Attualità

Michele Santoro

Il ritorno del conduttore in onda dai tempi di Heather Parisi e Cecchetto. 25 anni di Santoreide

di Alberto Piccinini

Mi scuso in anticipo: questa Santoreide è eccessivamente lunga, forse noiosa, forse eccessivamente indulgente. Mettiamola così: Michele Santoro va in onda dal 1987. Fanno quasi 25 anni, giusto? Per quelli che c’erano allora Santoro è come Heather Parisi, Claudio Cecchetto, Mike Bongiorno. Lui però è rimasto in onda.

 

SANTORO, Michele. 61 anni. Gli archivi ne conservano tracce in Rai dal 1983. A Tg Set, dimenticato settimanale della terza rete, firma un servizio sullo “svincolo” dei calciatori. Nelle settimane successive si dedica a: l’Europa, il ’68 e così via. Nato a Salerno, ex militante maoista dell’Unione dei Comunisti Italiani, alla terza rete in quota Pci, inizia a condurre Samarcanda dal 1987, anno in cui Rai3 diretta da Angelo Guglielmi diventa una rete come le altre. Anzi, molto meglio.

Samarcanda è un settimanale di approfondimento del Tg3, ma va in onda in diretta e, come tale, “non può essere accusata di censure o manipolazioni”. Questo rispondono gli autori quando scoppia la prima polemica: Rosa Russo Iervolino si lamenta di come è stata trattata la sua nuova legge (ultraproibizionista) sulla droga, e si rifiuta di rispondere alle domande del conduttore. Da allora in poi Santoro incorporerà nel suo stile l’idea molto teatrale di costringere i politici a cambiare il copione delle risposte, insomma a perdere le staffe.

Oggi è quasi impossibile ricordare quanto la cosiddetta “televisione urlata” fosse allora dirompente. La scenografia di Samarcanda è del regista teatrale Giorgio Barberio Corsetti. Santoro ancora non veste Armani ma si permette in una puntata di vestire il pret-a-porter Capucci . Tra i primi rubrichisti del programma, che va in onda il mercoledì, ci sono Edoardo Sanguineti, Dario Fo e Nanni Balestrini. Col passare del tempo ci si è convinti che il padre spirituale di quel teatrino della crudeltà che ben presto diventano i talk show televisivi sia Aldo Biscardi.

Nel 1990 la Bbc realizza un settimanale con collegamenti in diretta esplicitamente ispirato a Samarcanda. Sui chiama Worlds Apart. Nel 1991, in corrispondenza con la Prima Guerra del Golfo, e dichiaratamente su posizioni pacifiste, Samarcanda fa 6 milioni di spettatori. Gli stessi che Santoro si porta dietro trasmissione dopo trasmissione fino ad Anno Zero, e che spera di trattenere da questa sera con Servizio Pubblico, in Rete e sulle tv locali.

Nell’estate 1991 scoppia il caso Cossiga: in una kermesse in piazza Farnese a Roma, antenata delle tante altri trasmissioni in piazza di Michele Santoro, un Super-Blob di mezz’ora con Cossiga, il nano di Twin Peaks e un po’ di folklore sardo, basta a far scoppiare un caso che la metà basta. Non si capisce neppure bene perché. Si capisce invece che nell’Italia della fine della Prima Repubblica, la televisione degli anni ’80 è rimasto l’unico vero collante sociale e culturale del Paese. Un Paese che non può fare a meno della piazza, e che non può fare a meno della politica. Tele-piazza, tele-politica. E di odiare/amare entrambe.

Nel settembre 1991 Santoro e Costanzo realizzano, sempre in diretta, una staffetta antimafia Rai3-Canale5. La gente viene invitata a “tenere le luci accese” per testimoniare la partecipazione all’evento. È la prima, e una delle più famose evocazioni della “gente” da parte del conduttore. Gente presente in piazza, al telefono, poi nei sondaggi e come pubblico parlante in studio, infine su internet. 6,5 milioni di spettatori in media, quella sera. Scazzi memorabili come l’arringa contro il programma del democristiano Totò Cuffaro (detto “vasa vasa”, condannato vent’anni dopo per favoreggiamento mafioso), col giudice Falcone in studio.

La politica non gradisce. Il direttore democristiano della Rai Gianni Pasquarelli minaccia punizioni esemplari a Santoro per non aver saputo mantenere il “pluralismo” (la parola, poi, sarebbe stata sostituita da par condicio). Santoro pronuncia la frase che si porterà dietro per i successivi vent’anni: «La Rai nella sua interezza deve dimostrare di volere questa trasmissione». L’ultima stagione diSamarcanda, nel 1992, col sistema travolto da Tangentopoli è addirittura pirotecnica. In occasione della prima puntata Rai1 controprogramma “Chi ha ucciso Roger Rabbit”, in prima tv. Il film fa dieci milioni di spettatori. Santoro mantiene comunque i suoi 6 milioni, spettatore più, spettatore meno.

E Berlusconi non è ancora sceso in campo. «Samarcanda» dice Santoro «è la scheggia impazzita del sistema radiotelevisivo». Durante le elezioni del 1992, il programma viene chiuso per rispettare il nuovo regolamento elettorale della Rai. Il 19 marzo le telecamere inquadrano per pochi minuti il conduttore silenzioso nello studio col pubblico sulle tribune. In sottofondo squilla un telefono. Una scritta annuncia: «Per decisione della direzione generale questa sera Samarcanda non andrà in onda». La settimana dopo Santoro organizza una serata a piazza Farnese, a Roma, trasmessa in diretta da Italia Radio, una emittente nazionale legata al Pds. È il primo degli “scioperi degli spettatori” e degli eventi cui chiamerà negli anni successivi.

Nel 1994, dunque, Berlusconi scende in campo. E Santoro vara Il Rosso e il Nero, citando Stendhal e il cabaret di Weimar nella scenografia (sempre di Barberio Corsetti). Spiega che la trasmissione vuole sfidare “l’opinione prevalente”, e costringere i telespettatori a riconsiderare le proprie convinzioni su temi di attualità. Utilizza il Videotel, si affida alla “rete mondiale telematica internet” (queste le parole del tempo) per evocare idee, pareri. Per testare in diretta un campione di 800 spettatori. Neppure da questa ebbrezza della diretta, chiamiamola così, neppure da questo gioco sui nervi scoperti dell’opinione pubblica, si libererà più.

Berlusconi lo attacca duramente. Lo smantellamento di Rai3 vede Santoro alle prese con l’idea di Telesogno. Un terzo polo televisivo, svincolato dalla politica, lontano da Rai-set, che prende forma con la presenza di alcuni conduttori di Rai3 e con Maurizio Costanzo. C’è anche Sandro Parenzo, il produttore che oggi organizza il network di tv locali che trasmetterà Servizio Pubblico. Cerca di comprare Telemontecarlo. Non gliela fanno comprare. Tmc (poi La7) passa a Cecchi Gori. Svanito il Telesogno, Santoro passa a Italia 1. Non prima di essere stato in predicato di essere nominato direttore del Tg3 e di aprire una nightline quotidiana, il suo vero sogno mai realizzato.

«Chi fa tv risponde per se stesso». «Da quando è stata spenta Rai3 non esistono più reti d’autore con una linea editoriale univoca»,dice quando passa a Mediaset. Un po’ deve pesare la battuta su di lui detta dal nuovo presidente della Rai, lo scrittore Enzo Siciliano: «Michele chi?». Se ne ricorderà nelle ultime stagioni, Michele, quando andrà in onda su Rai2 soltanto grazie a una sentenza di reintegro del tribunale, a dispetto di tutto e tutti. Ma sempre coi suoi 6 milioni di spettatori davanti al teleschermo. Su Moby Dick dice: «Eravamo indecisi tra molti titoli, poi ci ha pensato il maltempo a farmi scegliere per Moby Dick, quando qualche giorno fa a Roma stando alla mia scrivania una ventata carica d’acqua ha invaso il mio tavolo di lavoro».

Da Moby Dick attacca i politici dell’Ulivo, quelli che non vengono “perché hanno paura dei programmi veri, senza domande concordate”. Una sera subisce un’irruzione delle tute bianche (antenate degli indignati), che sgominano le guardie del centro produzione di Roma ed entrano in studio scandendo lo slogan “reddito, lavoro, dignità”. Esce dall’imbarazzante situazione dichiarandoli seduta stante ospiti del programma. Rubo a un servizio dell’Ansa un geniale scambio tra Santoro e una tuta bianca. «Qui non ci sono i Tupac Amaru» dice a un giovane che si copriva il viso. «Ma ci sono i panzer del servizio d’ordine» hanno replicato i disoccupati. «Quali panzer? semmai c’è il buffet», ha detto Santoro. «Il buffet – hanno risposto – serve proprio per mantenere in forma i panzer».

Nel 1999, in piena guerra giusta contro la Serbia, ancora a Moby Dick, va in onda da Belgrado. Dal ponte dove ogni sera migliaia di cittadini si ritrovano come scudo umano contro i bombardamenti della Nato. Alle 23 la polizia chiede al conduttore di abbandonare il luogo, temendo che la cosa possa succedere davvero. «La Cbs mi ha chiesto la registrazione», gongola Michele. Televisivamente parlando “è la cosa più orribile che abbia mai visto”, avrebbero detto quelli di Blob. Cioè la più bella mai realizzata da Santoro.

Dopo Belgrado torna in Rai. E ci resta. Ci resterebbe. Con la parentesi dell’editto bulgaro lanciato da Berlusconi nel 2002. Una parentesi sostanziale, che segna davvero la fine della tv italiana come l’hanno conosciuta quelli che sono cresciuti negli anni ’80. La politica si sposta, lentamente, in Rete. In tv restano la propaganda, le amanti dei politici, la fiction, i reality, il fine impero insomma. Dopo aver cantato Bella ciao in diretta, Santoro scompare dal video per 4 anni. Nel 2004 si candida alle elezioni europee. Scrive una lettera agli elettori: ‘«Aiutatemi a farla circolare. Fotocopiatela. Speditela ai vostri amici. Mandate un contributo economico al conto corrente del comitato che mi sostiene. Il mio nome è Michele Santoro. Per gli amici Michele’». Viene eletto.

Torna nel 2006, coi capelli vistosamente tinti di biondo. Un errore. Veniale.