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Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.
Siccome una creator l’ha “accusata” di essere transgender, Brigitte Macron mostrerà in tribunale il suo Dna per dimostrare di essere nata donna E vincere così la causa per diffamazione contro Candace Owens, creator dell'alt-right Usa che sostiene che la Première dame abbia cambiato sesso.
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar quelli veri.
Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano Dalla Palma d’Oro a Cannes alla candidatura francese agli Oscar, il viaggio di Jafar Panahi attraverso le crepe della politica e del cinema
Sulla tv del ministero della Difesa russo c’è uno show fatto con l’AI che trolla i politici stranieri Macron con i bigodini rosa, Trump che parla di gabinetti dorati, von der Leyen in versione soviet: questo il meglio che la "satira" russa offre.
Il late show di Jimmy Kimmel è stato sospeso per dei commenti di Kimmel su Charlie Kirk Commenti che però Jimmy Kimmel non ha mai fatto.
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.

Il destino di Detroit

13 Aprile 2011

Schizocities è una serie di post che pubblicheremo nei prossimi mesi. Una serie di referti, perché la città globale è una dimensione schizofrenica. E anche una serie di reperti, oggetti mediatici che iniettano immagini e figure nell’immaginario collettivo, e ci si possono perdere. Uno sguardo sulle identità urbane, mediatizzate e globalizzate. Quelle delle città, ma anche di chi ci vive, tra disparità paradossali ed alleanze improbabili.

“Siamo americani, ma questa non è New York City, la Città del Vento o la Città del Peccato, e di certo non la siamo la Città di Smeraldo di nessuno. Siamo la Città dei Motori.” Ok, in italiano non suona troppo bene, ma così recitava con una voce ruvida e vissuta lo spot Chrysler che ha fatto scalpore all’ultimo Superbowl. La Motor City in questione è Detroit, e a dargli un’aria ancora più tough c’era pure Eminem. Il rapper, più serio senza il capello decolorato, chiude con: “This is what we do”. Più che un eco hip-hop, suona come una promessa. Poco importa che ci sia voluta la nostrana Fiat ed un aiuto consistente del Tesoro americano per tirare su l’azienda cardine di una città allo sbando, da anni nella condizione di detrito a mala pena vivente dell’era postindustriale. Lo spot è scritto e girato talmente bene che il suo americanissimo ottimismo quasi ti convince.

Simbolo della fine di un’era, Detroit incarna nel proprio corpo urbano il declino dei motori come industria e collante sociale. Mentre l’auto aveva stiracchiato le città sgranandole in sobborghi e dando vita ad uno stile di vita caratteristicamente americano, negli ultimi anni Detroit stessa è stata target di strategie di “rimpicciolimento” (cioè demolizione di aree vacanti) e, dopo che la crisi ha disabitato interi quartieri a furia di sfratti, tentativi di colonizzazione sistematica.

La città ha iniziato a vendere proprietà a 100 dollari e ad offrire incentivi fino a 25.000 dollari pur di far abitare certi quartieri, cercando anche di invogliare l’affluenza di quella classe creativa decantata da Richard Florida in The Rise of The Creative Class, libro di culto per le amministrazioni cittadine.

Il guru ha messo la città al 39mo posto su 49 nel suo Creativity Index, sotto a Jacksonville, Pittsburg ed Indianapolis (altra città dei motori, anche se evidentemente con più benzina), ma dopo aver ingoiato il rospo l’organizzazione CreateDetroit l’ha pure invitato per diffondere il verbo e porre fine alle ciniche battute sull’invivibilità locale.

Parecchio controverso, il brand di Florida (la “classe creativa”) include un po’ tutti, da Mark Zuckerberg al tuo dentista. E non tiene conto che la maggior parte dei “creativi” si dedica alla propria passione tra un part-time e l’altro, e si paga l’affitto servendo ai tavoli. Nonostante questo, una combinazione di religiosa fiducia nel suo credo e di romantico fascino per i ruderi ha reso davvero Detroit una mecca per artisti con un istinto materno compatibile o le tasche abbastanza vuote.

Da tempo sdoganata nell’arte contemporanea, l’estetica postindustriale ha ispirato la riqualificazione di spazi vuoti per alt(r)i scopi, come la galleria Detroit Industrial Projects o il Russell Industrial Center, che usa la creatività anche come scusa per creare un hub commerciale. A parte questi contenitori sistematici, c’è stato anche un proliferare di progetti artistici a sfondo sociale, una sorta di servizio pubblico da parte di artisti-missionari.

C’è chi ha deciso di denunciare la crisi del mattone isolando una casa disabitata in una patina di ghiaccio che la rende inaccessibile, ma visibile (lasciano però un po’ freddina anche l’artista Martha Rosler, da sempre vicina all’attivismo, che ne scrive così: “La maggior parte dei progetti artistici sui luoghi decadenti come Detroit è un malinconico monumento al capitale che mostra la devastazione lasciata in sua assenza”).

Ma mentre il sito di CreateDetroit è aggiornato al 2006 e vanta solo 129 amici su Facebook, c’è anche chi come Gina Reichert and Mitch Cope (lei architetto, lui artista, fondatori di Design99) fa tutto da sé. Comprata una casa per niente, l’hanno ristrutturata con pannelli solari ed accessori vari e si sono messi ad offrire servigi creativi low-cost alla gente del quartiere.

Motor City, Creative City, quello che Detroit sarà lo vedremo in futuro. L’occupazione ed i movimenti immobiliari faranno il loro corso, Eminem o meno, Richard Florida o meno. Ma lo spot ha ragione su due cose. Ci vogliono duro lavoro e convinzione, e chi non è mai stato a Detroit non sa di cosa sono capaci. Per il momento possiamo solo fare il tifo, come al Superbowl.


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