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Massimo Pericolo e la nuova rabbia

Intervista al rapper che insieme a Speranza e Barracano, futuri compagni di tour, sta dando forma a una nuova visione del rap italiano, intima e irruente.

di Clara Mazzoleni

Fotografie di Giulia Bersani

Fino a pochi mesi fa, cercando “Scialla semper” su Google, i risultati portavano sul sito della questura di Varese e agli articoli apparsi sui quotidiani di provincia: la frase, ascoltata nelle intercettazioni, aveva dato il nome a un’indagine che nel 2014 portò a 28 arresti per spaccio di marijuana. Tra gli ammanettati c’era anche Alessandro Vanetti, vero nome di Massimo Pericolo, che oggi con le sue fotografie domina quegli stessi risultati di Google, non perché a causa dell’operazione ha trascorso 4 mesi in carcere e un anno e mezzo ai domiciliari, ma perché Scialla semper è il nome del suo primo album. Uscito il 12 aprile per Pluggers e Lucky Beard, ha debuttato alla posizione numero 4 della classifica FIMI degli album più venduti in Italia. Dopo la pubblicazione di altri singoli (tra cui “Scacciacani“, con Ketama126) e un tour in tutta Italia, il 16 ottobre Massimo Pericolo (nato a Gallarate nel 1992, cresciuto a Brebbia) è stato ospite della prima puntata del nuovo programma di Daria BignardiL’Assedio.

Il rapper ha esordito con “Ansia“, un brano con Ugo Borghetti della crew romana 126, «lui era molto più seguito di me, temevo che avrebbero detto: tutto bello, peccato per Massimo Pericolo», ma la data più significativa nella sua storia è il 22 gennaio 2019, il giorno dell’uscita del video ufficiale del singolo “7 Miliardi” (prodotto da Crookers e Nic Sarno): in poche settimane supera un milione di visualizzazioni. È un pezzo aggressivo, nella base, nelle parole e nelle immagini, che finalmente descrivono con esattezza l’estetica della provincia del Nord. Dal momento del debutto, la parabola ascendente di Massimo Pericolo si è mantenuta costante ma imprevedibile. “Sabbie D’Oro“, il secondo video, prodotto da Palazzi D’Oriente, ha sorpreso per la sua dolcezza e malinconia. Sparito il gruppo riottoso del precedente, qui lo scenario è intimo e tenero: due amici che cazzeggiano sul lago. Inizia con la sola voce di Alessandro accompagnata dallo stridio dei gabbiani e finisce citando la famosa scena di Gomorra con i ragazzi in mutande che sparano nell’acqua. Il contrasto tra la disperazione di “7 Miliardi” e il lirismo sconsolato e fiero di “Sabbie d’Oro” delinea perfettamente una condizione tanto odiata quanto amata e un’insoddisfazione profonda che funziona come motore e ispirazione.

Ci incontriamo da Pluggers, l’etichetta discografica indipendente che ha curato il recente repack del disco e si sta occupando di promuovere il tour insieme ai rapper Speranza e Barracano che inizia il 2 novembre. Massimo Pericolo arriva in ritardo, come una star: è con la sua fidanzata, la modella Lucrezia Vanotti, e alcuni amici che lavorano con lui. Appena ci lasciano soli gli chiedo se, adesso che la sua vita ha preso la piega che ha sempre desiderato, non ha paura di perdere il motore principale della sua musica.

ⓢ La rabbia si sta indebolendo?
Ne parlavo ieri con degli amici. Il discorso è partito dal fatto che sto cercando casa … 

ⓢ A Milano?
No, no. A Milano mi sento un pesce fuor d’acqua, non ci vivrei mai. La sto cercando dalle parti di Brebbia, dove sto adesso. Sto vedendo delle case in cui non ero mai entrato, e pensare che adesso potrei viverci, che inizio a potermelo permettere … mi sono detto «ma dove andrà a finire il disagio? Poi cosa scrivo?». Un po’ mi preoccupa, sinceramente. Però ce l’hanno fatta in tanti, e poi grazie a dio sono abbastanza problematico. Si può trovare il disagio anche in una bella casa, ovviamente… chi cerca trova.

ⓢ Il 2 novembre inizi il tour con Speranza e Barracano: anche loro cantano e gridano di strada, droga, galera, vita ai margini, rivendicano la loro realtà con orgoglio, odiano con ardore. Tu però parli di nord e loro di sud.
Ci siamo conosciuti anni fa su Facebook e anche se ci siamo visti poco, per via della distanza, siamo uniti dalla solitudine. Tutti e tre veniamo da realtà marginali e le descriviamo nello stesso modo realistico e personale. La differenza maggiore tra nord e sud è il lavoro: al nord fai un lavoro merda, al sud può mancarti perfino quello. Però quando Barracano è venuto dalle mie parti mi ha detto: «io al tuo posto mi sparerei». È la noia, il senso di vuoto che porta a drogarsi e distruggersi … è un disagio diverso, più esistenziale.

ⓢ Siamo lontani anni luce dai dadaismi e dalle frivolezze a cui ci ha abituato certa trap. Il tuo disco colpisce perché è rap nel senso più classico: è duro, intenso, ed è scritto molto bene. Che rapporto hai con la scrittura?
La scrittura mi ha salvato, soprattutto quando ero in carcere. Nei mesi passati dentro ho scritto tantissime lettere, mi sfogavo, senza badare alla forma. Non ero abbastanza sereno per scrivere una bella canzone: posso anche scrivere un testo incazzato ma devo avere un minimo di lucidità mentale per fare attenzione alle rime e allo stile. Quando inizio a scrivere sono divorato dall’ansia perché ho delle aspettative altissime … allora spesso non scrivo, un po’ come la gente che non esce perché ha l’ansia di uscire.


ⓢ E a parte le lettere, hai sempre scritto canzoni?
Ho iniziato a rappare a 12 anni. Volevo fare questo nella vita. Immaginavo di diventare una star… a dire la verità non mi vedevo in Italia ma in America.
 
ⓢ Per ora ti sei un po’ accontentato, quindi.
Sì, (ride) ma non dimentico le mie ambizioni.

ⓢ Quando è stato il momento in cui ti sei reso conto che il tuo sogno iniziava a realizzarsi?
A 15 anni scrivevo canzoni perché mi divertiva farlo e davvero credevo che un giorno sarei diventato bravo e sarei diventato famoso ma – non so come facevo a non trovarlo frustrante – continuavo a farlo anche se il risultato non mi piaceva. Il fatto che non riuscissi a buttare giù qualcosa di buono era anzi uno stimolo ad andare avanti. Poi verso i 18 anni, dopo aver attraversato delle esperienze un po’ difficili e averle messe su carta, mi sono reso conto di essere diventato bravo. Me lo sono detto io da solo, non è stato qualcun altro.

ⓢ E i fan, te lo dicono? Che rapporto hai con loro?
Il live mi piace sempre, soprattutto passare così tanto tempo con i miei amici, lavoriamo insieme e siamo legati da una forte amicizia, è una dimensione strana che non vivono in molti. Mi piace di più fare il concerto che andare in studio, e anche il fatto di poter comunicare direttamente con il pubblico, mi piace dire qualcosa sul palco. Rispetto ai fan posso raccontarti due episodi, fino a oggi i miei preferiti: quando ho suonato in provincia di Varese, quindi col pubblico di casa mia, è stata una cosa grossa per me. Lì ho visto tre miei amici che mi seguono da 3 o 4 anni, cioè da quando giravo i video sulla Punto, li mettevo su Facebook e facevano tipo mille visualizzazioni. Li ho rivisti lì e mi sono emozionato, mi sono commosso, sono andato dritto ubriaco oltre le transenne ad abbracciarli anche se tutti cercavano di toccarmi. Poi mi è rimasta in mente una ragazza che quando suonavo a Salerno mi ha regalato un chocker … è difficile che qualcuno ti regali una cosa da indossare e che azzecchi la tua estetica. Avevo già in testa le orecchie da gatto, l’ho messo subito. 

ⓢ Nelle tue canzoni racconti di un mondo da cui stai inevitabilmente stai iniziando a distaccarti. Nessuno è invidioso?
Cerco di compensare: ho appena organizzato una cena con 50 persone. C’è un amico che ha smesso di parlarmi, ma molti altri sono rimasti con me. Mohammed, ad esempio: siamo cresciuti insieme poi ci siamo separati, lui è andato in Svizzera, io sono andato in carcere, prima del carcere ci sono state altre cose che mi hanno portato via da lui, adesso lavora con me, si occupa della sicurezza.

ⓢ E quel tuo amico?
Lui aveva in ballo un processo per delle cose gravi, il rischio era alto, era molto stressato … lo capisco benissimo: più la tua vita è pesante, più ti incattivisci. Magari un giorno ci riavvicineremo, spero. Un pizzico d’invidia ci può essere in tutti, comunque, e lo capisco. Ovvio che tutti vorrebbero essere al mio posto, proprio come prima lo volevo io.