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Maurizio Cheli, nello spazio e ritorno

Una chiacchierata con l'astronauta, ufficiale e aviatore che 1996, insieme a Umberto Guidoni, fu il secondo italiano ad andare nello spazio.

28 Luglio 2019

Sono passati 50 anni da quel luglio del 1969 in cui mettemmo piede sulla Luna cambiando per sempre la percezione di noi stessi. L’anniversario arriva in un momento in cui lo spazio è tornato di moda dopo almeno un paio di decenni in cui gli impensabili passi avanti fatti negli anni ’60 sembravano non avere avuto degno proseguimento. Siamo di nuovo in piena era spaziale, tra tycoon che organizzano voli privati sulla Luna, progetti di missioni umane su Marte e quotidiane vertigini astronomiche assortite, dagli esopianeti abitabili al misterioso ‘Oumuamua, passando per quella prima “foto” di un buco nero del 10 aprile scorso. Se l’ignoto dell’universo è diventato un po’ meno ignoto, il merito è di una caratteristica piuttosto unica della natura umana: l’immaginazione. Tutto nasce, se ci pensiamo, dai sogni di persone tipicamente considerate razionalissime: ingegneri, fisici, piloti. È quello che conferma anche questa chiacchierata con Maurizio Cheli, che nel 1996, insieme a Umberto Guidoni, fu il secondo italiano ad andare nello spazio (il primo fu Franco Malerba nel 1992) e primo Mission Specialist non statunitense, ovvero non uno specialista di disciplina (Payload Specialist), la cui presenza in missione è legata alla specializzazione scientifica, ma un incaricato della missione vera a e propria, la STS-75 Tethered Satellite sullo Space Shuttle Columbia. Cheli nasce come pilota collaudatore e ritorna aviatore anche dopo la scoperta dello spazio. Oggi fa tante cose, oltre a essere stato da poco nominato membro del Cda dell’Agenzia Spaziale Italiana, è un imprenditore del settore aeronautico, tiene conferenze, è andato sull’Everest e ha partecipato quest’anno al primo progetto di Tod’s No_Code firmato da Andrea Caputo (intervistato più avanti) per la Design Week. Lo abbiamo raggiunto per ricominciare dall’inizio, dalla Luna del 1969.

ⓢ Cosa ti ricordi di quel 21 luglio del ’69?
Avevo 10 anni e puoi immaginare cosa poteva voler dire per un ragazzino di 10 anni, quando le missioni spaziali erano agli albori e quindi colpivano l’immaginazione di un ragazzino che stava incominciando a pensare al proprio futuro. Mi ricordo che con i miei genitori eravamo andati in un bar nel paese dove abitavo, a Zocca, e abbiamo passato lì gran parte della nottata, fino a vedere l’allunaggio con Tito Stagno che lo raccontava e Ruggero Orlando che la raccontava dall’altra parte dell’oceano, è incredibile pensare che sono passati cinquant’anni.

 Così da allora hai deciso di voler andare anche tu sulla Luna?
No, non posso dire che da quel momento lì ho deciso di andare sulla Luna anche perché in quel momento sembrava veramente una cosa impossibile, però sicuramente fu una cosa che colpì la mia fantasia.

ⓢ Ma hai il rimpianto di non esserci andato alla fine?
Eh, ad andarci andrei volontario adesso, perché poi la missione soprattutto quella dell’Apollo era estremamente complessa, diciamo che fare l’astronauta in quel momento lì sembrava una cosa solamente di russi e americani, più che di un ragazzino che leggeva i romanzi di Jules Verne e i fumetti di Tintin.

 Mi confermi che nell’ambizione di fare l’astronauta ci si mette tanta immaginazione, quando ci riesci le aspettative sono rispettate o deluse?
Deluse? Ci mancherebbe altro. È un’attività limitata a un numero molto ristretto di persone. Il fatto di riuscirci comporta passare molti esami, molte selezioni, un lungo periodo di addestramento perché i mezzi spaziali sono molto complessi e però tutto questo viene completamente ripagato nel momento in cui uno arriva in orbita attorno alla Terra e può vedere il nostro pianeta da un’altra prospettiva.

ⓢ E che emozione si prova?
A circa 400 chilometri di quota il tuo orizzonte si allarga in misura spropositata, quando la vedi sullo sfondo nero dell’universo ti rendi conto di quanto sia incredibile la vita su questo pianeta.

A parte che si scopre che non è piatta…
Posso assicurare che la Terra è sferica.

Qual è l’aspetto più duro dello stare nello spazio?
Duro duro non l’ho trovato, diciamo che bisogna essere accomodanti, quando si effettuava una missione sullo Space Shuttle noi eravamo sette e lo spazio vitale nel quale puoi muoverti, cioè la parte pressurizzata, è estremamente limitato, per cui hai una convivenza molto stretta con un certo numero di persone e dentro questi volume tu devi vivere ed effettuare tutti gli esperimenti che ti sono stati assegnati.

E da un punto di vista strettamente fisico?
Dopo circa tre giorni il corpo umano si adatta in maniera incredibile all’assenza di peso e quasi tutti dopo questo periodo iniziale si sentono bene, non soffrono di mal di spazio e puoi godere di questa terza dimensione che sulla Terra percepiamo ma sfruttiamo in maniera limitata.

Il momento più bello che ricordi?
Ce ne sono di diversi: sicuramente il momento in cui si sono accesi i motori e sono partito, che è il coronamento di un’attesa che si protrae nel corso di anni. L’altro è quello in cui arrivi nello spazio e percepisci la forza di questi tre colori: il blu della Terra, il nero del cielo e il bianco delle nubi ad alta quota. Un’altra parte molto emozionante dal punto di vista sensoriale è il rientro, perché per circa dieci minuti sei in una vera e propria palla di fuoco, solo che le fiamme invece di vederle da fuori le vedi da dentro attorno a te.

L’hai visto il film First Moon (l’ultima pellicola di Damien Chazelle con Ryan Gosling che ricostruisce la storia dietro le quinte delle missioni Apollo, nda)?
Sì, l’ho visto.

E che ne pensi?
Mi è piaciuto il giusto. Perché dà un’idea dell’astronauta, in particolare di Neil Armstrong, in quel frangente lì un po’ come se fosse un robot, cioè secondo me manca l’umanità della persona. Uno può anche fare l’astronauta, ma rimane un uomo con le proprie debolezze che ci si porta dietro anche nello spazio.

Una cosa che mi ha colpito di quel film è la differenza non così enorme, che un profano come me si immaginava più grande, che c’è tra il pilotare un aereo e il viaggiare nello spazio. Tutti quegli astronauti nascevano innanzitutto come piloti d’aereo. E anche tu nasci pilota e ritorni pilota dopo l’esperienza spaziale. Che differenza c’è da un punto di vista fisico e psicologico tra il pilotare un aereo anche in condizioni estreme e il viaggio spaziale?
Da un punto di vista fisico, per quanto possa sembrare strano, è molto più demanding un aeroplano da caccia oggi che non volare nello spazio, dal punto di vista delle accelerazioni dico. L’essere addestrato come pilota mi ha sicuramente aiutato a fare bene l’astronauta, perché un pilota collaudatore è una persona abituata a svolgere dei compiti in un ambiente molto limitato ad alto stress che è quello che si ritrova all’interno di una navetta. Andare nello spazio da un punto di vista fisico è uno stress limitato, hai più stress dal punto di vista psicofisico, per l’ambiente in cui ti muovi, per il fatto che la tua vita dipenda da una macchina e sta a te far funzionare tutto bene e nel caso di inconvenienti porvi rimedio secondo le procedure. Sai che ti muovi in un ambiente in cui il rischio non potrà mai essere zero.

ⓢ Anche pilotare un aereo però.
Sì ma lì ti muovi nel tuo ambiente, hai un sedile eiettabile. Pur essendo un ambiente ad alto rischio, ti permette di avere una via d’uscita a determinate emergenze. Al contrario nello spazio dove non hai via d’uscita.

ⓢ Oggi hai un’azienda che produce piccoli aeroplani, sei spesso in volo?
Più negli anni passati, adesso mi dedico ad altre attività, divulgazione, eventi per aziende nei quali paragono il lavoro di una missione spaziale al lavoro un team per il raggiungimento di una missione aziendale. Penso che dallo spazio ci sia molto da apprendere.

ⓢ Per anni si è detto che la corsa allo spazio si era rallentata dopo quell’incredibile impulso degli anni ’60, ma negli ultimissimi tempi le cose sembrano essere di nuovo cambiate, praticamente ogni settimana i giornali riportano importanti notizie legate allo spazio, dalle sonde su Marte ai voli privati sulla Luna, passando per le nuove scoperte astronomiche, tutto questo ci dice che c’è un rinnovato e fortissimo interesse per le cose spaziali. Quali sono le notizie che segui con più interesse?
Un po’ tutto, ma sicuramente la parte di esplorazione, quella legata alle missioni su Marte e alla possibilità di andare su un altro pianeta, i nuovi progetti che in un medio futuro riporteranno l’uomo sulla Luna e anche la parte delle nuove tecnologie legate allo spazio.

La “foto” del buco nero cosa ti ha fatto provare?
Beh queste cose le percepisco un po’ come l’uomo della strada, è il mistero dell’universo, credo sia insito in ognuno di noi domandarsi da dove veniamo e dove stiamo andando.

Quando sei nello spazio c’è quindi una dimensione spirituale che si innesca o si è troppo occupati a fare cose pratiche per pensarci?
Sei sicuramente molto preso però è chiaro che nei momenti di pausa, quando guardi fuori dal finestrino e vedi la Terra sotto e attorno il nero così intenso dell’universo, ti fai delle domande. Come si è creato questo mondo? Esistono altri mondi? Esistono altre forme di vita? E intuisci anche quanto sia enorme la scala dell’universo.

ⓢ Cosa sognerebbe oggi quel ragazzino del ’69 se leggesse di una di queste scoperte?
Ognuno di noi rimane sempre un po’ bambino e quindi sognerei sempre di andare sulla Luna, è ancora qualcosa di fantastico a pensarci e, perché no, di andare un giorno su Marte.

ⓢ Secondo te quindi ci arriverà l’uomo su Marte?
Penso che ci andremo, ma non so in che lasso di tempo.

Hai ancora contatti con i colleghi con cui hai fatto la missione?
Sì, con molti di loro, tra l’altro come astronauti abbiamo ogni anno un simposio in giro per il mondo ed è un modo un po’ per rimanere a contatto con le novità e, allo stesso tempo, un modo per rivedere persone che hai conosciuto in altri momenti della tua vita.

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