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David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.
Dopo il furto dei gioielli, ora il Louvre è nei guai a causa delle infiltrazioni di acqua e degli scioperi dei dipendenti Le infiltrazioni hanno danneggiato 400 documenti della biblioteca del Dipartimento delle antichità egizie, confermando i problemi che hanno portato i lavoratori allo sciopero.
Le cose più interessanti dei Golden Globe 2026 sono The Rock, i film d’animazione e i podcast Più delle candidature per film e serie tv, queste categorie raccontano come sta cambiando l’industria dell'intrattenimento oggi.
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.

La generazione Lingotto e il popolo del nuovo Pd

La kermesse di Torino ha mostrato un fatto nuovo, poco sottolineato dai media: accanto a Renzi ci sono un popolo e una nuova classe dirigente.

15 Marzo 2017

La riduzione giornalistica che va, ahinoi, per la maggiore (ma come si fa a lamentare la mancanza cronica di contenuti da parte della classe politica quando chi dovrebbe raccontarli ed esaminarli non sembra interessato ad altro se non al pettegolezzo e alla polemica di giornata?) ci ha spiegato e raccontato che nello scorso weekend al Lingotto di Torino è andato in scena un generico e tattico riposizionamento a sinistra di Matteo Renzi, per mere e opportunistiche questioni elettorali, e nulla di più.

Si è parlato di una sfilata di endorsement incondizionati e interessati per il leader come unico collante della tre giorni, con un presunto e posticcio Noi al posto dell’Io; sono stati citati (e un po’ maltrattati) alcuni anziani pezzi da novanta della tradizione della sinistra italiana intervenuti a Torino a sostegno del segretario uscente per metterli in contrapposizione con una fantomatica e rottamata fase della rottamazione tout court; e poi, ancora, il ticket con Maurizio Martina per coprirsi a sinistra e nel corpaccione del partito, una fantomatica “noia” diffusa, con tanto di seminari, contrapposta ai fuochi d’artificio e alle giravolte pop delle Leopolde che furono (a loro tempo accusate di vuotezza e superficialità; delle due l’una però, no?). Come a dire: il nuovo Renzi, dopo la batosta referendaria, cerca una nuova stretta via d’uscita dal periodo difficile in cui si sarebbe infilato da solo in questi primi mesi del 2017 e, sempre secondo la vulgata giornalistica, non è affatto detto che ce la faccia e, soprattutto, che ci creda veramente.

L’asse narrativo batosta – crisi – tentativo tattico e difficile di via d’uscita, che ha basi reali ovviamente, non tiene conto di due elementi che al Lingotto si sono invece manifestati in maniera abbastanza netta e che danno un senso molto differente a questa storia, per dirla alla Bersani.

Il primo è che di fianco al leader Matteo Renzi c’è un popolo, fatto di centinaia di migliaia di militanti e sostenitori e di milioni di elettori e simpatizzanti, di cui non ha tenuto per nulla conto il prematuro funerale mediatico allestito in fretta e furia dopo il 4 dicembre per l’ex Premier, inviso ai più nel circo degli addetti ai lavori per quella sua tendenza a procedere per strappi (come se il riformismo, per essere davvero efficace, in un paese conservatore e corporativo come il nostro possa essere visto e vissuto come un esercizio gentile). È un consenso popolare che va oltre l’adesione incondizionata al capo, e che si basa su storie e provenienze diverse ma su una condivisione di fondo di una visione chiara: la sfida a viso aperto a chi scommette e lucra sulla fine prematura del paese e sulle conseguenti macerie della nostra società. Il futuro dell’Italia e dell’Europa non come cliché nuovista e condizione astratta, ma come progetto politico, di sinistra in quanto popolare e inclusivo, in grado di coinvolgere milioni di connazionali, dalle nuove generazioni a quelle più in là con l’età, passando per quelle chiamate oggi alla prova del potere.

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E qui arriviamo al secondo elemento, i quarantenni chiamati ad essere oggi nuova classe dirigente diffusa, dentro al Partito Democratico e nelle istituzioni del Paese.

Un leader come Matteo Renzi, ma non solo: dirigenti nazionali (da Maurizio Martina a Matteo Orfini), svariate decine di dirigenti locali (dall’emiliano Andrea Rossi al milanese Pietro Bussolati, solo per fare due nomi), alcune e alcuni giovani parlamentari (Anna Ascani, Lia Quartapelle e molti altri), amministratori del territorio (dal presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ai sindaci di Firenze e Bari Dario Nardella e Antonio De Caro per nominarne alcuni), e via dicendo.

Come per il popolo di cui sopra, storie e provenienze diverse ma un terreno comune di condivisione che si fa progetto unitario sul campo, basato su alcuni pilastri, stabili e riconoscibili.

Il primo pilastro attorno al quale ha finito per ritrovarsi questa generazione di dirigenti è il ritorno al primato della politica. Dopo alcuni lustri di messa in secondo piano, lasciando di volta in volta la ribalta e l’egemonia alla società civile, ai tecnici, alla burocrazia, al potere giudiziario, all’antipolitica tout court, coloro che si candidano a guidare il centrosinistra e il Paese in questa nuova fase sono tutti insieme profondamente convinti che il miglioramento delle condizioni dell’Italia, economiche e sociali, passi da un mandato forte e da un consenso largo. E che questo mandato passi solo dalla guida di una comunità ampia e multiforme da rappresentare e in cui specchiarsi, in grado di non abdicare al complicato esercizio della democrazia, lavorando pancia a terra per rinnovare forme e modi di partecipazione. È una convinzione profonda, basta scambiare qualche parola con alcuni dei nomi di cui sopra, capace di andare oltre l’opportunismo di giornata e che non va sottovalutata: potremmo essere di fronte finalmente al compimento di quel processo di amalgama che stava alla base del progetto del Partito Democratico.

Il secondo pilastro è l’Europa. Questa generazione di trenta/quarantenni è e si sente pienamente europea, non vive l’europeismo come qualcosa di freddo e acquisito sui manuali, ed è convinta che il progetto Italia sia strettamente legato al progetto Europa. Per questo considera la battaglia per un’Europa più giusta, più a misura di cittadino che di burocrate, più integrata e quindi in grado di dare più diritti e migliori opportunità a tutti, la battaglia da combattere a Roma, sui territori, a Bruxelles.

Non sappiamo che destino abbia la sfida di questa nuova classe dirigente, ce lo diranno il tempo e gli eventi. Però non notare che siamo di fronte a un fatto nuovo, e che dietro ai pettegolezzi, ai retroscena e alle veline mediatico-giudiziarie di giornata, qualcosa di rilevante si stia muovendo, vuol dire perdersi e far perdere una parte importante del racconto politico e dell’evoluzione del nostro Paese.

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