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Il talento perduto di Davide Matteini

Calciatore, poi tronista a Uomini e Donne, poi di nuovo calciatore, talento puro, insulti ai tifosi, troppe donne e troppe notti, testa calda, occasioni buttate, poca Serie A (giocava troppo poco), più Serie B, ancora più Serie C, il Brunei sfiorato e rifiutato e ora i dilettanti. la carriera schizofrenica di Davide Matteini.

di Fulvio Paglialunga

Bella la vita da bad boy se fai il matto e arrivano i soldi, se comunque sei al centro del villaggio internazionale del pallone e dunque diventi sì sregolatezza, ma anche genio e quindi puoi giocare ancora. Paghi, ma un po’. Ti trovi qualche titolo cattivo, perdi qualche treno ma nemmeno tutti, resti ad alto livello anche se magari cambi maglia, ma non torni giù, non scivoli e quando finisce non puoi nemmeno lamentarti di aver sprecato il genio. Nemmeno tanto, almeno. Il talento folle di Davide Matteini ha invece passato gran parte del suo tempo sulle montagne russe: da promessa a calciatore vero, a Uomini e Donne, a calciatore arrampicato sugli specchi per evitare di essere dimenticato. Dalla C da protagonista alla B ben fatta, alla A assaggiata, a Maria De Filippi, al Brunei ipotizzato e al ritorno in C, prima della D: quest’anno gioca nell’Atletico San Paolo Padova, dilettantinati dalle ceneri del fallito San Paolo, in Veneto.

Tronista spesso è appellativo di maniera: usato per il calciatore belloccio, attento all’aspetto fisico, frequentemente con i capelli laccati, magari nemmeno dei più forti. Quasi un dispregiativo spesso invidioso, una leva estetica per sorreggere la critica. Tronista, parlando di Matteini, è quasi vero e non è un insulto, ma una porzione della sua vita accelerata andata in onda sul serio: un capovolgimento del calciatore che va con la velina e diventa invece a sua volta uomo Tv, dunque ambîto, anche se nella parentesi lui è corteggiatore e sul trono c’è Anna Munafò, seconda a miss Italia nel 2005. Quasi un anno fa, nel passaggio tra una squadra e l’altra che è diventato un periodo senza contratto, l’hanno visto scendere per le scale alcuni milioni di persone, con il sorriso guascone, i tatuaggi e Maria De Filippi in fondo. Da attendere i cross dall’esterno a attendere un’esterna è stato passo breve, ma forse inatteso persino per chi lo conosceva bene e se l’è visto davanti in un noioso pomeriggio in cui aveva dimenticato la tivvù accesa.

«Certo, bisogna fare i conti con il parere della gente, ma non mi interessava. In verità non mi è mai interessato il parere di nessuno»

«Non avevo contratto e nemmeno voglia: mi ero stufato di tutto e soprattutto del calcio. Così ho deciso di fare questa esperienza, che anche adesso considero esperienza da fare. Non metterei a repentaglio il mio lavoro per farla, ma in quel momento non giocavo. Certo, bisogna fare i conti con il parere della gente, ma non mi interessava. In verità non mi è mai interessato il parere di nessuno». Spunta così, in un colpo solo, tutto Matteini. Come fossimo ancora al momento in cui a sorpresa si fa scoprire protagonista di Uomini e Donne. Lui meraviglia così, e talvolta anche per le giocate, e per mille altri motivi che c’entrano con il pallone oppure no. C’entrano con lui, però: il calcio gli ruota intorno se riesce a tenere il ritmo. Non sempre c’è riuscito: «Ho fatto quello che potevo. Almeno, considerato il mio carattere». Perché quello è sempre uno snodo delle carriere che intanto nascono e poi decollano o muoiono in base all’uso che fai della personalità. Davide l’ha pagata, visto l’eccesso mostrato. E gli sta bene anche non tornare indietro: «Nel calcio hanno successo maggiore quelli che leccano il culo. Io ho sempre preferito essere schietto, immediato, sincero: non è il massimo, in un ambiente così. Infatti non lo è stato».

Se a Matteini dovesse essere associata l’immagine da sceneggiatura antica del turista che per ogni viaggio mette un adesivo sulla valigia, non ci sarebbe forse spazio per metterne di nuovi. Vero è che la sua carriera tra i grandi inizia appena maggiorenne a Empoli, ma poi Gualdo, Pro Patria, Palermo, Livorno, Teramo, Padova, Crotone, Pescara, Parma, Vicenza, Rimini, Cosenza, Reggiana, Tuttocuoio, Viareggio sono tutte città in cui è rimbalzato come la pallina di un flipper, peraltro in tilt. «Colpa mia, in molti casi: a ventuno anni già litigavo con Ulivieri. Ero presuntuoso, non mi rendevo conto di chi avevo di fronte. Qualche anno più tardi sono andato via da Parma perché volevo giocare, perché non mi andava la panchina: sembravo non far caso al fatto che fossi in Serie A, in un club in grande crescita. Anzi, non ci feci proprio caso. Adesso sì». Occasioni buttate come kleenex, il tempo di voltare le spalle a una squadra e sceglierne un’altra. Senza chiedersi perché. Cioè: la risposta ce l’ha: «Lo facevo per soldi. L’ho sempre fatto per i soldi. Andavo dove potevo giocare e guadagnare di più. Questo è stata forse la causa di scelte sbagliate. Di certo non ho mai investito su di me: volevo tutto e subito».

Ha segnato, in carriera. Più di sessanta gol. Abbastanza per avere di più, se non fosse riuscito a farsi ricordare più per i colpi di testa e per le sue provocazioni. A Rimini, mentre usciva dal campo in una partita interna, fece un gestaccio contro la Curva Est, contro i propri tifosi: polso piegato, dita verso il corpo e movimento simulatorio di un atto sessuale. «Li mandai a cagare: era un insulto continuo e quella reazione fu istintiva». Poi, chiese scusa.

Quando giocava con la Reggiana, nella partita di Pisa, segnò, si tolse la maglia per mostrare la t shirt che aveva sotto, inneggiante il suo Livorno proprio in casa dei grandi nemici, creando tensione, rischiando la pelle (ma anche l’anno prima, quando con il Cosenza mostrò il dito medio nello stadio di Pisa) e riuscendo anche a far perdere la pazienza ai tifosi della Reggiana, gemellati con i pisani. Disse che era stato «un gesto goliardico: la risposta a un pubblico che mi prende sempre di mira. Ho goduto, sportivamente parlando, ma non capisco questo putiferio».

E pure a Pescara fece discutere, quando fece gol ad Avellino e per esultare tolse la maglia, la mise a terra e si mise a fare l’amore con la casacca. «Romantico, no? – disse – Io sono passionale, ho fatto la cosa più bella del mondo, e ho dimostrato alla mia ragazza che posso tradirla solo con una maglia».

Uomini e Donne è solo un momento di una carriera matta, comunque goduta. Fatta di provocazioni, tatuaggi (quasi tutto il corpo è disegnato, mani comprese), bella vita e trasgressioni: «Io sapevo che c’erano delle regole, ma le infrangevo. Però ora quelle regole mi mancano: gioco tra i dilettanti, più sopravvivenza che calcio. Sono una realtà a parte: io non ho mai avuto la mentalità da calciatore e mi sono comportato poco da professionista, eppure mi manca quel mondo in cui avevi un recinto nel quale muoverti, anche se evadevo». Pure Uomini e Donne ha lasciato in corso, perché nel frattempo era tornato il richiamo del campo: al Tuttocuoio, qualche mese, qualche gol e poi al Viareggio. In mezzo, la tentazione del Brunei e un contratto da 170mila dollari con il DPMM (Duli Pengiran Muda Mahkota) del presidente Al-Muhtadee Billah, erede al trono e primo ministro del Brunei: «Ci sono stato un mese, stavo per andare a giocare lì. Sono tornato presto, non c’erano le condizioni. Ad esempio: mi sono stirato il flessore e dovevo andare a Singapore a curarmi, due ore di aereo ogni volta. E poi non mi adattavo al loro stile di vita: una città difficile, non occidentalizzata, una cultura complessa. E poi la lingua, il cibo, il nulla intorno. Lo so, hanno detto che ho mollato perché non c’erano donne e discoteche: cazzate. Però sarei diventato matto, a restarci». Ora c’è un’altra tappa, non necessariamente l’ultima: Padova, sponda Atletico San Paolo, dove ha segnato giusto domenica scorsa. Che poi è un ritorno, almeno in città: Padova è una delle mete del suo intenso giro d’Italia, Lorenzo Cresta che è direttore generale gli è amico. E poi il calcio non smette di chiamare, soprattutto se hai trentadue anni e quindi hai ancora campo davanti a te: «Non credo di essere più quello di una volta: ora ho la testa di un uomo di trentadue anni, con due bambini che sono tutto, separato, ma che fa le cose di un trentaduenne, che si gestisce in maniera diversa. Non so se posso dire di avere un’altra testa, né posso dire dove sarei arrivato se non avessi avuto questo carattere. Anzi, lo dico: ora potevo essere in Serie B. Non lo dico con presunzione, lo dico perché vedo quanti cani giocano in quella categoria». Aveva appena detto, più o meno, di aver messo la testa a posto. In fondo però è sempre Matteini, uno che non ha paura nemmeno di corteggiare una donna in diretta. E poi tornare a giocare.

 

Nell’immagine, Matteini con la maglia della Reggiana nel 2011. Marco Luzzani / Getty