Attualità

Quel che resta del palinsesto

I canali tematici, il web, l'on demand. Come si sta evolvendo il nostro concetto di programmazione televisiva nell'era dei contenuti diffusi e del binge watching. Un estratto dal saggio Palinsesto di Luca Barra, che esce per Laterza.

di Luca Barra

È da poco uscito per Laterza il saggio Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva, di Luca Barra. Proponiamo qui un estratto dal quarto capitolo, dedicato alle prospettive future. Buona lettura

Il palinsesto, così come gli strumenti e le tecniche mediante cui è progettato e costruito, non è qualcosa di fisso e immutabile, ormai è chiaro: le regole, le strategie, le abitudini, i tratti distintivi delle reti e della loro programmazione sono piuttosto il risultato di un processo storico articolato e complesso, con aspetti specificamente nazionali e fattori condivisi, e con permanenze, cambi di rotta e contraddizioni che dipendono dalla struttura del sistema televisivo e mediale, dalle pratiche di fruizione, dai progetti e dagli obiettivi degli addetti ai lavori. La variabilità è un elemento intrinseco, quasi scontato, non soltanto nelle tecniche di composizione di scalette e griglie, ma anche nella stessa evoluzione storica di un’operazione di continua scrittura, modifica e riscrittura a più livelli.

Di più, almeno a partire dai primi anni Novanta, il palinsesto – sia nel mondo, sia in Italia – è messo, spesso anche radicalmente, in questione: a ripercorrere il discorso pubblico e a leggere le analisi di tipo giornalistico, o talvolta anche accademico, la struttura dei programmi e degli altri contenuti sottesa alla messa in onda pare essere il punto debole del piccolo schermo, e l’attacco a essa il grimaldello con cui scardinare abitudini e pratiche fruitive che parevano immutabili. Di fronte allo sviluppo, all’avanzata e poi allo stabile radicamento del web e dei media digitali nei consumi di ampie parti del pubblico, in molte analisi il palinsesto è morto, e anche la televisione non si sente troppo bene. L’artigianato del collocare programmi e comporre scalette, la scienza di dare forma e struttura a un’esperienza che sarà di flusso, l’insieme articolato di leggi e convenzioni diventa, nel mondo digitale, poco più di un vecchio arnese, uno strumento arcaico e ormai obsoleto a fronte delle molteplici opzioni rese possibili da piattaforme, strumenti e device che (retoricamente) mettono in primo piano le capacità di scelta libera e indipendente di un’audience sempre più attiva e partecipe.

Come la televisione, il palinsesto è ancora lì, e vi resterà a lungo: è però uno strumento diverso, più complesso da definire.

Come ogni luogo comune, anche questa diffusa interpretazione, che vede opporsi da più di vent’anni la «vecchia televisione» e i «nuovi media», contiene numerosi elementi degni di nota, evidenziando (anche se in modo spesso troppo radicale) cambiamenti nei comportamenti e nelle attese del pubblico, inedite priorità e attribuzioni di valore, e in generale la percezione condivisa di un’avvenuta rivoluzione. Al tempo stesso, però, osservando più da vicino i fenomeni, le direttrici appaiono molto meno nette, a comporre un quadro certo meno schematico – ma proprio per questa ragione, in fondo, molto più interessante – fatto di contaminazioni reciproche, sovrapposizioni inattese, resistenze inerziali e insieme della messa in discussione di rendite di posizione che parevano consolidate. Come la televisione, il palinsesto è ancora lì, e vi resterà a lungo: è però uno strumento diverso, più complesso da definire e forse meno potente nei suoi effetti, sotto il fuoco incrociato di varie spinte centrifughe, al centro di mutamenti e cambi di pelle costanti, ma anche inaspettatamente resiliente, capace in modo costruttivo di ritagliarsi un nuovo valore e uno spazio differente nella costante evoluzione dello scenario. […]

La complessa sfida della tv contemporanea è di ricostruire un flusso sempre più disperso, di offrire appuntamenti di visione e «scelte facili», di mantenere la centralità accettando il mutato campo di gioco.

Le strade per riuscirci sono molte, anche se non sempre facili da percorrere, e puntano proprio sulle funzioni che tuttora rendono necessaria – e importante – la sequenza ordinata dei programmi. Lungi dall’abbandonare il palinsesto, il piccolo schermo deve piuttosto farne un punto di forza, un tratto distintivo e caratteristico, forse persino il suo «specifico» in un mondo digitale.

Le serie e le sitcom di importazione, sparse tra più canali e piattaforme, disponibili nell’on demand e spesso scaricate illegalmente, non sono in realtà l’esempio della massima libertà fruitiva. Il palinsesto non è più imposto in modo centralizzato, ma selezionato volontariamente.

In primo luogo, attraverso il palinsesto il mezzo televisivo può sottolineare (e persino imporre) la sua capacità di sincronizzazione, fissando temporalità, abitudini e appuntamenti condivisi per l’intera platea nazionale o, in modo più ridotto, per singoli gruppi e comunità specifiche. […] Basti pensare agli eventi sportivi e spettacolari, o all’informazione e al rito del telegiornale della sera (che resta rigorosamente alle 20). Ma ogni programma può diventare a suo modo un appuntamento da non perdere, un contenuto da vedere per poterne parlare il giorno dopo con amici e colleghi – la televisione del watercooler, il distributore d’acqua, in Italia sostituito dalla macchinetta del caffè –, il tassello utile a sentirsi parte integrante di una comunità ancora «immaginata», ma secondo direttrici differenti. […] E le serie e le sitcom di importazione, sparse tra più canali e piattaforme, disponibili nell’on demand e spesso, almeno da una parte degli spettatori, scaricate illegalmente, non sono in realtà l’esempio della massima libertà fruitiva ma consentono piuttosto una scelta tra più palinsesti, al plurale: un’alternativa al binge viewing, talvolta forzata (se la serie è ancora in onda con episodi inediti), è infatti il riallineamento su un palinsesto specifico – che può essere quello della televisione pay free, oppure quello statunitense, da sondare con attenzione nell’attesa della messa in onda di una nuova puntata –, con lo spettatore che tende a scegliere con cura una temporalità di elezione e a seguirla con fedeltà. Il palinsesto non è più imposto in modo centralizzato, ma selezionato volontariamente. Si moltiplica, ma non esaurisce le sue mansioni.

Una seconda funzione fondamentale del piccolo schermo è quella di fornire una «bussola», uno strumento diorientamento all’interno di un panorama complesso, caotico e sovrabbondante, dove è facile perdersi (e quindi perdere contenuti potenzialmente interessanti). Di fronte all’information overload, alla complessità di un’offerta di testi e programmi in costante evoluzione e perennemente aggiornata, la griglia della programmazione offre un approdo sicuro. Lo spettatore rinuncia, almeno in parte, alla sua libertà potenzialmente infinita di selezione dei contenuti – comunque faticosa, dispendiosa in termini di tempo e di risorse – e si affida alle mani esperte e sapienti di chi compone i palinsesti. […]

Se l’on demand, e per alcuni aspetti anche la tv tematica in senso forte, sono lo spazio della specializzazione e della scelta, la televisione generalista o le reti rivolte a target e comunità di interesse hanno una ragion d’essere distinta, che consiste nel loro ruolo di guida, accompagnatore, selezionatore di proposte e contenuti che possono risultare interessanti. Il palinsesto evita qui il rischio di una «balcanizzazione», un ripiegarsi dello spettatore su se stesso e su ciò che è già sicuro di apprezzare, e offre il rischio (ma anche la soddisfazione) della sorpresa. […]

Infine, la televisione «tradizionale» è ancora lo spazio del primo incontro con il programma. È una naturale conseguenza degli altri punti: della creazione di appuntamenti sincronizzati, del ruolo di guida nello scenario complesso, della costruzione di scalette chiare e omogenee. Ed è insieme una condanna e un grande punto di forza per i broadcaster, che devono necessariamente tenerne conto. La generalista è infatti la «matrice potenziale» di tutte le proposte televisive, dalle reti tematiche all’on demand. Insomma, è nei palinsesti delle reti che trovano spazio prodotti innovativi, o anche solo titoli e programmi nuovi di genere e tipologia consueta: la tv resta così il solo spazio in cui il pubblico può incontrare, vedere per la prima volta, valutare e soppesare qualcosa che ancora non conosce. Soltanto in un secondo momento, una volta «saggiato» il programma, deciderà come proseguire nella visione tra le molte scelte disponibili, fidelizzandosi all’offerta di palinsesto o piuttosto cercando di anticiparla, spostandosi su altre piattaforme o settandosi su temporalità differenti.

Una pratica che per certi versi somiglia allo showrooming, l’utilizzo dei negozi per saggiare le merci in vendita che poi si acquisteranno online, e che trasforma il palinsesto delle reti in una «vetrina» di proposte molteplici. Ma proprio per questo la strada per i broadcaster è tenere accesa, piena e brillante la loro offerta.