Attualità | La strana estate italiana

Lignano Sabbiadoro e il mito di Hemingway

L'ultima tappa del nostro viaggio lungo le coste della Penisola è la città protagonista di una delle più geniali operazioni di marketing letterario applicata all’urbanistica.

di Giuliano Malatesta

Nell’anno delle vacanze autarchiche e distanziate, che nessuno ha ancora capito se saranno veramente vacanze, sulle orme di illustri predecessori letterari (Pasolini in primis), abbiamo deciso di raccontare questa strana estate italiana con un viaggio a tappe lungo le spiagge e i luoghi più famosi della costa della Penisola, in un periplo che partirà dalla Liguria e arriverà al Friuli Venezia Giulia. Qui tutte le puntate precedenti.

«Hemingway? Sarà stato qui non più di un paio d’ore in tutta la sua vita», dice seduto a un tavolino della pasticceria torinese Steno Meroi, negli anni Ottanta per due mandati apprezzato sindaco socialista – lombardiano, per la precisione, una roba quasi preistorica – di Lignano Sabbiadoro. Centoventi minuti sufficienti a costruire una delle più geniali operazioni di marketing letterario applicata all’urbanistica. Protagonisti, oltre all’involontario scrittore americano, da queste parti citato come se fosse nativo di Udine, un visionario architetto e un nobile con lungimiranti capacità imprenditoriali. Forse troppo lungimiranti.

«È una campagna piatta e monotona e sotto la pioggia è ancora più piana. Verso il mare vi sono pianure salate e pochissime strade», scriveva il premio Nobel nel romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi, uscito dopo dieci lunghi anni di silenzio, descrivendo questo angolo del nord est italiano che aveva lentamente imparato ad apprezzare. Sono gli anni del romanzo veneziano, della storia con la bellissima e giovane Adriana Ivancic e delle interminabili battute di caccia. Ma anche di un principio di “disperazione negli occhi”, come scriverà la sua amica Fernanda Pivano. L’autore di Il vecchio e Il Mare era affascinato dai grandi spazi e quando lo portarono in visita sul litorale, allora c’erano solo dune e pini, se ne uscì con l’appellativo di “Florida d’Italia”. Un’espressione diventata quasi mitologica e che ancora a metà dei Sessanta campeggiava in quelle vecchie buste giallastre che un tempo i Comuni utilizzavano come carta intestata: “Lignano, la Florida d’Italia”.

In realtà Hemingway quella Lignano non la vide mai, visto che era solo un progetto su carta, messo a punto dall’architetto Marcello D’Olivo, che si era inventato un originale disegno urbanistico a forma di spirale che gli valse una discreta notorietà e l’appellativo, immancabile in Italia, del “Wright italiano”. Era stato il conte Alberto Kechler, detto Titti, nobiluomo novecentesco e principale azionista della società Lignano Pineta, a convincere Hemingway a visitare i cantieri della cosiddetta città a chiocciola. L’idea era semplice ma ben congeniata: offrigli un lotto di terreno (un altro fu gentilmente concesso ad Alberto Sordi, che ne approfittò) con la speranza che lo scrittore americano potesse con la sua residenza dar lustro e una certa risonanza artistica a quella cittadella per le vacanze che si stava mettendo a punto a tavolino. L’ipotetica costruzione non vide mai la luce, oggi resta solo una firma di Hemingway sulla pianta di d’Olivo, conservata nello studio dell’ex sindaco, ma tanto bastò per creare questo fantomatico legame tra lo scrittore e la città. In seguito avvalorato da mostre, documentari, un importante premio letterario e un bel parco cittadino.

«In realtà il progetto originario di D’Olivo prevedeva solo ville ma poi la società cambiò la maggioranza e decise di puntare su alberghi e condomini, e questo provocò la presa di distanza dell’architetto, che abbandonò il progetto, racconta Steno Meroi. A Lignano rimangono, come residuati bellici, tre ville progettate da d’Olivo, tra cui la sinuosa villa Mainardis, piccolo gioiello immerso nel verde di fronte al mare. Ma certo il buon Hemingway stenterebbe – per usare un eufemismo – a riconoscere un luogo cosi rovinato dalla furia cementizia degli anni Settanta. Una furia omogenea, sistematizzata, che sottintende una visione, non disordinata come quella osservata in alcune zone della Calabria. Due delle tre aree che compongono la città, Pineta e Riviera, mantengono ancora, nonostante le radicali trasformazioni, una loro anima balneare, se cosi vogliamo chiamarla, forse più a misura di tedesco che di italiano – tutto è ordinato, pulito, curato – mentre Lignano Sabbiadoro, vista dal mare – non esattamente i Caraibi – è una mostruosa sequenza di improbabili condomini di varie forme geometriche che soddisfano i voyeurismi estetici più inquietanti. Tutti con piscina, naturalmente. Vista mare.

«A Lignano il business è sempre stato immobiliare. L’edilizia qui era un piano di fabbricabilità», aggiunge l’ex sindaco. «Nel 1974 l’amministrazione di centro approvò in un pomeriggio 3 lottizzazioni per 1,3 milioni di metri cubi: Lignano riviera, il campeggio internazionale e Punta Faro». Il parco Hemingway, inaugurato nel 1984, è indirettamente legato a una di quelle lottizzazioni. «Avrebbero voluto farci un cinema e un pizzeria. Ma la società Lignano Pineta, che nel frattempo aveva cambiato gestione, per sanare un’edificazione che aveva debordato fu costretta a cedere gratuitamente l’area del parco».

La sera, seduto al tavolino di un’enoteca di Pineta, termino la lettura di Di là dal fiume e tra gli alberi. Libro non memorabile, anche se nelle avventure del colonnello di fanteria Richard Cantwell si possono rintracciare molte delle inquietudini e delle ossessioni che hanno segnato la vita dello scrittore americano, a partire dagli incubi della II Guerra Mondiale e dal mito della giovinezza perduta. Una vita naturalmente viziata all’origine dal vecchio adagio riportato in Fiesta: «non c’è nessuno che viva la propria vita fino in fondo, a parte i toreri».

A fine serata, giunti al termine di questo lungo viaggio costiero, me ne vado a dormire con una considerazione e una certezza. La prima è che fortunatamente Lignano ci ha risparmiato l’ennesimo bar Hemingway (anche se il daiquiri del Floridita all’Havana andrebbe riconosciuto dall’Unesco come bene immateriale dell’umanità). La seconda è che il prossimo anno vado direttamente in Florida. Covid permettendo.