Attualità

I voti degli altri

I voti del centrosinistra sempre uguali numericamente, il poco coraggio nell'uscire dal proprio recinto: consiglio di lettura sul tema

di Federico Sarica

La coda di storture endemiche del nostro sistema politico di cui questa tornata elettorale, come un pavone bolso e ingrigito, sta stancamente facendo sfoggio, è al solito vasta. Nessuna è trascurabile, molte – a questo punto – probabilmente incorreggibili. Una, secondo alcuni (fra cui il sottoscritto), particolarmente grave: la conferma plastica di non contendibilità dei voti, pur in una fase di grossa incertezza. Vale a dire, l’impossibilità di far pendere l’ago della bilancia verso uno fra due ideali blocchi consolidati, andando a conquistarsi, coi programmi, con le strategie e con le idee, una massa ridotta ma decisiva di voti realmente fluttuanti, assegnati di volta in volta di qua o di là. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che in Italia, siccome il voto è per la grandissima parte, per ragioni varie alcune delle quali storiche, una questione di appartenenza, la gara delle forze politiche è tutta rivolta verso la galvanizzazione dei propri corpi elettorali e il consolidamento sempre uguale a se stesso di certezze e codici interni e di famiglia. Il contrario dei voti dei delusi del centrodestra da andare a stanare di cui parlava Renzi in campagna elettorale.

Per restare al centrosinistra, qui ci siamo divertiti qualche settimana fa a notare che, sondaggi alla mano, le percentuali di voti del Pd, dei suoi alleati e di chi si è coagulato alla sua sinistra, è pressoché la stessa del 2008.

In queste ore, a conferma di ciò, Claudio Cerasa fa notare che i voti di questa parte politica sono numericamente gli stessi da ben prima:

[…] quanto vale più o meno il tradizionale elettorato di sinistra? Esiste un numero che indichi a quanto corrisponde questo “recinto” che Bersani sembra avere difficoltà ad aprire da solo? Una risposta c’è ed è un numero ricorrente nella storia recente della sinistra: 12 milioni. Che ci si creda o no dal 1976 in poi la sinistra, in tutte le elezioni politiche, alla Camera ha sempre preso più o meno gli stessi voti e tutte le volte che ha vinto le elezioni lo ha fatto non perché è riuscita ad aumentare il suo bacino elettorale (tranne in un’occasione, con Prodi nel 1996, dove i 12 milioni sono diventati 15 milioni, ma era una maggioranza che si teneva con il nastro adesivo) ma perché i suoi avversari si sono presentati divisi […]

Su questo tema, sul numero di IL che esce oggi col Sole 24 Ore, c’è un ottimo e chiaro editoriale che va al cuore del problema in maniera concisa ma definitiva. Si intitola “Dalla parte dell’elettore che cambia idea” e l’ha scritto Francesco Costa. Procuratevelo e leggetelo. Per quel che mi riguarda, lo diffonderei nelle scuole.

Dopo un’esaustiva analisi, il giornalista del Post conclude così il suo ragionamento :

Quando scegliere chi votare diventa come scegliere chi tifare – alla brutta non si rinnova l’abbonamento e si parla male dell’allenatore – il sistema politico perde un un significativo e naturale incentivo al suo rinnovamento. La conquista di nuovi elettori, che dovrebbe essere ineludibile, diventa trascurabile: tenersi stretti i propri costa più che cercarne altri. Ne risultano coalizioni sterminate e litigiose, tatticismi esasperati, cartelli elettorali estemporanei, programmi vaghi, governi instabili. Per avere una politica migliore, insomma, non basterebbe avere un po’ meno politici che cambiano casacca; dovremmo avere anche un po’ di elettori disposti a cambiare idea.