Attualità

La mia sinistra è stata conservativa

L'ha detto Alessandro Baricco, vero protagonista della prima serata di Renzi & Co alla Stazione Leopolda

di Federico Sarica e Davide Coppo

Stazione Leopolda, Firenze, Matteo Renzi e il Big Bang. Se ne è parlato così tanto che sembrava non arrivasse mai. Invece eccolo, in una serata fiorentina limpida che non diresti mai che è fine ottobre, ma quasi primavera. Primavera del Pd, si augurano qui. Staremo a vedere.

La cartella stampa che ci consegnano all’ingresso è programmatica: un’infografica colorata quasi ad arcobaleno (ma idealmente ben diverso da quell’arcobaleno che fallì alle scorse politiche) che rappresenta l’esplosione, il Big Bang (con le maiuscole): un raggio che travolge delle sagome di dinosauri, dei primati, poi degli ominidi, fino a rilasciare un perfetto homo sapiens sapiens che si avvia camminando eretto verso, immaginiamo, il futuro del centro-sinistra. Estinzione e politica, l’associazione è immediata, lo slogan è  “i dinosauri non si estinsero da soli”. Bisogna che lo faccia qualcuno, allora, è il sottinteso occhiello. La portata dell’innovazione si vede soprattutto nei dettagli. L’ambiente alla Leopolda è volutamente post-politico, senza in alcun modo sfiorare quel prefisso, “anti”, che negli ultimi tempi riscuote qualche successo. Ci sono tante facce giovani, ce lo si aspettava, ma anche e soprattutto un meltin’ pot anagrafico (e dalla varietà di accenti sembrerebbe anche geografico) che rappresenta un segnale importante. Al Pd, a Renzi, all’Italia.

Anche il palco, occupato prima delle nove da un Matteo Renzi in solitaria incalzato dalle telecamere di La7, è costruito senza lasciare nulla al caso. Nessuna scenografia partitica, nemmeno una bandiera (anche tra il pubblico), piuttosto una scrivania con un Macbook Pro da cui il sindaco di Firenze twitta interventi, opinioni e domande, un divano Chesterfield, un frigorifero Smeg e uno sgabello, al centro, che sostiene i numerosi ospiti. Introduce la serata Davide Faraone, candidato Pd alle primarie per essere sindaco di Palermo, classe 1975, che dà subito una scossa: ostinarsi è meglio che indignarsi, dice. Tradotto: impegnarsi, rimboccarsi le maniche (anche se non bersianamente, crediamo), soprattutto costruire, concretamente, una proposta davvero alternativa. C’è molta carne al fuoco, qualcuno dice troppa, ma dal palco promettono che le proposte arriveranno. E poi video, spezzoni di film ma anche collage e montaggi introducono gli argomenti, dal linguaggio politico all’istruzione, dall’imprenditoria alla giustizia. Mentre sia Renzi che Faraone affidano a twitter i loro messaggi, sullo stesso social arriva anche l’augurio che non ti aspetti di Nichi Vendola.

Ma la vera notizia della serata è stato l’intervento dello scrittore Alessandro Baricco.

L’annuncio della sua presenza alla vigilia aveva suscitato sorrisetti ironici e velate accuse di veltronismo, nel senso di bello, buono e rigorosamente culturale ma sostanzialmente vuotino e retorico; l’hashtag ideale, per restare a twitter, era qualcosa tipo: #tuttoqui?

Lo scrittore torinese è da sempre un campione della cultura liberal, un paladino della sinistra nella sua declinazione più cristallina. Tutto ci si aspettava da lui (qualcuno sospettava tirate per la giacca da parte di Veltroni stesso – che per alcuni è sempre, ossessivamente dietro le quinte – altri buttavano lì una rinnovata vena egocentrista spruzzata di nuovismo), tranne che dicesse quello che poi ha detto. “Io non voglio diventare il Presidente del Consiglio, è tardi – ha esordito smentendo il leit motiv degli interventi alla Leopolda che si basa su cosa diresti se fossi a Palazzo Chigi per cinque minuti – dovrei stare qui ad ascoltare e basta, però provo a ripassare alcuni errori che io e altri abbiamo fatto”. Da qui parte un’analisi lucida, amara e molto sentita degli sbagli commessi, così riassunti per punti:

 

  • “Noi (inteso come generazione di gente di sinistra) col nobile obiettivo di difendere i più deboli abbiamo finito per creare una ragnatela di tutele e di privilegi che ha sclerotizzato e immobilizzato la nostra società. Il dinamismo è quello che manca” ha detto sostanzialmente Baricco, e “non è vero che il rischio colpisce il debole. Il rischio è una chance per il debole”;
  • “Non siamo mai stati capaci di pronunciare due parole fondamentali – perché erano brutte, non ci piacevano – e non pronunciandole non le abbiamo realizzate: meritocrazia e classe dirigente”;
  • “Ci siamo sempre limitati a giocare per secondi, ad aspettare che la prima mossa la facesse l’altro. Non aspettate mai che sia così (e qui Baricco inizia il suo crescendo Jobsiano), muovete per primi, chi muove per secondo è costituzionalmente conservativo, mira al pareggio”. E qui arriva la frase simbolo del suo intervento, la più forte: “La sinistra in cui io sono cresciuto oggi è ciò che di più conservativo c’è in questo paese”.
  • “Sapete perché muovevamo sempre per secondi? Perché avevamo paura di perdere. Io sono cresciuto in una sinistra che ha cercato di vincere tutte le partite a tavolino, non giocandole. Avevamo paura di perdere, di rischiare. Facevamo delle battaglie lente”. Baricco chiude con un’esortazione: “Non abbiate mai paura di perdere che oltretutto porta anche un po’ sfiga”.

 

Il discorso dello scrittore torinese è per contenuti davvero una novità rilevante nel nostro paese: non è un semplice endorsement per Renzi; è un’ammissione di colpe che, comunque la si pensi, può rappresentare un punto di svolta nel dibattito politico e culturale. Partirà – da destra, da sinistra, da sopra e da sotto – speriamo di sbagliarci, la gara a sminuire e ridimensionare. Vedremo se questa volta sarà possibile o meno fare delle riflessioni serie senza bava alla bocca.

Il discorso integrale di Alessandro Baricco lo trovate qui.