Cultura | Rassegna

I libri che leggeremo e rileggeremo quest’estate

Venti titoli da portare in vacanza per motivi molto diversi tra loro.

di Studio

È il momento in cui ci chiediamo a vicenda: cosa leggerai quest’estate? Ma non esiste una definizione universale di libro per l’estate: c’è chi si tiene le vacanze per leggere mattoni che non è riuscito a leggere durante gli altri mesi, chi invece vuole che tutto il suo agosto, anche nelle letture, giri intorno a spiagge mediterranee. Estate, ormai, vuol dire però anche coscienza del cambiamento climatico, e per altri estate non vuol dire nemmeno vacanze. Questi venti libri non saranno i libri di tutte le estati possibili, ma coprono un buono spettro.

Stagno di Claire-Louise Bennett, Noi siamo luce di Gerda Blees, Proleterka di Fleur Jaeggy, La vedova incinta di Martin Amis

I miei quattro libri per l’estate sono divisi per quattro mood, anzi, per quattro vibes, come si dice in questi anni. C’è il libro della campagna, Stagno di Claire-Louise Bennett (Bompiani, trad. Tommaso Pincio): è un esordio del 2019, e non è stato facile da recensire, all’epoca, per la sua forma sfuggente. È un romanzo, sì, ma è anche una serie di pensieri, di monologhi, di episodi, di appunti. Sono tutti frutto della mente di una giovane protagonista che si è trasferita in solitudine, un’estate, in un cottage in Irlanda mollando la sua stressante vita da dottoranda. Un po’ “grandi dimissioni”, sì. C’è molta estetica, molta estasi, un po’ di poesia, qualche tristezza. Leggendolo adesso riecheggerà quel piacere dell’isolamento che alcuni di noi hanno provato nel 2020. Poi ho un libro per la città, è Noi siamo luce di Gerda Blees (Iperborea, trad. Claudia Di Palermo), in cui l’azione si svolge in pochi giorni caldissimi di una città olandese, quasi tutti dentro un appartamento e un commissariato di polizia. La storia è quella – ispirata alla cronaca – di una microscopica setta che decide di abbandonare il cibo per vivere di luce. Finirà male per una di loro. Blees (altra esordiente) dimostra una grande capacità nel gestire psicologie così fragili. Poi una crociera: Proleterka (Adelphi, trad. Barbara Schaden) è forse il romanzo più famoso di Fleur Jaeggy dopo I beati anni del castigo, un’altra manciata di pagine scritte magistralmente, con le parole distillate goccia per goccia. E sempre una protagonista femminile molto giovane, misteriosa, forse cattiva, affascinante. Lei naviga sull’Adriatico da Venezia alla Grecia con il vecchio padre, e sul mare scoprirà la vita, la morte e il sesso. Infine, il mare, con uno dei libri più estivi che ci siano, quello in cui il sesso è raccontato meglio: La vedova incinta di Martin Amis (Einaudi, trad. Maurizia Balmelli) sembra ambientato in un film di Guadagnino, con un cast di giovani e ricchi inglesi ventenni in vacanza in un castello in Campania negli anni Sessanta. Sullo sfondo la Rivoluzione sessuale appena iniziata, e per questo così difficile da afferrare. Sesso, desiderio e trauma sono gli ingredienti di una trama shakespeariana ed erotica. (Davide Coppo)

Y/N di Esther Yi, Il passeggero di Cormac McCarthy, Status and Culture di W. David Marx, Cleopatra e Frankestein di Coco Mellors

Da mesi osservo la #eurosummer di migliaia di sconosciuti su TikTok, perlopiù sprovveduti turisti americani, che viaggiano in giro per l’Europa – che per loro si riduce a Parigi, la Costiera Amalfitana e Mykonos – schiantandosi con una realtà spesso poco social-condivisibile fatta di scale, strade ciottolate, treni regionali e traghetti affaticati e affollati. La loro estate europea, qualsiasi cosa questa dicitura significhi, mi ricorda l’InterRail e i primi viaggi da ventenni disinibiti dai voli Ryanair, ricordo dolceamaro per i lavoratori trentaqualcosa che si trovano a fantasticare del momento in cui potranno stare qualche giorno sdraiati in un posto dove il caldo non sia soffocante, ci sia una qualsivoglia brezza marina e possano leggere finalmente i libri che per tutto l’anno si sono accumulati sul comodino. Almeno, per questa trentaqualcosa. Nei giorni di riposo che mi sono ritagliata costringendomi allo sforzo del convincimento degli amici, delle chat comuni “per organizzarsi” e di Booking, mi porterò dietro quelli che sono i miei libri per la mia #eurosummer, così diversi l’uno dall’altro che per giustificarne l’accostamento mi sono dovuta aggrappare a tutte le Emily in Paris di cui quotidianamente consumo i contenuti online. Un libro che mi solletica da quando è uscito in America lo scorso marzo, è Y/N (Edizioni E/O, trad. Tiziana Lo Porto) di Esther Yi, che ora arriva in Italia grazie a e/o. È la storia di una 29enne di origini coreane che vive una vita piatta a Berlino e che, dopo essere andata a un concerto costretta dalla sua coinquilina, si ritrova fan del membro più giovane di una band K-pop. Non passerà molto tempo prima che la protagonista, di cui non conosciamo il vero nome (Y/N sta per “your name”, formula usata per le fanfiction) si imbarchi su un volo per Seoul alla ricerca del “suo” Moon, così si chiama l’idol di cui ormai non può più fare a meno. Già dalle prime pagine, mi ha colpito il linguaggio di Yi, che sembra sin da subito decisa a indagare la relazione parasociale che esiste tra gli idol e i loro fan e quel senso di comunità-fandom di cui avevo scritto sul numero dedicato al post-internet di Rivista Studio. Iniziati e mai finiti, per mancanza di concentrazione e disciplina, sono gli altri tre titoli che ho voluto riservare alle vacanze, a cominciare da Il passeggero (Einaudi, trad. Maurizia Balmelli) di Cormac McCarthy, comprato senza volerlo un giorno prima della sua scomparsa e che quindi guardo con ancor più riverenza (La strada è uno dei miei libri preferiti del periodo InterRail), e Status and Culture (ancora inedito in Italia) di W. David Marx, un saggio che ho lì da dicembre e che speravo potesse darmi materiale per essere una commentatrice culturale più acuta. So già, perché mi conosco, che finirò prima Cleopatra e Frankestein (Einaudi, trad. Carla Palmieri) di Coco Mellors, se non altro perché lei mi sembra già di conoscerla da Instagram. (Silvia Schirinzi)

The Life and Times of Charles Manson di Jeff Guinn, I miei luoghi oscuri di James Ellroy,Gli assassini della Terra Rossa di David Grann, Dieci brutali delittidi Michelle McNamara

È stata la liberazione di Leslie Van Houten dopo 53 anni di prigione sommata all’esperienza di urlare “Ultraviolence” al concerto di Lana Del Rey a Lido di Camaiore (il “Jim” della canzone mi ha sempre fatto pensare al guru di una setta) a direzionarmi verso Charles Manson come mio compagno di spiaggia ideale. Avendo già letto lo stupendo Le ragazze di Emma Cline, ho deciso di comprare un libro uscito nel lontano 2013: ha una copertina bellissima (criterio fondamentale per le mie scelte di lettura) e l’ha scritto Jeff Guinn: The Life and Times of Charles Manson, ancora inedito in Italia. Anche l’altro libro che mi porterò al mare me l’ha suggerito Lana Del Rey, faro e guida della mia esistenza, che nel suo nuovo video di “Candy Necklace” interpreta Marilyn Monroe e Black Dahlia. E allora oltre a rileggere il bellissimo Dalia nera di James Ellroy, ho preso I miei luoghi oscuri (Bompiani, trad. S.C. Perroni), il memoir in cui lo scrittore rivela la tragedia personale da cui sono emerse le sue ossessioni, ovvero l’assassinio di sua madre, uccisa nel 1958 quando lui aveva dieci anni, e la sua partecipazione alle indagini quando il caso venne riaperto nel 1994. In questo mood tra il true crime e Hollywood ci sta bene anche Gli assassini della Terra Rossa di David Grann (Corbaccio, trad. Francesco Zago), il libro-indagine che ha ispirato il film di Martin Scorsese di cui ormai tutti conosciamo la trama che arriverà al cinema in autunno. E visto che la mia estate ha preso una piega così oscura, mi inoltro senza indugio in questo mare di sangue e completo la mia lista con un libro che ho già letto ma che consiglio, Dieci brutali delitti (Newton Compton, trad. Angela Italia Guglielmo) di Michelle McNamara, penso uno dei migliori libri di crime esistenti, un classico del giornalismo d’inchiesta che non solo ha contribuito a smascherare veramente il Golden State Killer, ma è anche scritto da dio. (Clara Mazzoleni)

Tasmania di Paolo Giordano, L’opera galleggiante di John Barth, Sotto il vulcano di Malcom Lowry, Mare della tranquillità di Emily St. John Mandel

Non riesco più a pensare all’estate senza pensare all’apocalisse, né a pensare all’apocalisse senza pensare all’estate. Deve essere l’effetto che su di me ha la crisi climatica. O il caldo. O entrambe le cose. Sta di fatto che nella mia mente, ormai da anni, alla fine del mondo corrisponde un moodboard estivo: solleone perenne, incendi continui causati dall’autocombustione da calore eccessivo, stragi dovute alla disidratazione per sindrome da ipersudorazione indotta. È probabilmente per riconciliarmi con il mio evidente impazzimento che questa estate ho deciso di leggere solo libri che parlano di apocalisse: privata o pubblica, personale o collettiva. Li sistemerò qui in un ordine crescente che corrisponde alla gradazione del mio impazzimento: da quello che, a rifletterci, mi fa sentire meno matto a quello che mi ci fa sentire di più. Comincio con Tasmania (Einaudi) di Paolo Giordano, che a leggerlo mi ha fatto capire quanto comuni siano di questi tempi l’istinto all’estraniamento e la volontà di escapismo. È (anche) un romanzo, un’autofiction che racconta la fine dei mondi interiori ed esteriori, un diario fittizio che mi ha ricordato con una certa dolcezza che il desiderio di fuga ormai non è più umanità ma razionalità: è normale cercare la Tasmania in un’epoca in cui tutti ormai sappiamo che «ci sarà da difendersi». Proseguo con L’opera galleggiante di John Barth (Minimum Fax, trad. Martina Testa e Henry Furst). È un classico e un capolavoro che ho riletto non so quante volte, eppure soltanto recentemente ho notato un dettaglio che ora per me è il dettaglio: Todd Andrews decide che il suicidio è l’unica soluzione la mattina del 21 giugno 1937. Il giorno del solstizio d’estate, l’inizio della bella stagione. L’apocalisse personale – e poi collettiva, almeno nelle intenzioni: alla fine Todd l’opera galleggiante non riesce a farla saltare in aria – comincia con l’aumento della temperatura. D’altronde che motivo c’è per impazzire d’inverno, col freddo? Seguendo questo stesso ragionamento mi spiego anche la disgraziata esistenza di Malcom Lowry, autore del mio terzo libro dell’estate: Sotto il vulcano (Feltrinelli, trad. Marco Rossari). Anche questo è un classico e un capolavoro, che ha prodotto, tra l’altro, altri due capolavori: l’adattamento cinematografico di John Huston e un bellissimo documentario, Volcano: An Inquiry into the Life and Death of Malcom Lowry (si trova su YouTube). Ma, a parte tutto questo, quando ho riletto l’ultima volta Sotto il vulcano riuscivo solo a pensare alle sfighe sentimentali, alle malattie mentali e ai precipizi iperalcolici di Lowry. E pensavo al fatto che il suo periodo più stabile, felice e produttivo lo visse in Canada: al fresco. E che non può certo essere un caso se il romanzo in cui ha messo tutti i deliri autodistruttivi della sua esistenza lo ha ambientato in Messico: al caldo. Infine, il romanzo che conclude la cronaca del mio personale impazzimento estivo: Mare della tranquillità di Emily St. John Mandel, edito dalla Nave di Teseo con la traduzione di Elena Malanga (recuperate anche Stazione undici, e poi guardate Station Eleven, l’adattamento televisivo). È un romanzo che non c’entra nulla con i precedenti né con l’estate, ma comincia con un’immagine che è recentemente diventata un mio sogno-incubo ricorrente: un uomo che si addentra nella foresta canadese seguendo uno stato di trance indotto dal suono di un violino. Nel mio sogno-incubo non ci sono né la trance né il violino, ma ci sono io in mezzo alla foresta. Una foresta fittissima, con i rami degli alberi così intrecciati tra di loro da non permettere il passaggio della luce solare, a formare una sorta di enorme gazebo naturale tutto per me. In questo sogno sto al fresco e sono felice. Poi mi sveglio e comincia l’incubo: fa caldo. E chissà se la crisi climatica mi lascerà il tempo di visitare mai la foresta canadese. (Francesco Gerardi)

Tre camere a Manhattan di Georges Simenon, Le voci della sera di Natalia Ginzburg, Estate caldissima di Gabriella Dal Lago, La seconda casa di Rachel Cusk

Le piscine naturali, le terrazze sulle rade, le camere curate, così fotogeniche, così perfette per mitizzare la vacanza estiva, soprattutto al mare. Sono luoghi ideali perché quando li scegliamo sentiamo di meritarceli, abbiamo bisogno di un contenitore che racconti la nostra libera estate attesa per mesi. In realtà esiste una poetica delle seconde case o comunque delle case estive in affitto un po’ rimediate, dove le famiglie che le posseggono fanno la manutenzione essenziale, lasciano gli asciugamani che non vogliono più nella casa principale, conservano i bicchieri dei mondiali di Italia ’90 perché poi i figli sono diventati grandi e la Nutella non la hanno presa più, dove ci sono dei libri sulle mensole che hanno letto tutti in famiglia, ma nonostante questo nessuno si sogna di dare a qualche mercatino. In una scenografia molto simile a questa ho iniziato a leggere Maigret e con il tempo per me è diventato la lettura attraverso cui passa il termine vacanza estiva. Ogni tanto vale la pena però leggere altre pagine di Georges Simenon, senza morti ammazzati ma con una poesia che sembra una danza. Tre camere a Manhattan (Adelphi, trad. Laura Frausin Guarino) è tra queste, stritolante e struggente come solo due anime che si incontrano e poco alla volta sono consapevoli di averlo fatto possono essere. La cosa bella di queste case di villeggiatura è anche la vita lenta che si portano dietro, la controra, la penombra del dopo pranzo prima di tornare al mare. Leggere un libro al giorno, come quando ho scoperto la preziosità de Le voci della sera (Einaudi) di Natalia Ginzburg. Il titolo sembra rievocare una scena molto simile a quella in cui mi trovavo, in realtà grazie al racconto asciutto si entra in un’altra scenografia, dove i rapporti di forza familiari sono dolorosi e riducono lo spazio della volontà in favore del silenzio e dell’accettazione del come deve essere ma dove si intravedono desideri e un’attitudine femminile incredibilmente vicina all’oggi (il romanzo è del 1961). Come in ogni periodo di vacanza che si rispetti, oltre allo scovare libri altrui in casa o nei mercatini si parte attrezzati, convinti che il tempo si moltiplichi invece che apparentemente ridursi (come passa il tempo quando blabla). Quest’estate due delle mie scelte sono cadute in volumi altrettanto vicini a situazioni di “interior” o quanto meno in cui i luoghi sono importanti a delineare le storie che vi si raccontano. Uno è Estate caldissima (66thand2nd) di Gabriella Dal Lago che, oltre al titolo direi perfetto, è la storia della convivenza di un team di lavoro lunga una settimana tra ragazzi di un’agenzia creativa, dove emergono temi, riflessioni che riescono a fotografare, ancora e perché no, i millennial e il loro stato delle cose. Infine La seconda casa (Einaudi, trad. Isabella Pasqualetto) di Rachel Cusk, il suo ultimo romanzo che anche qui in una realtà quasi coatta – stavolta quella di una residenza artistica – ambienta l’incontro tra L. e M. e ne racconta l’evoluzione e i rapporti di forza nel consueto modo spietato, acuto ed estremamente intelligente che mi ha lasciato in tante pagine senza parole e a guardare il vuoto durante la lettura della sua trilogia Outline. (Teresa Bellemo)