Attualità

Il vero tesoretto del Rottamatore

Una legge di stabilità gagliarda, la cornice dei mille giorni che appare sempre più sensata, un feeling non indifferente con le persone. Più tutto ciò che sta intorno al governo Renzi profuma di solidità, più, paradossalmente, prende sostanza un eventuale piano B.

di Claudio Cerasa

Matteo Renzi è sempre molto abile a confondere le carte, a giocare con le parole, a spiazzare gli avversari, a far saltare per aria i piani degli oppositori, a disorientare persino gli alleati e a riuscire a sembrare coerente anche nella complicata arte dello smentire se stessi senza dare l’impressione di mentire. Oggi, giorno della legge di stabilità, il presidente del Consiglio ha l’occasione di fare quello che per ragioni storiche non era mai stato concesso ai suoi predecessori: dopo molto tempo l’Italia avrà una legge di stabilità senza nuove tasse, con un buon piano di riduzione della spesa pubblica e un sostanzioso taglio a una delle tasse più odiate dagli imprenditori (e non a casa stra-elogiata da Giorgio Squinzi): i 6,5 miliardi di Irap che se ne vanno.
Dalle misure e dalle promesse fatte dal premier – al netto di uno scazzo poco segnalato dai giornali tra i tecnici di palazzo Chigi e quelli del ministero dell’Economia, con questi ultimi che si sono ritrovati a vedere rottamato il proprio Def – l’impressione è che Renzi abbia voglia di governare, che nonostante la confusione dei gruppi parlamentari abbia intenzione di governare, e che nonostante tutto i mille giorni potrebbero essere un orizzonte meno improbabile rispetto a quello che in molti parrebbero far credere.

È possibile che sia così ed anche possibile che abbia ragione chi oggi sostiene che Renzi provi un piacere fisico a stare a Palazzo Chigi e a governare l’Italia. Ma il dato da registrare negli ultimi giorni è che nei pensieri del presidente del Consiglio per la prima volta si è manifestata l’idea di cogliere l’occasione di sfruttare l’incredibile consenso di cui ancora gode il Rottamatore per andare al voto e capitalizzare il proprio tesoretto. Oggi questo scenario sembra lontano, improbabile, poco sensato ma la novità politica esiste: fino a qualche tempo fa Renzi minacciava di andare a votare senza crederci davvero, oggi invece quando minaccia di andare a votare ci crede eccome, e ci pensa davvero. Le ragioni di questo cambio di prospettiva sono fondamentalmente tre.

La prima coincide con una paura, che è la paura di Renzi ma è anche la paura dell’Italia. In sintesi: e se tutto questo non bastasse? E se nonostante i fuochi di artificio il vento continuasse a essere quello, con i numeri negativi, la disoccupazione che non scende, l’occupazione che non sale, l’economia che non riparte, la ripresa che non si vede, il debito che non si ferma, se nonostante tutto l’Italia rivoluzionata da Renzi non risultasse così rivoluzionata, avrebbe ancora senso andare avanti, e logorarsi, perdere consenso, dare ai nemici la possibilità di riorganizzarsi, offrire agli avversari la possibilità di studiare un’alternativa e incrinare quella che è la vera forza di Renzi, ovvero il suo rapporto diretto, disintermediato, con gli elettori? Se insomma, nei primi mesi del prossimo anno, Renzi non dovesse vedere segni tangibili di ripresa economica, potrebbe permettersi il lusso di non andare a votare? Fino a qualche tempo fa la risposta di Renzi era un “non c’è problema, non esiste, non mollerò mai Palazzo Chigi”, oggi invece la valutazione è diversa e nella testa di Renzi qualcosa è cambiato.

Renzi non vuole votare ma dovessero presentarsi le circostanze, questa volta la parola voto non la utilizzerebbe solo come tattica ma la vedrebbe davvero come una possibilità

La seconda ragione è legata a una tentazione mica da poco: va bene che governare con il docile Alfano è meglio che governare con il capriccioso Vendola, ma a pensarci bene quando potrebbe capitare un’occasione come questa, di andare a votare senza avversari, senza nemici, senza opposizione, senza alternativa, senza un Berlusconi capace di mordere, senza un Grillo capace di impensierire e con la possibilità concreta di riuscire a conquistare alle urne qualcosa in più rispetto a quello ottenuto alle ultime europee? Problema e dilemma non da poco: quando ricapiterà mai un’occasione del genere in cui, numeri alla mano, il Pd, o il centrosinistra, potrebbe ottenere anche il 50 per cento dei consensi?

Il terzo problema è tecnico, ma potrebbe essere anche la chiave di volta per sbloccare la situazione e aprire una strada alternativa. Fino a oggi, si sa, Renzi è stato poco credibile nel minacciare il voto per una ragione semplice: l’Italicum, anche quando verrà approvato al Senato, non sarà effettivo in modo definitivo poiché la minoranza interna al Pd ha ottenuto una clausola, sotto forma di emendamento, che lega l’entrata in vigore effettiva dell’Italicum all’approvazione della riforma costituzionale, e dunque da qui alla fine del 2016, considerando che per approvare il pacchetto di riforme costituzionali ci vorrà un anno e mezzo, sarebbe in vigore il Consultellum (legge elettorale ultra proporzionale disegnata dalla Consulta) e per Renzi votare sarebbe un suicidio: senza il 50 per cento dei voti sarebbe costretto ad allearsi con il secondo o il terzo partito, e dunque la scelta dovrebbe ricadere o su Grillo (impossibile) o con Berlusconi. Problema: può Renzi permettersi di giocare così col fuoco e far cadere un governo con Alfano per farne un altro con il Caimano? Complicato. Se non fosse – ecco la novità – che i renziani stanno studiando un emendamento choc che abolirebbe quello precedente (italicum che entra in vigore solo dopo percorso riforme costituzionali) e darebbe la possibilità una volta approvata la nuova legge elettorale di usarla subito per andare a votare. Verdini sarebbe d’accordo. Berlusconi ci starebbe (il Cav ha paura di far cadere il patto del Nazareno perché convinto che Renzi andrebbe da Grillo a proporgli il mattarellum, che Berlusconi odia).

Tutto insomma è in movimento. Con la consapevolezza che Renzi non vuole votare ma dovessero presentarsi le circostanze, questa volta la parola voto non la utilizzerebbe solo come tattica ma la vedrebbe davvero come una possibilità, come l’arma definitiva per tentare di dar vita al famoso big bang renziano. Ci riuscirà?