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L’algoritmo della nostalgia

La nostalgia attraversa un periodo d'oro anche online, grazie ad app e servizi dedicati – ma non sempre graditi, anzi.

09 Aprile 2015

Quei due minuti scarsi di storia del cinema che tutti abbiamo convintamente amato, quelli in cui Roy Batty dice addio al mondo e muore, oggi appaiono snaturati. Nella Los Angeles del 2019 di Blade Runner è accettabile che i ricordi di Batty – le navi da combattimento in fiamme, i bastioni di Orione, i raggi B vicino alle porte di Tannhäuser – vadano ineluttabilmente persi per sempre, «come lacrime nella pioggia». Oggi però il replicante interpretato da Rutger Hauer con ogni probabilità avrebbe un account Facebook, Twitter, Instagram o FourSquare e saprebbe che molta di quella meraviglia non solo non sarebbe obnubilata nel tempo, ma gli sopravvivrebbe sotto forma di un corpus di dati condivisi.

Da ormai qualche giorno Facebook sta testando una funzionalità “On This Day”, che con l’invitante claim «non perderti un ricordo» offre di riportare a galla i contenuti condivisi nella data odierna degli anni precedenti trascorsi sul social network. Accettando di ricevere notifiche da questa sezione ad hoc, ogni giorno l’utente avrà a disposizione un sunto di eventi lontani e forse dimenticati: la grigliata di pasquetta in compagnia di quegli amici con cui si sono persi i contatti, la foto scattata durante una vacanza da cui incredibilmente sono già passati tre anni, la canzone che riporta alla mente un certo stato d’animo o una determinata situazione. La mossa del social di Palo Alto ricalca e segue il successo ottenuto da un’applicazione particolarmente in voga di questi tempi: Timehop.

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Nato come servizio dedicato a FourSquare – dove i creatori, i programmatori Jonathan Wegener e Benny Wong, intendevano mostrare all’utente i check-in effettuati l’anno precedente – Timehop è diventato prima una newsletter quotidiana e poi, integrando i dati di Facebook, Twitter, Instagram e gli altri principali social network, nell’ottobre 2012 un’applicazione stand-alone. Nello stesso periodo, per una coincidenza fortunata, su Instagram prendeva piede #ThrowbackThursday, una ricorrenza (detta meglio: un meme) di Internet che ogni giovedì porta molti utenti a condividere vecchie foto di loro stessi con l’hashtag #tbt. Di settimana in settimana – e, non a caso, sempre on Thursday – Timehop ha iniziato a scalare la vetta delle app più scaricate, entrando nella top 50 di iOS ad aprile dell’anno scorso. Alla fine del 2014, ha scritto TechCrunch, l’app contava 12 milioni di utenti registrati e, non paga di questo successo di pubblico, accoglieva nel suo team Jason Goldman, amuleto dei successi del duo Evan Williams-Biz Stone a Blogger, Twitter e Medium.

La nostalgia vive un momento di particolare fortuna. Il successo di Timehop lo testimonia

La verità è che la nostalgia è un sentimento che vive un momento di particolare fortuna, e tanto il successo di Timehop quanto la scelta di Facebook lo testimoniano. Qui tempo fa avevamo già parlato di come, anche su un piano accademico, nell’ultimo decennio le sia stata accordata un’importanza sempre maggiore: a Southampton, diventata capitale mondiale degli studi di settore, i ricercatori Constantine Sedikides e Tim Wildschut dai primi anni Duemila indagano genesi e caratteristiche di ciò che nel Seicento, quando venne identificato da uno studente di medicina in Svizzera, era stato definito «disturbo neurologico di causa demoniaca» e trattato di conseguenza come una malattia mentale. Oggi Wildschut sostiene che la nostalgia «sembra contrastare il senso di solitudine delle persone o rafforzare il loro senso di appartenenza».

In buona sostanza, siamo nostalgici innanzitutto perché ci serve a trovare un comune denominatore nei naturali cambiamenti che fanno parte dell’esistenza, e poi per farci coraggio nei momenti più duri, rammentandoci di quando siamo stati felici o spensierati (lo stesso principio è alla base di resoconti di sopravvissuti all’Olocausto che, come riportato dallo stesso Wildschut in un articolo sul Guardian del novembre scorso, parlavano di pranzi famigliari e ricette pur nell’atroce digiuno dei lager).

Questa attitudine, ovviamente, ha un’eco altrettanto profonda sulle nostre vite online. Ma c’è un dettaglio fondamentale che discosta la nostalgia che potremmo chiamare naturale a quella indotta da Facebook o Timehop: se il primo caso comporta un processo inconscio di selezione dei ricordi da rispolverare, nel secondo tutto ciò che è successo negli anni viene ripescato, senza filtri o criteri di sorta. E chi ha bisogno di un ricordo negativo o spiacevole? A fine marzo Sean Forbes si è trovato sulla propria home un post di tre anni prima in cui diceva addio a un vecchio amico dei tempi della Marina che si era tolto la vita in quelle ore; in un articolo intitolato “Inadvertent Algorithmic Cruelty”, il web developer Eric Meyer descriveva come il suo “Year in Review” (un precedente tentativo di Facebook di toccare le corde della nostalgia nei suoi utenti con resoconti della loro attività annuale) mostrasse ripetutamente la foto di sua figlia Rebecca, morta di cancro qualche mese prima. Poco dopo la sua scoperta, Forbes ha scritto su Facebook che «non ogni ricordo va preso e rimasticato». Per l’appunto.

Lo scorso 14 febbraio Timehop è corso ai ripari per ovviare a questo problema, presentando ai suoi utenti una schermata di avviso: «Are you ready for #VALENTIMEHOP? Danger: exes and feels». O, tradotto: attenzione, quello che vedrai potrebbe non piacerti, e almeno per oggi puoi scegliere di evitare madeleine digitali indelicate o direttamente inopportune. Il responsabile di “Year in Review” di Facebook si è scusato personalmente con Meyer, il quale tuttavia non è stato il solo a testimoniare la crudeltà degli algoritmi. La scrittrice Julieanne Smolinski ha condiviso uno screenshot del riepilogo annuale del suo ex, che sotto lo standard «ecco come è stato il tuo anno» ha visto una foto della sua casa in fiamme. Al pubblicitario Mark Duffy è capitata una foto delle ceneri del padre. E c’è chi ha rivisto animali domestici nel frattempo deceduti, amici scomparsi e altri ricordi spiacevoli.

Oltre a questi problemi, il revival della nostalgia online ha dato la stura anche a una serie di conseguenze sui generis. Come scrive Joseph Stromberg su Vox, «nello stesso modo in cui gli utenti di Facebook e Instagram fotografano regolarmente ciò che stanno facendo semplicemente per mostrarlo al mondo, alcuni utenti di Timehop stanno documentando le loro vite esclusivamente per mostrarle a loro stessi nel futuro». Con le parole di uno di loro, Matt Sevits: «Stiamo deliberatamente creando ricordi con l’intento di riguardarli in seguito. È abbastanza strano». Ad oggi Timehop pesca dal serbatoio di status, tweet, post su Instagram e foto personali del proprio smartphone. Sta chiedendo alla sua comunità se sarebbe intenzionata a condividere anche i suoi sms/iMessage.

Ciò che una volta, ai tempi della sua prima catalogazione, era stato definito «ipocondria del cuore» oggi è un sentimento non solo sdoganato, ma anche ambito da ciò che dà forma alla nostra esperienza online quotidiana. La nostalgia di ciò che abbiamo vissuto attraverso ciò che abbiamo postato su Internet, che poi altro non è che uno dei luoghi principali della nostra esistenza. Pur senza aver mai composto nemmeno un tweet, nel suo Storia dell’assedio di Lisbona José Saramago scrisse alcune delle parole più affascinanti della letteratura portoghese: «L’universo mormora sotto la pioggia, mio Dio, che dolce tenera tristezza, speriamo che non ci manchi mai, neanche nei momenti di gioia». In modo perfezionabile, certo, ma è stato accontentato da un manipolo di geek.

Nell’immagine in evidenza: David Bowie al computer. New York, 1994.
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