Hype ↓
10:39 giovedì 16 ottobre 2025
Londra è la città europea che sta battendo ogni record in fatto di telefoni rubati Solo nel 2024 ne sono stati rubati più di 80 mila, la maggior parte dei quali rivenduti poi sul mercato nero internazionale.
È morto Drew Struzan, l’illustratore che ha disegnato le locandine di moltissimi successi di Hollywood Star Wars, Indiana Jones, Ritorno al futuro, E.T, Blade Runner, I Goonies, La cosa: la locandina che vi viene in mente pensando a questi film l'ha disegnata lui.
I lettori di Jia Tolentino non hanno preso bene la sua collaborazione con Airbnb Sia gli ammiratori che i detrattori sono rimasti molto delusi dalla sua decisione di lavorare con un'azienda come Airbnb.
Nella nuova campagna Moncler c’è la reunion di Al Pacino e Robert De Niro Si chiama Warmer Together e vuole celebrare «le emozioni e il calore dello stare insieme».
È morto D’Angelo, l’artista che ha prima rivoluzionato e poi abbandonato la musica soul Aveva 51 anni ed era malato di cancro. Lascia in eredità tre album diventati culto e una storia personale caratterizzata dal difficile rapporto col successo.
Dei 10 film più visti al cinema in Italia nell’ultima settimana, metà sono vecchi titoli tornati in sala Nell'ottobre del 2025, tra i film più visti in Italia ce n'è uno del 1971, uno del 1997, uno del 2001 e uno del 2009.
Nel suo primo viaggio diplomatico all’estero, il ministro degli Esteri afghano ha dovuto affrontare un grosso problema: le giornaliste Ospite in India, Amir Khan Muttaqi ha cercato in tutti i modi di evitare di rispondere alle domande delle giornaliste, escludendole anche dalle conferenze stampa.
Temu ha raddoppiato i guadagni in Europa nonostante una forza lavoro composta da otto dipendenti soltanto Otto persone per gestire gli ordini, il servizio clienti, il sito, oltre alla parte burocratica, amministrativa e fiscale.

L’autoritratto

Breve storia di un antenato del selfie: l'autoritratto pittorico. Nato nell'antichità, celebrato dal Barocco, ma in realtà diffusosi grazie ai copisti medievali. E c'entra più l'individualismo dell'ascesa della tecnologia.

23 Giugno 2014

Se negli ultimi tre anni non vi siete dati all’eremitaggio completo dovreste conoscere il significato della parola selfie, gli autoscatti “da smartphone – a social network” ormai così sdoganati da essere finiti persino a Porta A Porta. Dovreste anche sapere che il termine è stato eletto parola dell’anno 2013 dai curatori dell’Oxford Dictionary, talmente attenti da aver rintracciato il suo concepimento in un forum australiano nel 2002. Talmente scrupolosi da aver catalogato una serie di sue possibili varianti: helfie (autoscatto per soli capelli), belfie (autoscatto per solo sedere), welfie (autoscatto ginnico), drelfie (autoscatto alcolico), shelfie (autoscatto con scaffali) e bookshelfie (autoscatto con libreria). Quando si dice padroneggiare i prefissi.

È evidente che selfie sta vivendo il suo apice di popolarità, nonostante alcuni critici abbiano talvolta rimarcato se non l’inutilità almeno la ridondanza del termine. A loro giudizio i nostri vocabolari disponevano già di una parola con le adeguate connotazioni. Quella parola è ovviamente “autoscatto”. Secondo altri però il fenomeno selfie ha delle peculiarità tutte sue, che la parola autoscatto non riesce ad esaurire. Per Jerry Saltz, ad esempio, che ha scritto un bel pezzo in merito sul New York, la specificità del selfie come genere non è solo tecnologica; è prettamente estetica: «Il selfie ha i suoi contrassegni. Esclusi quelli realizzati utilizzando uno specchio – un distinto sottogenere dell’universo in questione – i selfie sono quasi sempre ripresi a distanza di braccio dal soggetto. Per questa ragione il quadro e la composizione dei selfie sono decisamente diversi da quelle di tutti gli autoritratti che li hanno preceduti. Si nota per esempio la quasi costante presenza di una delle braccia del fotografo, tipicamente quella che regge la camera. Predominano le cattive angolature e il soggetto è quasi sempre scentrato. Il grandangolo di molte fotocamere degli smartphone esagera le dimensioni dei nasi e dei menti, e il braccio che tiene la camera appare spesso sproporzionato.  Insomma se entrambe le mani sono nella foto e non è uno scatto realizzato attraverso uno specchio, tecnicamente, non è un selfie, è un autoscatto».

Autoscatto e selfie hanno però almeno una cosa in comune. Un antenato nobile la cui comparsa risale a ben prima non solo di iPhone e Samsung Galaxy ma anche delle prime macchine fotografiche: l’autoritratto nell’arte.

Autoscatto e selfie hanno però almeno una cosa in comune. Un antenato nobile la cui comparsa risale a ben prima non solo di iPhone e Samsung Galaxy ma anche delle prime macchine fotografiche: l’autoritratto nell’arte. Un genere che, come racconta lo storico inglese James Hall in un libro uscito di recente dal titolo The Self-Portrait: A Cultural History, ha una storia molto più lunga e origini molto più remote di quanto si potrebbe sospettare. Se infatti la storiografia tradizionale ascrive la comparsa e la diffusione dell’autoritratto al periodo rinascimentale e la sua definitiva esplosione al Barocco (si pensi all’assiduità con cui Rembrandt ha visitato il genere), il libro di Hall ambisce a retrodatarne la nascita all’Alto Medioevo.

A differenza di ciò che si sarebbe portati a credere, secondo Hall l’elemento decisivo nella fioritura del genere non è stata la diffusione degli specchi (ancora una volta: una tecnologia) nel tardo Quattrocento ma, semmai, l’emersione intorno al 700 d.C. di nuove necessità spirituali e rappresentative, strettamente connesse al sentimento religioso e alla pratica quotidiana degli amanuensi. «È opinione diffusa – scrive Hall – che l’individualismo sia nato intorno al 1500 e che in quel periodo siano stati inventati i primi specchi di cristallo di buona qualità, i quali hanno permesso alle persone di osservare se stesse più chiaramente. E che quindi l’irresistibile ascesa dell’autoritratto sia emersa da questa “tempesta culturale” perfetta. Innegabilmente c’è un elemento di verità in tutto questo: il 1490 è stata una decade cruciale per l’arte, un periodo in cui si è assistito a una crescente attenzione nel distinguere la personalità e lo stile dei singoli artisti. Ma questa lettura ignora ciò che è avvenuto prima, in età medievale, e appiattisce ciò che è avvenuto dopo. Gli sviluppi nella tecnologia degli specchi sono largamente irrilevanti per la storia dell’autoritratto e questo “mito dello specchio” ha annebbiato a lungo le discussioni su questo genere. Buoni specchi di metallo levigato esistevano dall’antichità e hanno continuato a essere in uso ben oltre il 1600. […] In realtà è proprio durante il Medioevo che gli specchi diventano potenti simboli culturali, metafore per ogni genere di sapere, sia riguardo a se stessi che riguardo al mondo esterno. Ma il “mito dello specchio” rinascimentale ha oscurato il contributo del Medio Evo e limitato la nostra capacità di apprezzare ciò che un autoritratto può essere. Ci ha portato a credere che un autoritratto punti esclusivamente alla somiglianza con il soggetto (auto)ritratto».

E invece sono proprio i primi e poco verosimiglianti autoritratti in età medievale, perlopiù opera di amanuensi, a dirci qualcosa di universale sul genere.

E invece secondo Hall – che peraltro dedica i primissimi capitoli del libro anche a un rapido excursus degli sporadici esempi di autoritratto nell’antichità – sono proprio gli autoritratti di età medievale, scarsamente verosimiglianti e perlopiù opera di amanuensi, a dirci qualcosa di universale sul genere. Spesso di piccole dimensioni, iscritti all’interno di un capolettera, sistemati ai bordi di una pagina o a margine di un’immagine religiosa, gli autoritratti degli amanuensi sembrano voler lasciare ai posteri una umile testimonianza dell’esistenza terrena del loro artefice, voler offrire una finestra, oggi diremmo un backstage, sulla sua attività e sulle condizioni in cui essa si svolgeva. È il caso, per esempio, dell’autoritratto di Rufillus de Weissenau che iscrive se stesso sotto la pancia di una R e – in un gioco di rimandi tra copista e lettore – si ritrae nel gesto, miniaturizzato, di dipingere la lettera e quindi anche se stesso al suo interno. Un gioco di specchi che anticipa di cinque secoli un altro gioco di specchi e rimandi. Ovvero quello che, secondo Jerry Saltz, è il più notevole proto-selfie della storia, “Autoritratto entro uno specchio convesso” del Parmigianino (1524), a sua volta citato in “Mano con sfera riflettente” di Maurits Cornelius Escher, il maestro dei paradossi ottici che, tra le sue ispirazioni, contava a sua volta questa illustrazione quattrocentesca per un volume del De Mulieribus Claris di Boccaccio.

Avendo inaugurato l’ “era della specularità”, l’autoritratto medievale, scrive sempre Hall, contiene in nuce tutti gli elementi che hanno caratterizzato il genere in seguito, fino ai giorni nostri, e sì, fino al selfie. Il cui movente non è poi così diverso da quello che, secondo Hall, spingeva gli amanuensi a inserire se stessi ai margini di una Passione: la necessità di comunicare qualcosa riguardo alle condizioni dell’autore, in parte ovviamente per vanità e narcisismo, ma più spesso semplicemente – come scrive Jarry Saltz nel suo breve saggio: «Per mandare dei piccoli noi stessi nel mondo. Dare agli altri un senso di ciò che siamo, fargli sapere dove ci troviamo e cosa stiamo facendo. I selfie sono le nostre lettere al mondo. Piccoli diari visivi che ingigantiscono, riducono, drammatizzano e dicono: “Guardami, sono qui”».

In apertura: Gustave Courbet, L’atelier dell’artista, 1855, Musée D’Orsay, Parigi.

Leggi anche ↓

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.