Cultura | Cinema

Le cose migliori viste nel 2023

I film e le serie tv dell'anno secondo la redazione di Rivista Studio.

Aftersun, Vera, The Last of Us, Succession
Nell’anno della rinascita in pompa magna del Cinema con la maiuscola, non solo per Barbenheimer, ma per altre prove, non ultima Cortellesi, che hanno segnato un certo ritorno delle masse in sala (ci sarebbe anche da dire di molti problemi distributivi che hanno afflitto film importanti come l’ultimo Garrone o La chimera), quello che conservo io, invece, è un ritorno alla grande serie tv. Innanzitutto con l’ultima stagione di Succession, ovviamente, superba conclusione di un racconto che resterà nella nostra memoria culturale come pochi altri (forse Mad Men? I Soprano? The Wire? E mi fermerei qui), ma anche per The Last of Us, che ti chiedi come sia possibile nel 2023 restare col fiato sospeso davanti a una serie tv zombie-apocalittica tratta da un videogioco, e ti rispondi ripercorrendo nitidissimamente certe scene pazzesche (quella sulla neve, quella di Kansas City), oltre che ripensando al carisma del nuovo divo Pedro Pascal (e a Craig Mazin nella sua strambissima parabola che passa da Scary Movie e arriva alla serie su Chernobyl e che sembra essere uno di quei soggetti che invecchiando si trasformano). Film, certo, ma più piccoli, più intimi, indie nel senso migliore che può avere la parola abusatissima, soprattutto lo straziante e smagliante Aftersun di Charlotte Wells (con l’altro neodivo dell’anno Paul Mescal), che unisce memoir, esotismo, discorso generazionale e nostalgia in un composto molto originale ma non per questo indie nel senso peggiore che può avere la parola, e Vera (di Tizza Covi e Rainer Frimmel), film stranissimo romano-austriaco tra il documentario, il reality e l’acquerello neo-neo-realista, che ci ha fatto conoscere la vita e la forza di quella che è diventata una dei personaggi dell’anno (e che abbiamo avuto il piacere di ospitare all’ultimo Studio in Triennale): Vera Gemma. (Cristiano de Majo)

Oppenheimer, Leave the World Behind, The Last of Us, Command Z
Non so se c’è ancora qualcuno che tenga d’occhio le lancette del Doomsday Clock, ma sono certo che se controllassimo l’ora adesso troveremmo le lancette vicinissime alla mezzanotte apocalittica. La guerra in Palestina che ci ha fatto regredire quasi tutti a usi e costumi tribali, la crisi climatica che si aggrava mentre alla Cop28 ci si chiede se davvero il problema siano i combustibili fossili. La sensazione che mi è più familiare ormai è la rassegnazione, l’intenzione è prepararmi: andrà male, forse anche peggio, tanto vale arrivare pronti al momento. Probabilmente è per questo che le cose migliori che ho visto in questo anno sono state per me delle superfici che hanno riflesso il mio scoramento: non le cose migliori in generale ma le più adeguate. La lista comincia per forza con Oppenheimer, alla cui scena finale ripenso spessissimo, vivendo negli anni in cui si è ricominciato a parlare di quelli atomici come scenari possibili, talvolta persino desiderabili: Oppie che immagina colonne di fuoco che si stagliano nei cieli del mondo e si rende conto di essere stato un formidabile acceleratore di quell’autodistruzione che è la pulsione finale di ogni forma di vita complessa. Forse uno dei migliori finali di sempre, perfetto nel rappresentare la bambinesca incoscienza con la quale abbiamo trasformato la speranza – di cui la scienza è una incarnazione – in disperazione, straordinario nella messa in scena della poeticissima dicotomia tra il vecchio saggio Einstein e il giovane arrabbiato Oppenheimer. Ho ripensato parecchio al film di Nolan in questi giorni, dopo aver visto Leave the World Behind su Netflix. Scritto e diretto dal creatore di Mr. Robot Sam Esmail, impreziosito da una delle migliori interpretazioni della carriere di Julia Roberts, il film racconta una apocalisse di cui nessuno – protagonisti né pubblico – riesce a capire granché fino alla fine. Attacco cibernetico? Arma atomica di nuova generazione? Invasione via terra, mare e aria in vecchio stile? L’asse del male che urla all’unisono “Morte all’America” o un colpo di Stato? Leave the World Behind è pieno di difetti – regia vanitosa, montaggio disordinato, ritmo altalenante – ma ha una scena che spezza il cuore davvero, quella in cui un disperato Mahershala Alì capisce che la spiegazione corretta per ogni disgrazia umana è sempre quella più semplice: «Non pensavo saremmo stati così stupidi». Che in fondo è anche la premessa di The Last of Us: di chi è la colpa dell’apocalisse che tutti sappiamo sta per arrivare e per evitare la quale nessuno ha fatto niente? Certo, in The Last of Us c’è anche quello che resta sempre nell’umanità: la speranza umanistica nella generazione successiva e quella religiosa nell’arrivo di un messia che porti la salvezza. Ragione per la quale la serie del 2023 che mi è piaciuta di più è un’altra, Command Z di Steven Soderbergh (tecnicamente è una web series, tutti gli episodi sono disponibili qui), storia di un Ceo convertitosi in AI che assieme a due dipendenti sceltissimi decide di salvare un mondo ormai condannato «in tiny increments». Escapismo puro per chi, come me, è convinto che all’apocalisse ci siamo arrivati proprio «in tiny increments». (Francesco Gerardi)

Decision to Leave, Blue Eye Samurai, Succession
Come ogni anno, quando in redazione si inizia a discutere dei film e serie tv dell’anno vengo presa da un horror vacui in cui non ricordo praticamente nulla di quello che ho visto nei dodici mesi precedenti. Come ogni anno, tocca ricordare che questo è il motivo per cui da Rivista Studio abbiamo deciso di non separare film e serie tv ma di inserirle tutte insieme in un più largo “cose viste” perché è così, ci piaccia o no, che consumiamo i contenuti audiovisivi oggi. Fatte le necessarie premesse, posso affermare che dopo il consueto momento di vuoto sono facilmente risalita a quando, dentro e fuori dalla sala, un film o una serie tv mi ha fatto riflettere, emozionare, arrabbiare. Il mio film dell’anno è stato di sicuro Decision to Leave di Park Chan-wook, che non fatico a definire il mio regista preferito. Ho litigato un po’ per Decision to Leave: con gli Oscar, in un beef immaginario (d’altra parte questa è l’epoca delle arrabbiature unilaterali) perché non gli è stato dato nessun riconoscimento, e con amici che stimo e rispetto, ma che di questo film non hanno capito niente. E non ci hanno capito niente perché questa è una commedia romantica, per quanto romantico possiamo considerare Park Chan-wook (e cioè romanticissimo, ai miei occhi), che riprende tutti i cringissimi cliché dei drama coreani ma ovviamente li ribalta, mettendo in scena una storia la cui violenza ineluttabile è ancora più evidente a fronte della delicatezza dei gesti dei protagonisti. Per chi non lo avesse ancora visto, consiglio di farlo dopo essersi sparati almeno un drama di quelli a puntate, altrimenti la vostra opinione non vale: su Netflix abbondano. E a proposito di Netflix, essendo rimasta una delle poche a pagare ancora l’abbonamento, guardo tutto e il contrario di tutto (da Unica a L’affaire Bettencourt, consiglio entrambi), ma l’unica cosa che mi è rimasta impressa è Blue Eye Samurai, uscita lo scorso novembre. Scritta da Amber Noizumi e Michael Green, con la regia di Jane Wu, la serie ha un’animazione incredibile e una storia che vi lascerà impazienti per la prossima stagione: di quante altre serie si può dire oggi? Certamente non ci sarà un’altra stagione di Succession, che nel 2023 ci ha lasciato definitivamente nel miglior modo possibile: ogni tanto ripenso a Kendall, a quell’ultima scena, e un po’ mi manca nonostante fosse una persona tutt’altro che seria. (Silvia Schirinzi)

Il sol dell’avvenire, Killers of the Flower Moon, Passages
Qualche settimana fa, ai primi di dicembre, di fronte all’ennesima – non ricordo quale, forse un Atreju qualsiasi – polemichetta del governo di destra e all’altrettanto inesistente reazione politica dell’opposizione di centrosinistra, un amico in una chat di gruppo ha scritto: voglio tornare agli anni Ottanta, l’illusione del benessere universale e il debito pubblico gonfiato senza preoccupazioni. In realtà noi negli anni Ottanta ci siamo nati, e non li abbiamo vissuti, ma quella sensazione di focolare perduto è simile, penso, a quella che ho provato guardando Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Scettico sulle prime battute per l’eccessivo citazionismo, a poco a poco la pancia ha avuto la meglio sull’intelletto, e l’operazione ha iniziato a funzionare sulle mie emozioni, e ridevo e piangevo come se stessi vedendo il vhs di un parente o un amico. Il cinema di Nanni Moretti è uno dei pochi patrimoni comuni di una certa idea di sinistra o società civile che è chiaramente in via di estinzione (un altro: Francesco De Gregori), e Il sol dell’avvenire è un film che rimarrà, nella sua filmografia, non solo – penso – come testamento, ma anche come addio a una certa idea di Paese e di comunità. Sempre di comunità parla un altro film notevole di quest’anno, Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese. Nonostante le troppe smorfie messe in campo da DiCaprio e De Niro, ho pensato, guardandolo, a quella cosa un po’ fané che potrei chiamare “magia del cinema”, l’importanza del grande schermo, del pellegrinaggio da casa alla sala per vedere un’opera d’arte. Impossibile godersi questo Scorsese a casa, fosse anche davanti a un maxischermo. Cosa che ho fatto, invece, piacevolmente, con Passages. Non migliore di film qui non citati (Oppenheimer e Anatomia di una caduta) ma opera molto contemporanea, gradevole, mi sembra proprio pensata con un certo obiettivo generazionale (Millennial, Gen Z) e anche di fruizione: Passages va visto in una sera stanca e triste, ed è così che rende al meglio il talento di Franz Rogowski, il mistero di Adèle Exarchopoulos, è così che si sublima davvero l’amaro davvero amaro di quello che sembra un drammetto alla moda ed è invece un film molto più profondo di quanto possa apparire sull’egoismo sentimentale. (Davide Coppo)

Sick of Myself, Vera, Succession
Credevo fosse andata in onda un secolo fa perché quest’anno mi è sembrato infinito (soprattutto novembre, che è durato circa 6 mesi) ma la redazione conferma che, sorprendentemente, l’ultima stagione di Succession è del 2023. Di questo capolavoro si è già ampiamente parlato, personalmente ho scritto soprattutto del mio innamoramento per Kendall (Jeremy Strong), o meglio, di quanto è grave innamorarsi di Kendall Roy. Un innamoramento che, in realtà, è cresciuto insieme a quello per il Roman di Kieran Culkin (lo rivedremo presto, essendo lui il bambino occhialuto di Mamma ho perso l’aereoNatale coi Culkin, come ogni anno). Anche se quest’ultima stagione si è concentrata soprattutto su Shiv e Tom e ha incluso qualche puntata un po’ noiosetta, ci ha regalato momenti epici come la battuta del fossile o il delirio sui Greglet. Continuando a parlare d’amore, quest’anno mi sono innamorata di Vera Gemma, la protagonista di Vera, per ben tre volte. La prima quando l’ho vista nello stupendo film di Covi e Frimmel (ne avevo scritto qui), la seconda quando l’ho sentita parlare sul palco di Studio in Triennale – Fuori orario, la terza quando, dopo l’incontro, abbiamo parlato dei nostri ex tragici. E a proposito di ex tragici e amori tossici, l’altro mio film dell’anno è Sick of Myself, che ruota intorno alla relazione tossica tra due narcisisti: la protagonista delulu che si immagina sulle copertine di Dazed e intervistata in tv (come tutti noi no? Ah, no?) e il suo fidanzato artista che invece un certo successo lo riscuote davvero. Non sapendo fare niente di particolare, l’unica soluzione che trova Signe per diventare famosa è ammalarsi di una malattia rara (grazie a un farmaco russo inventato che in occasione della promozione del film è stato perfino dotato di un profilo Instagram, il Lidexol). È la metafora di tutti i deragliamenti del nostro modo di usare i social (ad esempio l’ostentazione o l’auto-diagnosi dei disturbi psichiatrici su TikTok, ne avevo scritto qui) e di quanto possiamo essere nauseanti quando cerchiamo a tutti i costi di dimostrare che non siamo come gli altri, quando non c’è niente di più comune del desiderio di emergere. (Clara Mazzoleni)