Attualità

Meno Stato, più Corano

L'etica islamica e lo spirito del capitalismo: un viaggio nella nuova classe dirigente egiziana per capire l'ascesa (e forse la crisi) dei Fratelli Musulmani.

di Matteo Colombo

Il Cairo – Qualche tempo fa si vedevano poche barbe lunghe e ancora meno veli islamici nel caffè Costa di Mohandeseen, uno dei luoghi di ritrovo serali dei cairoti benestanti. Non solo perché spendere tre euro per mangiare un asian salad è una cosa da ricchi in un Paese come l’Egitto, dove lo stipendio medio è di circa ottanta euro, ma anche perché molti islamisti non si sentivano a loro agio in un posto pieno di ragazzi che, senza essere sposati, siedono allo stesso tavolo con le loro amiche.

Ora sempre più uomini con la zebiba (callo da preghiera) e donne con il lungo niqab nero bevono un caffè accanto ai giovani laici e cosmopoliti. I nostalgici più irriducibili degli anni ‘60 dicono che sono turisti sauditi, ma è solo un modo per illudersi che non sia cambiato niente da quando l’Egitto era famoso per i film pieni di donne in bikini e c’erano addirittura ballerine di danza del ventre che chiedevano agli sposi di poggiare le mani sul seno per augurare loro fertilità.

Questo Egitto non è mai davvero esistito per la maggior parte degli egiziani, ma era quello che immaginava la borghesia, lo Stato ricco, laico e moderno sognato da Nasser. Un Paese descritto nei film che raccontavano il mondo dei ricchi e dei potenti, cancellato dall’irruzione delle masse nella storia. Prima, infatti, sono state introdotte le liberalizzazioni, che hanno scalfito il potere economico di quell’élite, poi è arrivata la democrazia, che ha impedito che fossero i soli a prendere le decisioni.

Non è cambiato il senso del pudore degli egiziani, ma a scandalizzarsi sono i nuovi potenti che votano Fratelli Musulmani, con un occhio al Corano e l’altro al portafoglio. Sono loro la nuova classe dirigente.

Non bisogna quindi stupirsi se ora i Fratelli Musulmani censurano diverse scene di film girati qualche decennio fa. Non è cambiato il senso del pudore degli egiziani, ma a scandalizzarsi sono i nuovi potenti che votano Fratelli Musulmani, con un occhio al Corano e l’altro al portafoglio. Sono loro la nuova classe dirigente. Quelli che prima passavano davanti ai caffè della borghesia laica borbottando qualche frase sul decadimento dei costumi, ma ora sono seduti agli stessi tavoli degli egiziani che contano a bere un cappuccino.

Il cambiamento è iniziato all’inizio anni ’70, quando sono cominciate le liberalizzazioni di Sadat che hanno messo in crisi il modello statalista di Nasser. ma la vera svolta è arrivata negli anni del liberismo dittatoriale di Mubarak. Ad arricchirsi non sono stati soltanto gli uomini d’affari vicini al regime, ma anche i piccoli imprenditori che provenivano dalle classi più povere. In Italia si direbbe che erano “il popolo delle partite iva” e le somiglianze tra gli imprenditori islamisti egiziani ed i nostri degli anni ’80 sono davvero tante. Come i colleghi italiani, anche loro erano persone nate in famiglie povere, gente abituata a lavorare molto e ad arricchirsi nonostante lo Stato e l’establishment economico. Questi egiziani semplici e generalmente conservatori non vedevano di buon occhio la classe dirigente statale, considerata troppo autoreferenziale e lontana dalla loro visione del mondo.

Negli anni successivi gli imprenditori sono cresciuti economicamente, senza però quasi mai riuscire a far parte del gruppo degli industriali più importanti del Paese, come invece è successo in Turchia, anche a causa dell’inflazione e del sistema dittatoriale. La maggior parte di loro sono rimasti poco più che artigiani, negozianti o professionisti, che lavorano in proprio e guadagnano abbastanza per vivere in modo dignitoso. C’è però anche chi è stato più fortunato e ha saputo creare industrie di medie dimensioni che si sono diffuse su tutto il territorio egiziano.

Sono persone come queste che hanno determinato il successo dei Fratelli Musulmani alle elezioni. Non è un caso che il movimento Libertà e Giustizia, oltre a volere la shari’a (la legge islamica NdR) sia il partito che chiede tasse più basse e meno burocrazia. Sono, infatti, questi imprenditori a finanziare buona parte delle donazioni e delle attività caritatevoli gestite dai Fratelli Musulmani, generando un flusso di denaro che spesso si traduce in consenso elettorale per il partito tra le classi più povere.

Donne, alcool, gioco d’azzardo e altri vizi sono “contrari alla volontà di Dio”: non concedersi troppi divertimenti consente di accumulare denaro che può essere investito in altre attività, come facevano i calvinisti di qualche secolo fa.

Oggi sono diventati la nuova élite, il modello cui tendere, la rappresentazione estetica dell’egiziano vincente. D’altronde la nuova borghesia islamica ha tutto per piacere al popolo. È composta da persone generalmente più oneste e meno arroganti dei funzionari di Stato o dei grossi imprenditori che hanno sempre trafficato con il potere. Trasmettono un’immagine più caritatevole, quella del piccolo imprenditore che aiuta i più bisognosi, la pensano come la maggior parte degli egiziani su molti temi e sono ricchi che non amano il lusso. Donne, alcool, gioco d’azzardo e altri vizi sono haram, ossia contrari alla volontà di Dio, e perciò alla nuova classe dirigente rimangono poche cose per cui valga la pena di spendere. Inoltre, non concedersi troppi divertimenti consente di accumulare denaro che può essere investito in altre attività, come facevano i calvinisti di qualche secolo fa.

La loro vittoria si riflette anche sull’estetica pubblica che ha modellato i suoi codici di comunicazione e i comportamenti di diversi egiziani. Non c’è agenzia immobiliare o negozio che non metta un Corano in bella vista sulla bacheca o in libreria. Spesso non è una scelta religiosa, ma è un modo per rassicurare il cliente riguardo all’onestà del proprietario, per far capire di essere un membro della borghesia islamista che non frega sul prezzo e non chiede bustarelle. Nel nuovo Egitto, infatti, mostrarsi persone credenti è diventato un valore positivo, al punto che l’aggettivo “religioso” è spesso usato come sinonimo di onesto.

L’ascesa al potere di Morsi potrebbe però essere l’inizio di una fase nuova per questa classe dirigente. Una parte della loro buona reputazione era dovuta al fatto che rappresentavano un segmento dell’opposizione, quelli che erano riusciti a farcela nonostante il regime. Ai tempi della dittatura, il nemico era comune sia per i laici che per gli islamisti e quindi non bisognava fare troppo gli schizzinosi riguardo agli alleati. Ora, invece, questi imprenditori rappresentano il potere dei Fratelli Musulmani che però piace sempre meno agli egiziani. Se la loro posizione economica ha raggiunto l’apice, il loro prestigio sociale è scalfito dalle decisioni del Presidente che continuano a sostenere, senza farsi troppe domande, sempre più per interesse che per convinzione.

Fra i giovani si stanno affermando nuovi modelli, alternativi all’imprenditore islamico: l’idolo del momento è Bassem Youssef che fa ridere l’Egitto prendendo in giro gli Imam più conservatori.

Un segnale arriva dalle recenti elezioni universitarie, che hanno segnato la sconfitta delle formazioni legate ai Fratelli Musulmani. Fra i giovani si stanno affermando nuovi modelli, alternativi all’imprenditore islamico e, come al solito, per gli islamisti il pericolo maggiore viene da chi dissacra la loro visione del mondo e il loro prendersi sempre così sul serio con la leggerezza della satira. Ad esempio, l’idolo del momento è Bassem Youssef, un ex chirurgo, apertamente laico, che fa ridere l’Egitto prendendo in giro gli Imam più conservatori. I giovani più agitati preferiscono invece i capi ultras che si scontrano con la polizia. Ci sono poi i ragazzi cosmopoliti del Cairo che, pur pregando cinque volte al giorno, hanno ben chiara la distinzione tra religione e politica, a differenza degli imprenditori islamisti.

E chissà che un domani non siano loro la nuova classe dirigente egiziana.

 

Nell’immagine: il Cairo, Flickr/AslanMedia

 

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