Attualità

I libri del mese

Cosa hanno letto a novembre amici e collaboratori di Studio.

di Redazione

Emiliano Ponzi – The Journey of the Penguin (Penguin)

9780143107859Nel 2015 Penguin, la storica casa editrice inglese fondata da Allen Lane, con l’obiettivo di portare la letteratura di qualità su tascabili da vendere nelle edicole, ha compiuto 80 anni e ha deciso di festeggiare con dei libri celebrativi. Uno di questi è stato affidato a un italiano, cosa già di per sé notevole: si tratta di Emiliano Ponzi, forse il nostro più apprezzato illustratore degli ultimi anni, che vanta collaborazioni con la migliore stampa internazionale (New Yorker, Le Monde, tra gli altri). Per Penguin, Ponzi ha realizzato un romanzo grafico muto, cioè senza testo, il cui protagonista è un pinguino. Un romanzo di formazione che parla di un pinguino che parte dal Polo verso il mondo in cerca di se stesso e finisce per essere scelto in un casting dove si deve decidere il simbolo di una casa editrice e diventa famoso. Da padre-lettore ho sviluppato una predilezione per i libri grafici senza parole perché lasciano a chi legge e a chi ascolta una libertà interessante, un margine interpretativo che lettura dopo lettura si affina, prende strade nuove, aiuta a entrare sempre più in profondità. The Journey of the Penguin riesce in un modo molto semplice a raccontare come vita e letteratura si influenzino a vicenda e funziona come una bottiglietta che tiene chiusa l’essenza di questo rapporto. Si potrebbe dire che tutto nasce dal sentirsi soli e, allo stesso tempo, dalla sete di conoscere il mondo. La letteratura come soluzione all’impossibilità di sperimentare ogni cosa attraverso la vita.

(Cristiano de Majo)

 

Marco Belpoliti – Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda)

Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profiloHo iniziato a leggere Primo Levi di fronte e di profilo, la mastodontica retrospettiva di Marco Belpoliti sullo scrittore torinese, per una curiosità più politica che letteraria: m’interessava leggere del rapporto tra Levi ed Einaudi, del perché avesse incontrato tante difficoltà nel pubblicare un libro sulla Shoah nell’Italia dell’immediato dopoguerra, delle resistenze di Natalia Ginzburg. La cosa più interessante che ci ho trovato, però, sono stati gli spunti su Levi come autore di non-fiction, ovvero sul rapporto tra verità storica e verità narrativa nelle sue opere, a cominciare dal discusso caso di “Vanadio”, il racconto del Sistema Periodico che narra del ritrovamento casuale di un chimico tedesco che aveva conosciuto ad Auschwitz (nei fatti, il ritrovamento non fu affatto casuale, come dimostra un carteggio, ma questo nulla toglie alla potenza del racconto). Più del rifiuto della Ginzburg, attribuito dallo stesso Levi al desiderio di dimenticare, ho trovato interessante il (probabile) rifiuto di Cesare Pavese, che in una lettera esprimeva dubbi sul pubblicare testimonianze della guerra perché la testimonianza «non basta a fare letteratura». Non è chiaro quanto il documento si riferisse al caso Levi. Chiaro è però che lo scrittore torinese avesse tutta un’altra cosa in mente: «Quello che mi interessa non è raccontare i fatti, ma le impressioni suscitate dai fatti».

(Anna Momigliano)

 

Nancy Mitford – Non dirlo ad Alfred (Adelphi)

e386ceafa2e1053e01537503e49c43ea_w600_h_mw_mh_cs_cx_cy«Le ambasciatrici inglesi di solito sono un po’ picchiatelle, e dover lasciare l’ambasciata le fa uscire completamente di senno». Storia di una residenza diplomatica okkupata, tipo teatro Valle o cinema America, ma non da benecomunisti per la cultura esente da bollette né da autori di leaks con rifugio politico, bensì da una ex ambasciatrice che non si rassegna a lasciare i fasti diplomatici (ispirata a lady Diana Cooper). Decisamente più lord Snowdon che Edward Snowden, Non dirlo ad Alfred è la seconda parte del manuale per ragazze di successo L’amore in un clima freddo, opera di Nancy Mitford ora ristampata da Adelphi, dove l’Alfred del titolo è un professore di teologia di Oxford che inopinatamente viene mandato a rappresentare la Gran Bretagna nella sede più ambita, l’ex residenza di Paolina Bonaparte a Parigi. Causando soprattutto drammi nella moglie, impreparata nei decori e nel placement di Stato (ci sono figli hippy, teddy boys, dialoghi fantastici, e, come nelle migliori saghe inglesi, una nipote svampita di campagna e uno zio mondano, che dice la frase sulle ambasciatrici).

(Michele Masneri)

 

Bernard Quiriny – Storie assassine (L’Orma)

5f89429d786705cf2c14c6f7e46c648d_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyNel primo racconto di questa raccolta che nel titolo fa riecheggiare Edgar Allan Poe (conosciuto in Europa grazie a Baudelaire, il suo traducteur-dechiffreur francese), gli uomini che si accoppiano sessualmente diventano azzurri, e da qui parte una breve disamina pseudoscientifica sulle conseguenze del fatto per l’umanità: la prima, e più evidente, è che gli uomini non possono più fare sesso clandestino; in secondo luogo il colore azzurro viene caricato di una simbologia torbida che ne stravolge senso e archetipi precedenti; alcuni bacchettoni propongono di rivedere le regole sulla convivenza civile, mentre certi libertini sono esaltati dalle nuove possibilità offerte alla pratica dell’esibizionismo. Più che André Breton (il surrealismo criticava la razionalità cosciente) o Albert Camus (l’assurdo era una mancanza di stupore nel descrivere fenomeni incredibili), i racconti di Quiriny ricordano le storie strampalate di Donald Barthelme. Un modo di procedere che, quando non irrita – il racconto è una forma che meriterebbe di essere qualcosa di più di un divertissement – può lasciare stupefatti per i colpi di genio e il repertorio di trovate.

(Luca Ricci)

 

Thomas Williams – I capelli di Harold Roux (Fazi)

capelli-harold-roux-lightVincitore del National Book Award del 1975 davanti a Roth e Nabokov poi destinato a un inspiegabile trentennio di anonimato, dal 2011 Thomas Williams (col John Williams autore di Stoner ha in comune soltanto la casa editrice italiana: Fazi) gode di fama postuma negli Stati Uniti. I capelli di Harold Roux non è il primo né il migliore romanzo postmoderno a giocare coi piani narrativi – il titolo del libro coincide con quello di un romanzo in fase di scrittura da parte del protagonista, l’introverso professore di mezza età Aaron Benham – ma ha una qualità rara: riesce a svelare il complesso rapporto di interdipendenze tra lo scrittore e le sue storie, rafforzando di pagina in pagina la convinzione che l’unico modo efficace di comprendere il reale è passare attraverso la finzione. Williams, a sua volta uno schivo docente del New Hampshire, sostiene tramite il suo alter ego che bisogna rifuggire «ciò che va di moda oggi, la morte dell’energia e della sincerità», cercando invece i significati profondi in quella pianura buia appena rischiarata da un esile fuoco: l’immagine dell’inventiva letteraria.

(Davide Piacenza)

 

Gabriele Romagnoli – Solo bagaglio a mano (Feltrinelli)

soloSe il libro consigliato servisse a dare un’immagine di me come di persona-al-passo-coi-tempi-anzi-in-anticipo allora dovrei sfoggiare un libro in lingua straniera, inglese per l’hype, altra lingua per incutere rispetto. Servisse a restituire un’immagine impegnata rispetto alle cazzate che uno scrive tutti i giorni dovrei dire che sto leggendo i Quaderni neri di Heidegger anche se li ho messi nel’unica stanza della casa dove puoi permetterti di leggere mezza pagina alla volta. Servisse a ricambiare un favore o a costruirmene uno vi parlerei di quel mio amico fingendo qui che non sia mio amico, o di quel mio capo (in senso lato, come di parcheggiatore abusivo che chiama “capo” chiunque lo superi nella qualifica sociale) fingendo che nessuno sospetti sia il mio capo. Servisse, invece, solo a riferire che c’è un libro che sono stato felice di leggere in una tirata e volessi giusto condividere che è un gran piacere leggerlo e sperare che qualcuno lo compri, lo legga e pensi “però, mi ha dato un buon consiglio quel tizio, chi era poi non ricordo”, allora direi senza dubbi Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli.

(Arnaldo Greco)

 

Roxane Gay – Bad Feminist (HarperCollins)

z_feministRoxane Gay si è nascosta per molto tempo. Suo padre doveva spostarsi per lavoro e la sua famiglia lo seguiva in giro per gli Stati Uniti. L’autrice racconta la sua famiglia di origine haitiana con affetto, pur evidenziandone rigidità e aspettative nei confronti di quella figlia che doveva essere a tutti i costi una brava ragazza. Sola, concentrata sui suoi pensieri, lettrice insaziabile, studentessa modello, ha scritto dall’età di 4 anni e ha rimuginato a lungo sullo stupro di gruppo subìto da adolescente in un bosco, tradita da un ragazzo popolare e bello, con cui aveva una relazione segreta. A scuola per un anno il suo nome scomparve in favore dell’appellativo “slut”, ma a casa nessuno sapeva niente e lei nascondeva quella ferita riempiendosi di cibo, cercando di rendere il suo corpo ingombrante e al tempo stesso invisibile.  In Bad Feminist Roxane Gay raccoglie 40 saggi che snocciolano aneddoti, analisi e critiche dove il piano personale (l’infanzia, l’adolescenza, l’università, il rapporto col cibo, la fuga da Yale a 19 anni con un uomo 44enne conosciuto online) si mescola in continuazione con la pop culture contemporanea. Racconta Blurred Lines, Girls, Django Unchained, Vogue, i trigger warnings, la violenza sessuale in tv e in letteratura, il white privilege, raccontando in prima persona quanto trovi molti prodotti pop problematici e, nonostante questo, appassionanti. A Roxane Gay piace il rosa, ama Vogue e ballerà, nonostante tutto, sentendo Robin Thicke che canta “I know you want it”. Il suo femminismo è imperfetto e umano ed è per questo che l’autrice, che ha smesso di nascondersi, si definisce con orgoglio “bad feminist”.

(Miriam Goi)

 

Nell’immagine: l’ingresso della biblioteca di St. Elizabeth a New Orleans, in un palazzo che appartiene alla scrittrice Anne Rice.