrore.