Attualità

Avere tutto e desiderare ancora

È uscito il memoir di Marisa Bruna Tedeschi, storia di una donna e di una famiglia inimitabile, sotto il segno del comico e della libertà.

di Gianluigi Ricuperati

Si può avere una vita inimitabile e rimanere freschi come un comedian affamato di applausi? Si può avere tutto e desiderare ancora trasformazioni? Si può inventare un sotto-genere letterario senza volerlo? Mettendo nella medesima stele un quarto di snobismo assoluto, un quarto di orecchio assoluto (è una storia di musicisti, dopo tutto), un quarto di vetriolo assoluto, e un quarto di melanconia apicale, che è il genere di sorpresa psichica da cui ci si sente traditi quando si è raggiunto il meglio dell’esistenza terrena (beni materiali, bellezza fisica, beni intellettuali, affetti), e proprio per questo si è ancor più consapevoli della terribile caratura dell’essere umano contemporaneo: puoi vedere tutto, ma non puoi prevedere tutto, e c’è sempre una stilettata che colpisce quando non dovrebbe, e mette a repentaglio il tuo mondo bellissimo, intelligentissimo, raffinatissimo, ricchissimo, Marisa Bruni Tedeschi ci è riuscita, scrivendo il memoir più divertente che abbia letto da diverse ere a questa parte, con un titolo mediocre, Care figlie vi scrivo, e un tono – una voce – che fa ridere fino a perdere la concezione delle lacrime.

Nel caso di questa grande dama, madre di Carla e Valeria, suocera di Sarkozy, vedova di Alberto, musicista mecenate attrice e artista della vita sociale, la punta dolorosa è giunta negli anni Novanta, quando il figlio Virginio le annuncia di essere sieropositivo. In seguito morirà, ma il dolore e lo smarrimento di quel momento lei lo fa seguire da una delle frasi più letali che abbia letto:

Cominciai a contattare tutti i più grandi specialisti. Andai a Marsiglia al centro del Luminy, dove il professor Chermann (che aveva contribuito alla scoperta del virus) faceva delle ricerche, dopo aver lasciato l’Istituto Pasteur. Diventammo amici, gli portavo le analisi del sangue, mi disegnava dei grafici, e gli comprai persino due scimpanzé per la ricerca.

Quel «gli comprai persino due scimpanzé per la ricerca», messo lì, infilato in una scorza di sensazioni e notizie dolorose, corrisponde a un’idea di comico che non è programmabile, non si può insegnare, non si può inventare, perché non vuole esserlo: se il comico è letterariamente un effetto di distorsione, qua non c’è alcuna distorsione. La realtà della Signora Bruni Tedeschi è in questo libro stenografata, con un’impressione di riso insostenibile alla Evelyn Waugh, ma immerso in una distanza dalla realtà che solo gli adolescenti egotici e certi ricchi illuminanti riescono a incarnare.

FRANCE-FILM-FESTIVAL-CANNES

Quasi sempre, nel testo, succede quando entra a visitare i personaggi l’improvvida puntualità della Morte: in un’autobiografia di una ottantenne, come potete immaginare, succede spesso: ed è in questa frequenza così ilare e lugubre che si ammira la scrittura di una non scrittrice che sarebbe stata con formidabile profitto il beniamino dei lettori di un quotidiano, e potrebbe ancora esserlo (chiamatela, direttori, a fare il suo buongiorno, molto più aristocratico e sofisticato degli attuali), anche perché ricorda da vicino la brutalità azzimata di Susanna Agnelli e delle sue risposte-ghigliottina nella rubrica delle lettere del settimanale popolare Gente, tipo «il mio fidanzato forse mi tradisce» spiegato con righe e righe di parole, al quale giungeva laconica la risposta da una riga: «Proceda anche lei, signorina». La differenza con Suni Agnelli, però, è la sostanza del «cuore messo a nudo» con maggiore severità, e per pene che davvero meritano sconforto e dolore totalizzanti (non quindi le pene d’amore romantico), come la perdita di un figlio. Inoltre Marisa Bruni Tedeschi ha vissuto tutta la vita in mezzo a compositori d’avanguardia, interpreti di compositori d’avanguardia, direttori di filarmoniche e teatri musicali. Tra i suoi amanti c’è stato Arturo Benedetti Michelangeli.

Ma sentite Marisa quando parla di cani:

Tommy era un aristocratico, un fox terrier con un pedigree inverosimile. Eravamo andati a prenderlo da un’allevatrice che sembrava anche lei un cane: aveva i capelli sugli occhi e delle specie di baffi. Ci spiegò quello che doveva mangiare, poi aprì una scatoletta di cibo per cani, ne mangiò un po’ e poi aggiunse: è molto buono, volete assaggiare?

E quando parla di collaboratori domestici a Parigi, impegnati a servire da bere a Gerard Depardieu in visita a casa (insieme a John Travolta, in cerca di una villa nella campagna), poco dopo aver ricevuto una chiamata intercontinentale da Fidel Castro, con cui l’attore francese intratteneva «affari»:

Gerard andò quindi in cucina per salutare Enzo, il cuoco, e Gaspard, il maggiordomo. Quest’ultimo gli aveva preparato un cocktail con del Martini: Gaspard era un ragazzo gentile, ma sfortunatamente la sua passione per l’alcool gli provocò una terribile cirrosi di cui morì l’anno dopo.

E quando parla del signor Cartier, quello degli orologi (da cui aveva affittato l’appartamento)

Era un uomo bello ed elegante, non troppo simpatico, con quell’aria un po’ sdegnosa di certi aristocratici. Durante il pranzo mi accorsi che aveva delle difficoltà nella masticazione. «Ha notato?», mi disse. «Ho un problema alle mascelle. Oggi vado a Vienna per consultare uno specialista». Gli annunciarono che aveva la malattia di Charcot. Quattro mesi dopo era morto.

E infine quando parla di Benedetto XVI, Ratzinger, reo di non averla ricevuta mentre accompagnava Nicolas Sarkozy (non voleva incontrare la madre di una donna che non era ufficialmente moglie del presidente francese):

In quel momento provai compassione verso il Papa. Quella compassione che avevo sperato che lui avrebbe avuto per me, per una donna che aveva appena perduto il figlio.

France's First Lady Carla Bruni-Sarkozy

Certo, Marisa Bruni Tedeschi non è una finissima stilista della prosa (troppi “che”, subordinate talvolta ineleganti, virgole non incastonate come dovrebbero): ma quanta libertà mentale si respira nella storia di una vita che molti giudicheranno troppo privilegiata. Avendo avuto una figlia da una contessa piemontese (ma di una famiglia altrettanto libera dalle convenzioni, per mia fortuna), conosco piuttosto bene il microcosmo dell’alta borghesia e dell’aristocrazia torinese, da cui la famiglia di Marisa e di suo marito provengono: quante volte ho sperato che si aprissero certe ampie finestre a cattedrale, appesantite da tendaggi ottocenteschi e passamanerie in eterno cordoglio, ed entrasse il vento dell’anarchia. Quante volte ho visto saloni meravigliosi sprecati per chiacchiere insensate. Quante volte ho assistito alla bruciante dissipazione di spazi e possibilità in mano a persone chiuse, grette, ipocrite, con doppi e tripli cognomi che spesso fanno capolino nel memoir della mamma di Carlà. Come la famosa attrice di Molière raccontata da Cesare Garboli, quella ventata avrebbe portato scandalo, ritmo anti-intuitivo, garbata asimmetria dionisiaca nella polverosa sequenza di si fa e non si fa del vivere bene, proprio come la Sinfonia in tre movimenti di Stravinskij che di sicuro Marisa conosce bene, composta nel 1945 a New York, sotto l’influenza della visione di tanti film di guerra. Quante volte avrei voluto irrompesse a metà cena una signora grandiosa, festosa, lieve, impressionante, acuta, appuntita come la narratrice di questo imperfetto e splendido memoriale: forse anche la vita pubblica italiana avrebbe più bisogno di profili del genere. Persone che vivono fuori dal bisogno, ma con una brutale necessità di farsi sentire vivi.

 

Foto Getty Images.