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21:24 mercoledì 31 dicembre 2026
Martin Scorsese ha scritto un editoriale sul New York Times in cui spiega perché Misery è il miglior film di Rob Reiner In un commosso editoriale, Scorsese ha individuato nel thriller del 1990 l’apice della filmografia del collega, ricordando la loro amicizia.
Dopo il documentario su Diddy arriverà un documentario sui figli di Diddy che parlando di Diddy Justin e Christian Combs racconteranno il rapporto col padre in una docuserie che uscirà nel 2026 e di cui è già disponibile il trailer.
La crisi climatica sta portando alla velocissima formazione del primo deserto del Brasile La regione del Sertão sta passando da arida a desertica nell'arco di una generazione: un cambiamento potenzialmente irreversibile.
L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.

Il sacco di Roma

L'Italia è, calcisticamente, fuori dal mercato. Ma la passione non trattiene i campioni, gli investimenti sì

22 Agosto 2012

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura. Nera, come il petrolio. Preziosa, come i milioni che vi luccicano dentro. Hanno conquistato questo avamposto chiamato Serie A, un tempo ricco e invidiato, come si conquista un accampamento di disperati. Come Panzer tedeschi contro la cavalleria polacca. Senza troppi sforzi, senza troppa pietà. Da nord a sud, senza patemi geografici e politici. Quelle beghe le lasciano a noi, provinciali. Thiago Silva, Ibrahimovic, Lavezzi, Verratti. Prima erano stati Balotelli, Kolarov, per poco non è stato De Rossi. Anche Ramirez, uruguayano, giovane e forte e destinato a un avvenire di successo, preferisce il Southampton all’Inter, campione d’Europa di due anni fa.

Siamo, in Italia, all’autarchia da calciomercato, e non per scelta: per costrizione. Ci abbiamo provato a sognare il campione, il Van Persie che lascia Londra per Torino ma, appunto, la velleità è rimasta onirica. D’altronde la Juventus è la più furba, lungimirante, la più europea di queste venti squadre che formano la Serie A. Ha comprato dall’Italia il meglio che c’era, e si è concessa pure un vizio di oltremanica, una furberia di Marotta che ha fatto arrabbiare Sir Ferguson.

E le altre? Le sette sorelle sono invecchiate, sono rimaste zitelle nel loro sogno di una bellezza che non c’è più, e perdono i gioielli e collezionano bigiotteria a buon mercato. Ci infervoriamo per lo scambio dell’estate, Cassano per Pazzini. Un tempo ci si scambiavano i Seedorf, i Vieri, perfino gli Ibrahimovic. Sì, è triste vedere i baratti a costo quasi zero di due regine deposte e invecchiate, che si scambiano anelli di vetro fingendo siano diamante.

Se non fosse bastato l’ultimo lustro a livelli di eccellenza, l’Europeo della castrata revanche tricolore ha eletto Daniele De Rossi come uno dei migliori centrocampisti del mondo. Ha bussato alla porta della Roma, allora, Mansur Bin Zayd al Nahyan, nome strano, così barbaro all’orecchio dolce e languido dell’italiano. Mansur porta con sé una dote di 55 milioni di euro, più 9 di ingaggio per il Capitan di un Futuro che forse, nei giorni scorsi, ha vacillato almeno un po’. Zeman, silenzioso San Francesco pauperistico, ha opposto un silenzioso e fermo rifiuto. La Curva Sud, nella prima apparizione all’Olimpico, ha stappato la miglior bottiglia del “core de Roma”: cori, passione, striscioni. Danié, nun ce lassà. De Rossi non si tocca, per i più duri.

Ma è tutto qui quello che abbiamo da mettere sulla bilancia? Il nostro solito, decantato, enorme “amore”? L’assicurazione di una maglia ritirata e di una piccola fetta di eternità capitolina? Le bandiere, le lacrime, gli abbracci? Sì, è tutto qui. Come al solito, d’altronde. E prima o poi finirà. Perché il sentimentalismo tipico italiota è bello, è sano, è pure diventato Docg probabilmente. Ma non funziona con tutti, non più. Non è funzionato con Kakà, con Thiago, forse non funzionerà domani con Cavani (e dire che se non funziona a Napoli…).

Piangiamoci allora un po’ addosso, perché è anche questo un marchio registrato tutto nostro. Ma poi alziamoci, e cerchiamo di rimboccarci le maniche. Con la “Grande Famiglia Milan”, con il “Core de sta città” e altri bei trucchi si rendono più dolci le vittorie, più gustose le torte, più pirotecniche le feste. Ma per festeggiare bisogna vincere. E per vincere serve oculatezza, investimento, pianificazione. Servono strutture. Modernità e pazienza. Il sacco di Roma è iniziato da tempo: cerchiamo di lavorare per il Rinascimento, ora.

Foto: Claudio Villa/Getty Images

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