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Perché LOL fa ridere

Come funziona la comicità dello show di Amazon Prime (i primi quattro episodi della seconda stagione sono disponibili da oggi) e perché continuerà a essere un grande successo in Italia e in tutto il mondo.

di Jacopo Cirillo

In una bella scena di The Young Pope di Paolo Sorrentino, Pio XIII si rivolge a Sofia Dubois, a capo della comunicazione e del marketing del Vaticano, e la subissa di domande a raffica sulle più importanti figure della cultura e dello spettacolo del secolo scorso. Spoiler: Sofia le sbaglia quasi tutte, ma le risposte giuste sono J. D. Salinger per i romanzieri, Stanley Kubrick per i registi, Banksy per gli artisti, i Daft Punk per la musica elettronica e Mina tra le cantanti italiane. «Lei sa qual è l’invisibile filo rosso che unisce tutte queste figure?», chiede beffardo Jude Law alla sua interlocutrice. «Nessuno di loro si fa vedere. Nessuno di loro si lascia fotografare. L’assenza è presenza».

L’assenza è presenza, dunque. Sottrarsi, scomparire, non farsi vedere quando tutti invece se lo aspettano ribadisce paradossalmente il proprio esserci attraverso la mancanza. Noi, per esempio, ci aspettiamo che uno scrittore della caratura di Salinger possa essere relativamente raggiungibile (o intervistabile) come i suoi altrettanto blasonati colleghi, o che Mina, al pari di Ornella Vanoni o Patty Pravo, si conceda un’ospitata a Mattino Cinque come tutti. E invece loro sono assenti, e la loro assenza li presentifica ancora di più, li rende più-che-presenti, presentissimi.

Ed è proprio grazie a questo meccanismo che LOL − Chi ride è fuori, il format prodotto da Endemol Shine Italy per Amazon Studios tornato con dieci nuovi comici (tra cui, ricordiamo, il Maestro Corrado Guzzanti), è stato e probabilmente continuerà a essere un grande successo in Italia e in tutto il mondo. Solo che, nel nostro caso, non stiamo parlando della mancanza di un essere in carne e ossa − e casco, come i Daft Punk − ma di qualcosa di più ineffabile e misterioso: la risata. Per i pochi eremiti senza fibra che non conoscono il format: dieci comici sono rinchiusi nello stesso luogo, una specie di sala-teatro, per sei ore consecutive e devono far ridere gli altri colleghi, con ogni mezzo. Se qualcuno ride, se la risata scappa, viene prima ammonito e poi, alla seconda occorrenza, definitivamente espulso dal gioco. Il vincitore è quello che non ha riso nemmeno una volta e che, beffa finale, dovrà devolvere in beneficienza i centomila euro del montepremi finale.

Quello che fa LOL − Chi ride è fuori è una delle cose più innaturali del mondo: sopprimere il riso. Solo che il riso non si può sopprimere per definizione. Facciamo dunque un passo indietro e parliamo del mistero buffo per eccellenza. Tutti noi accettiamo senza problemi di avere due visioni del riso incompatibili tra loro e, tuttavia, compresenti: da una parte la sua naturale incontrollabilità, dall’altra la sua esperienza quotidiana come reazione culturale (dico “culturale” perché l’umorismo cambia a seconda del tempo e del luogo, per cui non ridiamo più delle stesse cose di cui ridevano i nostri trisavoli, o anche i nostri genitori). La risata funziona in entrambi i modi e questa stranezza non ci disturba poi così tanto, così come non sembra disturbarci troppo nemmeno la consapevolezza che una risposta univoca alle domande “perché ridiamo?” e “di che cosa ridiamo?” semplicemente non c’è. Non lo sa nessuno. Si ride di tutto e del contrario di tutto, per qualsiasi motivo. Basta fermarsi e rifletterci un attimo per accorgersene.

Per questo, e per non impazzire definitivamente, si tende a ridurre il riso a una delle sue possibili declinazioni: la risata umoristica, quel particolare sottoinsieme che comprende un controllo scarsamente volontario delle proprie reazioni a una battuta costruita per essere divertente, qualcosa di preconfezionato e pensato specificatamente per far ridere (canned joke). Proprio come LOL − Chi ride è fuori, dove i concorrenti prendono parte a una battaglia campale che si combatte fin dall’alba dei tempi: natura contro cultura.

Mi spiego meglio. Chiedersi se il riso sia un fenomeno naturale o culturale è solitamente tempo perso, perché tale vocalizzazione umana mette in discussione la semplicità di una divisione del genere. A questo proposito, l’antropologa britannica Mary Douglas sostiene che il riso sia l’unica manifestazione incontrollata del corpo a essere sempre considerata una comunicazione. Diversamente dallo starnuto, per esempio, quando ridiamo vogliamo sempre dire qualcosa − includere o escludere, sostenere o allontanare, riaffermare o contestare le gerarchie di potere − e sappiamo sempre cosa vogliamo dire, anche se il riso è allo stesso tempo un riflesso fisiologico. Vivere questo paradosso è un’esperienza tanto comune quanto vertiginosa, e il meccanismo interno di LOL − Chi ride è fuori prova a far esplodere le categorie tracciando una divisione netta e artificiosa proprio tra natura e cultura.

Per capirci: se Max Angioni − il più giovane concorrente in gara, seguitelo, merita − mi sorprende con una battuta, mi verrà naturalmente da ridere, sentirò i singhiozzi nascere dalle profondità ctonie del mio corpo che spingono per uscire e vocalizzarsi in un ha-ha-ha pronunciato con gusto. Per non perdere la possibilità di vincere la gara, tuttavia, devo attivare un dispositivo di controllo che è prettamente culturale e parte dalla consapevolezza delle regole del gioco. LOL − Chi ride è fuori mette in scena le fondamenta della risata, il grado zero della comicità, è una forzatura esilarante che funziona talmente bene in quanto meccanismo da non richiedere in teoria nemmeno comici di professione. Pensateci: se al posto dei vari Guzzanti, Angioni, Maccio Capatonda e tutti gli altri ci fossero il vostro gruppo di amici, non sarebbe in fondo la stessa cosa? Non farebbe ridere lo stesso? Ciò di cui si ride non è forse la dinamica stessa in atto?

Probabilmente sì, anche perché la forza del format non si fonda solo sulla soppressione innaturale della risata tra i concorrenti ma anche, se non soprattutto, sulla moltiplicazione degli episodi ilari per il pubblico. Belli comodi sul nostro divano di casa, noi spettatori ridiamo sì per i tentativi burleschi dei protagonisti, ma pure per i vani sforzi dei malcapitati di trattenersi, per le loro smorfie, i loro disperati tentativi di non sbellicarsi, di non lasciarsi andare. E questa cosa è molto appagante per noi perché, al contrario dei comici in scena, siamo legittimati e addirittura incoraggiati a ridere, sempre, di tutto, senza costrizioni. Siamo liberi, letteralmente alla faccia loro.

Allora non si ride tanto per l’originalità del format, tutt’altro che inedito visto che ricalca perfettamente le nostre esperienze sulla risata, quanto piuttosto per la sua familiarità, e il grande merito di LOL − Chi ride è fuori è quello di innalzare la risata a feticcio, a premio e a punizione, mostrandocela nel modo più valorizzante possibile, cercando cioè di farla sparire, di sottolineare la sua mancanza, di presentificare la sua assenza, mentre tutti noi, da casa a bocca aperta, non aspettiamo altro che arrivi.

Se allora, a questo punto, volessimo rispondere alla fatidica domanda di Nanni Moretti/Michele Apicella in Ecce Bombo gli diremmo: Miche’, lascia fare, ti si nota molto di più se non vieni.