Cultura | Dal numero

Keener, il magazine che unisce Italia e Corea del Sud

Un gruppo di ragazzi ha creato a Milano una rivista, di carta e online, che esplora la comunità sudcoreana.

di Studio

Keener si riferisce ai “keen eyes”, che potremmo tradurre con l’avere uno sguardo acuto sulle cose, e sta a indicare una particolare attitudine di guardare alle cose della vita, senza sottovalutarne nessuna. È anche un magazine, online e di carta, fondato da un gruppo di dieci giovani ragazze e ragazzi coreani cresciuti in Italia o che stanno studiando in Italia, il cui background racchiude arte, design, architettura, media design ed economia tra le altre cose. Keener ha base in Italia, a Milano, e in Corea del Sud, a Seoul, poiché tutti i membri del gruppo che l’hanno creato hanno vissuto in entrambi i paesi e altrove. Da questa comune esperienza nasce l’idea di raccontare le “piccole cose” che spesso sfuggono a uno sguardo non attento. Keener vuole infatti essere un collettore di quelle esperienze e ha come punto di forza principale la diversità dei punti di vista che esplora, che si muovono dall’Italia alla Corea e viceversa. «Questa caratteristica unica tra i membri di Keener ci ha permesso di fissare come nostro target di riferimento i coreani che hanno vissuto o stanno vivendo all’estero. Ma ovviamente, non solo loro. Ci rivolgiamo a tutte quelle persone che si sentono sospese tra due culture, alle persone che sentono di essere un “ponte” tra culture all’opposto, ma anche a chiunque sia interessato a conoscere storie di coreani che vivono in Italia o indagare su temi spesso non trattati riguardanti la Corea. Speriamo di trovare nuovi valori attraverso questo viaggio e, alla fine, creare una base sociale per l’inclusività e la diversità», spiegano loro stessi.

Un modo meno scontato, e meno urlato, di investigare l’identità di chi cresce con alle spalle un background misto, fatto di culture ed eredità diverse, quei “third-culture kids” che Luca Guadagnino ha provato a raccontare in We Are Who We Are, nella sua maniera estetizzante, e che i ragazzi di Keener affrontano soffermandosi sui momenti apparentemente più banali delle loro vite di ventenni. «Keener vuole rivolgere lo sguardo proprio su questi elementi che noi chiamiamo “little things”. Questi non sono visibili a colpo d’occhio, sono ignorati, fraintesi. Quando le “little things” che ignoriamo ci vengono mostrate in chiaro, potremo notare che in realtà le stavamo già guardando ma non osservando, con il malinteso quindi di trascurarle». Come quando Nam Jun Kim scrive «la breve storia triste» di Ahn Jung-hwan e del suo soggiorno in Italia, la si legge sul loro sito. Ahn Jung-hwan è stato un calciatore del Perugia, uno dei pochissimi sudcoreani della Serie A, ed è stato anche colui che segnò il gol che cacciò l’Italia di Trapattoni dai mondiali di Corea-Giappone nel 2002, probabilmente una delle partite più brutte e controverse nella storia della Nazionale italiana. Ma cosa ha significato Ahn Jung-hwan per un ragazzo di origine coreana che viveva a Cologno Monzese? Keener vuole raccontare proprio quelle intersezioni lì, cercando anche di andare oltre i cliché con cui oggi si guarda al soft power della Corea del Sud che ha conquistato il mondo, tra K-pop, K-drama e K-beauty, ponendosi come uno spazio di condivisione tra la cultura italiana e la cultura coreana. «Keener», spiegano i fondatori, «è il luogo dove, attraverso attività culturali e sociali come performance, esibizioni, campagne, product design e social media, riuniamo i nostri “keen eyes” e aspiriamo a svelare le storie non visibili». E che meritano di essere notate.