Attualità
Il futuro incerto dell’antipolitica
A sei anni dalla fondazione, M5S fa i conti con la politica applicata. Cosa ci dice il caso Livorno delle prospettive del grillismo.
«A me politico nun me lo dici, a me politico nun me ce chiami». A novembre del 2014 la cittadina rappresentante del Movimento 5 Stelle Paola Taverna è ripresa dalle telecamere di Piazzapulita mentre discute con una delegazione di abitanti di Tor Sapienza, il borgo della periferia orientale romana teatro di una protesta anti-immigrati diretta al Centro di accoglienza locale. La situazione ha generato episodi di violenza e molte discussioni, ma l’accaloramento dell’ex capogruppo M5S al Senato sembra ingiustificato: il quarantenne che ha di fronte aveva solo iniziato una frase polemica dicendo «voi politici». Ma la reazione di Taverna dice molto della genesi e la tipicità del suo Movimento, aggregazione politica antisistema che ha fatto de «l’onestà andrà di moda» uno slogan, oltre a rivelare lo spirito di alterità che anima i suoi componenti.
La storia del Movimento 5 Stelle, nato come diretta emanazione del popolare blog di Beppe Grillo, è cosa piuttosto nota, anche in quanto relativamente recente: nell’estate del 2005 il comico impegnato nel sociale adotta il sistema offerto dal social network Meetup per coordinare una rete nazionale di attivisti che vogliono «condividere idee e proposte per un mondo migliore» sui temi da lui trattati. L’iniziativa ha il sapore della democrazia partecipativa dal basso e inizia a ingranare, sospinta anche da eventi come il primo V-Day (2005) e la successiva sottoscrizione della Carta di Firenze (2009) un primo manifesto di ciò che Michele Serra aveva nel frattempo ribattezzato «grillismo». L’insperato successo alle elezioni politiche del 2013 sembrava aver legato il Movimento a un inevitabile ruolo da protagonista nella politica italiana; un ruolo di governo, insomma. Nonostante i suoi strali antisistema siano gli stessi di sempre, però, nell’ultimo periodo il Movimento 5 stelle ha sperimentato sulla propria pelle che la politica, quella vera, è assai più complessa di un Meetup.
In questi giorni a Livorno, la seconda città più popolosa amministrata direttamente dai grillini (la prima è Parma, dove il sindaco Pizzarotti ha però un rapporto tormentato con la leadership del Movimento), è andato in scena uno scontro tra Aamps, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti nel capoluogo labronico, e il sindaco Filippo Nogarin, fautore di un concordato preventivo per appianare i debiti della suddetta. Risultato: la spazzatura ha invaso la città per giorni, portando Grillo a difendere pubblicamente il suo primo cittadino diffamato per aver «messo mano all’ennesimo carrozzone de sinistra supportato dalla stampa de sinistra». A Bologna Repubblica parla direttamente di una «bufera nel M5S» relativa alle prossime elezioni comunali: la base degli iscritti vuole primarie aperte e una lista del candidato sindaco trasparente, ma il candidato attuale, Massimo Bugani, non è stato votato e porterà con sé una squadra di cui a ora si sa poco o nulla.
«Rispetto a quando è entrato in parlamento, il M5S è diventato un partito vero, coi tic di un’organizzazione politica»
Insomma, che sta succedendo al Movimento 5 Stelle? Cos’è cambiato? E quali sono le sue aspirazioni future, ora che è dato al 28%, ma di certo non ha aperto il Parlamento «come una scatola di tonno» come prometteva di fare, e spesso fatica a contenere i propri malumori interni? «Rispetto a quando è entrato in parlamento, il M5S è diventato un partito vero, persino con i tic propri di un’organizzazione politica, e non si è fatto mancare nulla, comprese espulsioni dei dissidenti e gelosie fra aspiranti capi», dice a Studio David Allegranti, giornalista e volto di Gazebo. Di recente Ilvo Diamanti ha parlato su Repubblica di come il Movimento stia progressivamente imparando a camminare senza Grillo, sostenendo che «non è più un partito personale» perché di fatto ci sono alcuni nuovi profili pronti a raccogliere l’eredità dell’ex comico, come da volontà di quest’ultimo. Eppure «nonostante l’affermazione di Di Maio e Di Battista c’è tuttora un problema di classe dirigente. Il criterio dell’onestà, da solo, non è sufficiente a garantire la selezione di un personale politico all’altezza», spiega Allegranti, che chiosa: «Il rischio, per il Movimento, è sempre quello di mettere in piedi una sorta di bar di Guerre Stellari. Per questo penso che Grillo a Roma non voglia vincere davvero, perché se per caso il prossimo anno la capitale finisse ai Cinque stelle sarebbe un problema anzitutto per il Movimento. Anche perché i grillini hanno sempre diffidenza verso tutto ciò che sta al potere. Anche quando al potere ci sono loro, come si è visto a Livorno: nei mesi scorsi ci sono state continue tensioni fra il MeetUp e la giunta».
Marco Laudonio, co-curatore di Alfabeto Grillo, dizionario critico del Movimento edito da Mimesis, spiega l’apparente paradosso di una sigla politica in difficoltà dove amministra, che tuttavia riesce a guadagnare punti nei sondaggi: «Dopo le elezioni europee scrissi che per loro non era stata una battuta d’arresto insormontabile: prima le percentuali li sovradimensionavano, e – come ha ribadito Paolo Natale – in ogni caso il loro elettorato è composto per la maggior parte di delusi e persuasi dall’antipolitica, persone non fidelizzate». Ne consegue che gli iscritti, la base in rivolta a Livorno o Bologna, contano sempre meno. «Guarda Favia», dice Laudonio, «il primo, storico fuoriuscito: dopo essersi messo in proprio ha preso lo zerovirgola. In questo senso il celebre motto “Uno vale uno” andrebbe corretto in “Uno vale zero”». Secondo il giornalista questo è il motivo per cui le famigerate epurazioni si sono molto ridotte nel tempo: chi sceglie di andare contro la leadership grillina abbandona senza clamore, cosciente del suo ruolo da gregario. Eppure, spiega Laudonio, analisi come quella di Elisabetta Gualmini pubblicata sull’Unità sarebbero pur sempre parziali: «non è vero che “i grillini sono sempre uguali a sé stessi”, stanno tentando di dare l’idea di aver costruito un ceto politico, che pure non vuole essere definito tale. Nelle nomine del Csm hanno agito con un’astuzia molto politica, ad esempio».
Vittorio Bertola, attivista di lungo corso e capogruppo M5S al consiglio comunale di Torino, ha raccontato a Studio com’è cambiata l’organizzazione di cui ha fatto parte fin dall’inizio, dai primi Meetup piemontesi: «Il Movimento 5 Stelle sta inevitabilmente diventando un partito; sta passando da movimento di opinione destrutturato, partecipativo, contraddittorio e caoticamente creativo a struttura organizzata con gerarchie di comando, politici professionisti e marketing scientifico. È una trasformazione che si sarebbe potuta evitare solo con molto impegno nel perseguire attivamente le forme nuove di politica di cui si parlava anni fa, come la decisione collettiva in rete e la trasformazione dei politici in “dipendenti dei cittadini” a tempo; tuttavia, la spinta che si verifica normalmente in tutti i movimenti di protesta nati in questo modo (dai Verdi negli anni ’80 alla Lega negli anni ’90) ha portato alla creazione di gerarchie piuttosto chiare, anche se non del tutto formalizzate, e al progressivo allontanamento di chi non vi rientrava».
Bertola, che di recente ha deciso di lasciare la politica attiva, sostiene che fra i grillini «si assiste a una progressiva erosione dei principi iniziali che tanto erano piaciuti agli italiani; il taglio degli stipendi sta venendo progressivamente aggirato o eliminato del tutto, le votazioni online sono sempre più rare e incidono sempre di meno, i candidati sono selezionati non dal basso, per competenza, ma dall’alto per fedeltà alla linea e alle gerarchie e il ruolo di “portavoce dei cittadini” viene sostituito con quello di giovani politici-tuttologi sorridenti, telegenici e dotati di pagina fan personale sponsorizzata a pagamento, foto in posa carismatica e slogan orecchiabili esattamente come quelli dei partiti».
Per finire, il futuro. Cosa ne sarà del partito-non-partito di Grillo fra 5, 10 anni? «Difficile che sopravviva in questa forma», sostiene Laudonio, «i “partiti degli onesti” hanno storicamente avuto vita breve». Ed esisterà mai un M5S senza Grillo? «In teoria ha già tolto il nome dal simbolo, che pure rimane di sua proprietà, e la prossima primavera partirà il suo nuovo tour, formalmente da comico. Ma la sua è evidentemente una presenza-assenza. Non so se il Movimento riuscirà mai a farne a meno del tutto». Bertola parla dell’«equivoco di fondo sul posizionamento politico», che dal celebre «né di destra né di sinistra» è diventato materia di scontro: «Il M5S in Parlamento ha tenuto posizioni fortemente “di sinistra”, mentre il blog di Grillo ha spinto per posizioni opposte; e non si sa se e quando questa contraddizione esploderà e arriverà alla resa dei conti».