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13:40 sabato 15 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Tangram secondo Clemens Behr

L'artista tedesco in mostra da ROJO artspace: se un gioco diventa una panic room

23 Marzo 2012

Non è un caso che mentre Clemens Behr mi sta raccontando come crea un’opera, alle sue spalle si manifestino messaggi contrastanti: una pioggia improvvisa che dura una manciata di minuti e un grosso tubo giallo che disegna un labirinto su un muro grigio.  Incontriamo l’artista tedesco, ventisette anni di cui molti vissuti a Berlino,  pochi giorni prima dell’inaugurazione della sua personale italiana, Special Purpos Solution presso la ROJO artspace di Milano (dal 22 marzo fino al 30 aprile), e il fatto che sia ancora in piena installazione della mostra lo si nota dalle macchie di vernice che hanno colpito la sua t-shirt con scritta Old Stuff, New Shit «questa? l’ha fatta un mio amico…»ammette sorridendo.

Messaggi contrastanti dicevamo perché nelle sculture di Clemens convivono fortissimi contrapposizioni, disturbi voluti ma inaspettati che colpiscono lo spettatore molti minuti dopo che si sta osservando un suo lavoro. Quando gli faccio notare l’enorme tubo giallo che gli incornicia le spalle lui si gira stropicciandosi il berretto di lana e ride «è bellissimo…no?». Ride ma mantiene sempre un monotono che stride con l’energia delle sue creazioni.  Ma, altro controsenso di Behr , quelle sculture massicce, boccioniane nel midollo, sono realizzate con materiali instabili:  in galleria mi farà annusare un cartone ancora vergine (cioè non smembrato e dipinto da lui)  svelando l’arcano: «sa ancora delle candele che c’erano dentro…quelle un po’ cheap che vendono al supermercato, lo senti?». La spontaneità e i materiali cheap, di scarto, trovati per strada, sono il punto di partenza per i macro collage di Behr: enormi strutture che s’impongono al centro di spazi pubblici come di salotti privati. «Utilizzo questi materiali di scarto per una questione di budget, ma anche perché ci inciampo mentre cammino e subito penso a come possano funzionare. Il prossimo traguardo sarà imparare a lavorare il legno, è difficilissimo, sto seguendo un laboratorio apposito in accademia (di Berlino ndr)… mi piace moltissimo…certo è molto più ingombrante da trasportare rispetto alla carta che uso ora».

A guardarlo Clemens Behr ha tutte le caratteristiche per invecchiare da buon falegname: cresciuto nella bucolica Koblenz, un villaggio-affresco fuori Colonia con tanto di fiume, affluenti e colline, non stupisce che abbia trovato in Barcellona (dove è iniziata la collaborazione con RoJO) il primo passo per la sua carriera «camminavi per le ramblas e ti sentivi meglio, a Koblenz è bello tornarci ma non viverci, è uno spaccato di natura pura, ma tutti i miei amici sono andati via». Agli amici Behr fa spesso rifermento “proteggendoli”anche dai luoghi comuni che li riguardano: «a Berlino c’è una full di giovani artisti? Sì, è vero, ma  c’è ancora un anonimato che ci permette di vivere ognuno nella sua realtà, c’è posto per tutti perché non ci si conosce, il clima di relax che si vive a Berlino lo si avverte anche nel movimento artistico, non c’è lo stress di una Londra o Parigi. Tra quelli a qui guardo ci sono soprattutto nomi storici però, come Matta-Clark Gordon».

Clemens è un ex skeater  ripulito («mi piace, è semplice libertà, sali e vai dove vuoi. Non ne sono più ossessionato ma di base sì, continuo a farlo,  mi fa stare bene. È un bel modo per muoversi») anche se la sua attuale  e apparente tranquillità viene meno nei suoi lavori. Perché quella che sta prendendo forma alla RoJO artspace è una panic room, dove sculture come enormi tangram riempiono lo stanza di prospettive diverse, in un gioco (ossessivo) di dimensioni, specchi e false prospettive. Un pop-up the mind? «Sì, delle volte è davvero difficile fermarsi, potrebbe essere una struttura infinita- e si gira a guardare ancora il tubo giallo mentre sorseggia il caffè-  anche se lo spazio è un limite. Spesso assemblo tutto nello spazio in cui mi trovo, così come il colore che utilizzo nasce da un equilibrio, per esempio se domina già il bianco in galleria, virerò per toni forti». Il colore più forte al momento è la carta stampa legno che giace in rotoli sul pavimento insieme a barattoli di vernice marrone. È finita la stagione dei No-Title? «Forse sì, io di base non dò un vero titolo -e si guarda spaesato- spesso le associo al luogo in cui sono (come Mexico ndr) oppure le “chiamo” con nomi di persone che mi hanno gravitato intorno mentre le costruivo». Inutile chiedergli se è ossessionato (segretamente) da vedere a che punto è nell’enciclopedica classifica di Art Facts «non ne ho la più pallida idea, cos’è?». Ingombrante nelle performance, ostinatamente understatement nelle azioni.

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