Attualità

Come essere Kristen Stewart da grande

Diva adolescente, poi stella cadente, infine resuscitata dal "cinema europeo". Dopo Personal Shopper, un cortometraggio a Cannes.

di Mattia Carzaniga

Tra una ventina d’anni uscirà un saggio intitolato Come essere una star nel XXI secolo, e quel saggio l’avrà scritto Kristen Stewart. Il volume, più che altro un manuale di sopravvivenza, sarà diviso in tre sezioni. La prima: “Quando tutte le adolescenti del mondo volevano essere me”. La seconda: “Quando più nessuno voleva essere me”. La terza: “Quando io volevo essere me, ma quella vera”.

Torniamo, per un momento, a oggi. È in sala in queste settimane Personal Shopper di Olivier Assayas. In concorso a Cannes 2016, è piaciuto a molti cinefili, ma si sa: solo a pronunciare il nome Assayas quelli si bagnano le mutande. Kristen, che fa il mestiere del titolo (qualunque cosa significhi) per conto di una superstar del cinema (avete capito il giochetto?), ha perso il fratello, crede di ritrovarlo nei fantasmi formaggini che infestano vecchie case fuori Parigi, legge Victor Hugo che scrive di spiritismo, ogni tanto fa qualche commissione per la diva, passa da Cartier, robe così, non è che succeda granché. Alla fine, ovviamente, c’è il trucco. Al di là delle recensioni (sospendo il giudizio, quei cinefili li rivedrò a Cannes tra pochi giorni), il film è indicatore del nuovo corso della carriera di Stewart. Con Assayas aveva già girato tre anni fa Sils Maria, dove pure faceva l’assistente di una stella del cinema (questo meta-giochetto ha un po’ preso la mano a entrambi), anche lì più che la sceneggiatura contava altro, cioè quelle cose che a un’attrice americana fanno tanto “cinema europeo”, cosa significhi nemmeno noi europei l’abbiamo ancora capito.

Torniamo ancora più indietro. È il 2008 (il duemilaotto? Son già passati dieci anni?) e Kristen è la protagonista di Twilight. Non serve spiegare cos’è. Il film fa miliardi ovunque (bisognerà un giorno approfondire, in un altro saggio, com’è che certe cose da cinema europeo non si capiscono mai e invece per questa soap tra vampiri e licantropi l’universo mondo sospende facilmente l’incredulità). Tutti parlano di lei. Stewart aveva già fatto qualcosa in passato, e mica robetta: per dirne due, era stata la figlia di Jodie Foster in Panic Room di David Fincher, poi il flirt dello scemo che va per i boschi in Into the Wild di Sean Penn (la scena in cui suona la chitarra: una visione). Da noi le due parole “young adult”, oggi panacea di tutti i mali editoriali, hanno cominciato a girare in quel periodo lì. Bella Swan, questo il nome della protagonista, era «né donna né bambina, non si sa cosa sei» (cit. Non è la Rai), sicuramente vittima, passiva, innamorata, in attesa del maschio che l’avrebbe redenta dai brufoli e sessualmente liberata. Cinquanta sfumature di grigio, dopotutto, nasce come fanfiction di questa roba qua. Il mondo riscopriva il femminismo, e i modelli intanto restavano decrepiti.

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Insieme al suo doppio sullo schermo, Kristen ci metteva pure l’aggravante privata: sul set della saga (quattro film in totale) si era messa con Robert Pattinson, il protagonista maschile. Se i Brangelina erano la coppia di riferimento di noi vecchi, Robsten era il marchio destinato ai teen: e si sa che i teen sono un pubblico economicamente ben più rilevante. Dice lei: «Quella non era la vita reale. Il pubblico voleva che stessimo insieme e così abbiamo fatto, ci siamo trasformati in un prodotto». Ho incontrato entrambi negli anni successivi: Pattinson fugge la parola “Twilight” come la peste, «mi piacciono i viaggi nel deserto: lì non c’è nessuna fan del vampiro Edward Cullen all’orizzonte». Stewart è più riconoscente: «Da lì è cominciato tutto, senza Bella non sarei qui oggi». Ora i due sarebbero amici, si mandano messaggini.

Restiamo a ieri. Kristen è la giovane diva di cui tutti parlano, non dotatissima come attrice ma assai bankable, come vuole il gergo. Le propongono Biancaneve e il cacciatore. Biancaneve non è più la pallida principessa che sogna il principe azzurro ma una guerriera: è l’inizio del nuovo trend delle fiabe femministe. Kristen accetta, il film ha successo, ma escono le foto di lei che bacia il regista Rupert Sanders. Un bacio non si nega a nessuno, ma le costa caro. La conferma che Kristen è ormai una donna viene dalla nuova percezione pubblica di lei: è una troia. Anni difficili. Addio blockbuster, ’sta cosa che devo essere come piace a voi non la voglio più. Benvenuto cinema indipendente, qui posso essere me stessa. È il capitolo “Quando nessuno voleva essere me”, infatti le platee disertano i suoi film. Passano inosservati On the Road (povero Kerouac), Camp X-Ray, American Ultra, Equals, Certain Woman. In mezzo c’è Still Alice, unico successo tra festival e premi, è quello dell’Oscar a Julianne Moore, lei è sua figlia, «forse sa recitare!». Quindi Assayas la fa rinascere, così lei dice.

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E poi Kristen Stewart diventa fighissima. Non che non lo fosse. Ma la congiuntura astrale è perfetta. Fa film che forse non piacciono a noi ma che piacciono a lei. È finalmente sicura di quello che fa. Diventa musa di Karl Lagerfeld, volto di Chanel, la fase dello chic europeo non ha mai fine. Soprattutto – la vita privata c’entra ancora, c’entra sempre – decide di inaugurare la fase “Quando io volevo essere me, ma quella vera”. I giornali non si tengono: Kristen Stewart è lesbica! Prima esce con tale Alicia Cargile, lavora negli effetti speciali, insieme fanno un viaggio in Italia molto paparazzato. Poi c’è Soko, cantante francese indie-rock e attrice agli esordi: è il solito periodo europeo. Poi altra musicista indie, St. Vincent, quindi di nuovo Alicia (o era prima? Non ricordo), al momento c’è la modella Stella Maxwell. Allo scorso Festival di Cannes, dove presentava Café Society di Woody Allen, mi ha detto: «Oggi non mi nascondo più, ho deciso di essere onesta con me stessa e con gli altri». Non ha pronunciato “the L word”, ma, per bocca di quella che era stata La Più Grande Star Del Momento, era comunque un’affermazione rivoluzionaria. A inizio febbraio al Saturday Night Live ha definitivamente risposto al Presidente Trump, che all’epoca del bacio con Rupert Sanders twittava: «Robert Pattinson, lasciala!». La risposta a The Donald è quella della Kristen di oggi: «I’m like so gay, dude». Come a dire: è cambiato tutto, tu sarai pure alla Casa Bianca ma io finalmente sono libera, ed è la cosa più importante. E sì: sono gay.

La fase europea di Stewart non è ancora finita. Al Festival di Cannes, che comincia il 17 maggio, presenterà il suo debutto da regista, un cortometraggio intitolato Come Swim. Lei parla di “avant-garde”, dice che stava riempiendo i taccuini da anni, noi già tremiamo. Ma siamo con lei. Sta facendo tutto bene, tutto giusto. Sta facendo tutto quello che deve fare una ragazza della sua età quando è figa, famosa, col cervello. Tutto quello che non aveva potuto fare prima. Il prossimo capitolo del saggio lo scriviamo noi: “Quando tutti volevano essere Kristen Stewart, di nuovo”.