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Mostri, giornalisti, politici, lotta di classe (e altre cose divertenti che Marco Bellocchio non farà mai più)

Intervista al regista, in occasione del ritorno in sala di Sbatti il mostro in prima pagina in versione restaurata.

di Gianmaria Tammaro

Dopo più di cinquant’anni, Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio è ancora attualità. Si parla di lotta di classe e di scontri tra fazioni, di politica del terrore e strategia della tensione, e allo stesso tempo si parla dell’individuo, di solitudine, di contraddizioni ed eccessi. Il protagonista, interpretato da Gian Maria Volonté, è un giornalista che non esita a piegare la realtà dei fatti al tornaconto personale. E intanto, sullo sfondo, si alternano immagini vere, di manifestazioni e comizi, dell’Italia che si fa piccola e misera, travolta dalla rabbia e dall’istinto di sopraffazione. Oggi, 4 luglio, Sbatti il mostro in prima pagina torna al cinema in una versione restaurata, curata dalla Cineteca di Bologna, con 01 Distribution e Minerva Pictures. Per Bellocchio c’è una linea abbastanza netta tra ieri e oggi, tra quello che era e che adesso, semplicemente, non è più. Allo stesso tempo, però, alcuni comportamenti e alcune idee – la manipolazione della verità, il potere come moneta di scambio; i rapporti umani mortificati davanti all’altare del pressapochismo più cinico – restano identici. C’è, in Sbatti il mostro in prima pagina, una riflessione cinematografica precisa, che unisce una certa ricercatezza stilistica a partire dalla scrittura, firmata da Sergio Donati e Goffredo Fofi, a una visione più chiara della costruzione del racconto. Eppure, dice Bellocchio, questo è uno dei suoi film meno personali. Ma è innegabile come ogni personaggio abbia, o rifletta, un aspetto del suo carattere.

Sbatti il mostro in prima pagina è di nuovo al cinema. Quante cose crede che siano cambiate, in questi anni? Nel film, proprio all’inizio, vediamo un giovanissimo Ignazio La Russa arringare la folla.
In quel periodo, La Russa era un ragazzo e faceva parte dell’MSI. Oggi è la seconda carica dello Stato. Direi che qualcosa è cambiato. L’Msi non esiste più, e penso che buona parte dei suoi appartenenti sia diventata legalitaria; non credo che abbiano in mente azioni eversive o anti-democratiche. E poi, allora c’era un cinema molto più diffuso: banalmente, le persone andavano in sala ed erano sempre pronte a vedere il nuovo film.

L’Italia come Paese, invece?
L’Italia era ancora molto provinciale. Eravamo in piena strategia della tensione. L’episodio che viene raccontato in Sbatti il mostro in prima pagina si inserisce perfettamente in quel clima.

Il film non era così, all’inizio?
All’inizio il soggetto si concentrava di più sul fatto di cronaca [il film è stato spesso ed erroneamente considerato ispirato dall’omicidio di Milena Sutter, ndr], al di là dei colori politici. Volevamo ricreare un’atmosfera di tensione specifica, facilmente riconoscibile. Una cosa che, se ci pensa, succede ancora oggi, ogni volta che si parla di un nuovo delitto o di una morte violenta.

Anche i giornali sono cambiati.
All’epoca avevano un potere immenso: vendevano centinaia e centinaia di migliaia di copie, e la gente li leggeva. Di più: li ascoltava. Nel film, abbiamo giocato esattamente con questo meccanismo, che tendeva ad amplificare enormemente la cronaca nera. Oggi è tutto in piazza, in streaming, in piattaforma, su Internet e sui social. Il principio della manipolazione della verità, invece, resta lo stesso. È cambiata, perché è cambiata, la quantità di notizie manipolate.

E le persone?
Le persone pensano sempre di poter mentire tranquillamente.

Alla sinistra non piacque molto questo film.
Il Partito comunista, che era oramai un partito riformista, non lo amò affatto.

Nella sua recensione, Massimo Bertarelli de Il Giornale ci tenne a ribadire che Sbatti il mostro in prima pagina non parlava della sua testata.
Sì, è vero (ride, ndr). C’erano critici che si soffermavano soprattutto sull’aspetto cinematografico, e non sul significato politico, della pellicola. E mi ricordo – anche se piuttosto vagamente – quello che scrisse Alberto Moravia su L’Espresso. Sottolineava un certo schematismo, in particolare per il personaggio di Roveda. Ma anche l’aspetto più mefistofelico del personaggio di Gian Maria (Volonté, ndr) era piuttosto netto, oggi si direbbe “tagliato con l’accetta”. Quella, però, era la formula che avevamo adottato perché volevamo fare un discorso chiaro, anche schematico per usare le parole di Moravia, e inserire cose che ci piacevano, specialmente dal punto di vista cinematografico. Pensi al personaggio di Laura Betti, che era la protagonista femminile del film. Io la conoscevo da un po’, e mi affascinava molto. E per questo l’abbiamo inclusa. E per me è stupenda. Quindi, se vuole, c’era anche un elemento personale.

Rita Zigai, il personaggio di Betti, è di fatto un’altra vittima della storia.
Assolutamente. E poi mi permetta di dire una cosa su Fabio Garriba, che ha interpretato Roveda [il giovane giornalista che scopre il vero colpevole dell’omicidio della giovane studentessa, ndr]. Nel nostro cinema, c’è stata una stagione popolata da attori non attori, che per molto tempo sono stati apprezzati e ingaggiati in tanti film e da tanti registi. Garriba era uno di questi attori ed era giusto per la storia che stavamo raccontando. La sua unidimensionalità conteneva una verità evidente.

Il produttore esecutivo di Sbatti il mostro in prima pagina era Claudio Mancini, scomparso proprio di recente. Che cosa ricorda del periodo insieme sul set?
Mancini l’avevo conosciuto in precedenza, e l’ho ritrovato anche successivamente su altri set. Era il produttore di Sergio Leone ed era un grande produttore esecutivo.

Che cosa significa essere “un grande produttore esecutivo”?
Significa che risolveva i problemi, che era pratico, duro, deciso. Sapeva esattamente cosa fare, era un produttore sul campo. Non amava, mi è sembrato, prepararsi con largo anticipo delle strategie da seguire. Era un grande uomo di cinema. Conosceva ogni singolo aspetto del lavoro, e quindi era anche una garanzia. Era un uomo che, all’occasione, poteva essere ruvido. Non violento, no. Ma come le dicevo prima molto duro.

Che rapporto avevate?
Leale. E franco. Soprattutto franco.

«È difficile essere adulti», dice a un certo punto Bizanti, il personaggio interpretato da Gian Maria Volonté. Lo è davvero?
Lo è, certo. Soprattutto perché bisogna fare i conti con la realtà. Ma vede, Gian Maria aveva tante battute come questa. Se ci pensa, il confronto che ha con Roveda è tutto così. Siamo in guerra, gli diceva. E una cosa simile, oggi, è assolutamente impensabile. Anche la nostra è lotta di classe, insisteva Gian Maria. Erano frasi utili per evidenziare il clima di tensione che c’era in quel periodo. L’obiettivo del personaggio di Volonté era castrare, o almeno rallentare, i giovani di sinistra. E per farlo era pronto a tutto, anche ad andare contro il suo ruolo di giornalista.

I film, mi ha detto qualche tempo fa, raccontano i loro registi. Che cosa dice di lei Sbatti il mostro in prima pagina?
È vero che i film tendono a contenere una parte della storia dei loro registi. Pensi, per esempio, a Nel nome del padre. Quello è sicuramente un lavoro molto più personale. Sbatti il mostro in prima pagina, invece, è più distante da ciò che sono e non credo che ci sia una sovrapposizione così evidente tra me e i vari personaggi. Allo stesso tempo, però, ognuno di loro mi somiglia in qualcosa.

Per esempio?
Laura Betti, come le dicevo, era una grandissima amica. E il nostro rapporto, inteso come conoscenza diretta, era presente nella costruzione del suo ruolo. Ma c’è pure la fragilità di Roveda, che in qualche modo mi appartiene. E lo stesso vale per la dimensione più luciferina del personaggio di Gian Maria. Lì, però, c’era pure un altro elemento: la grande ammirazione per l’attore. In generale, non c’era un’identificazione così chiara con qualcuno dei personaggi.

In una scena compare anche lei.
In quella scena, Roveda rischiava di prenderle; era andato a una conferenza stampa dei compagni di Mario Boni, l’uomo accusato di omicidio, il mostro da sbattere in prima pagina. E nel mio piccolissimo ruolo provavo a ribadire che tutti hanno diritto a fare le loro domande.

Era un cameo presente in sceneggiatura o è stato aggiunto all’ultimo minuto?
Guardi, non glielo so dire. Non me lo ricordo. Ma Sbatti il mostro in prima pagina è stato un film così, costruito giorno per giorno.

Ha cominciato a lavorare al suo progetto su Enzo Tortora?
Sì, abbiamo iniziato da poco i sopralluoghi. Adesso stiamo andando verso Milano, poi ci sposteremo in Sardegna e a Napoli. È una normalissima preparazione, come ne ho fatte tante altre.

Mi ha detto che spesso, nel tempo libero, disegna. Continua a farlo?
Sì, certo.

Che cos’ha di così speciale il disegno?
È utile ed è chiaro. Lo uso per spiegarmi quando non ci riesco con le parole. Faccio un disegno per dire al costumista che cosa ho in mente o allo scenografo di che cosa ho bisogno.

E le parole?
Le parole, le tante parole, mi hanno rotto.